Toponímia i pluralisme lingüístic a l'Espanya autonòmica

AutorValeria Piergigli
Páginas21-43
TOPONOMASTICA E PLURALISMO LINGUISTICO NELLA SPAGNA autonómica
Valeria Piergigli*
Abstract
La toponomastica è un settore sensibile, forse più di altri, in considerazione della percezione visiva e immediata
che offre della predisposizione di un dato ordinamento nei confronti delle identità culturali presenti sul territorio.
Il contributo esamina la regolamentazione della toponomastica nell’ordinamento spagnolo, avendo riguardo sia alla
macro-toponomastica che alla micro-toponomastica; apposita attenzione è inoltre rivolta alla disciplina dell’uso delle
lingue nella odonomastica e nella segnaletica stradale. Obiettivo principale del lavoro è quello di evidenziare, anche
in una prospettiva comparata, l’evoluzione e le problematicità dell’approccio spagnolo alla formazione del “paesaggio
linguistico”, la cui disciplina è intimamente connessa agli sviluppi della normativa, soprattutto autonómica, adottata per
la promozione dei diritti linguistici e del pluralismo culturale di questo Paese.
Parole chiave: toponomastica; lingue di Spagna; patrimonio culturale.
TOPONYMY AND LINGUISTIC PLURALISM IN THE SPAIN OF THE AUTONOMOUS
PROVINCES
Abstract
Abstract: Toponymy is a sensitive issue, perhaps more sensitive than others, for it offers a visual and unmediated
expression of the way regulations are implemented in regard to the cultural identities present in a given territory.
This paper examines the regulations on toponymy in Spanish law from both the micro and macro perspectives; it
also explores requirements on the use of language(s) in street names and road signage. The primary objective of this
paper is to present an account–comparative in places–of the evolution and problematics of the Spanish approach to
the formation of the “linguistic landscape”, a eld which is closely related with changes in legislation, especially
regulations introduced at the autonomous community level and designed to promote language rights and cultural
pluralism in Spain.
Keywords: toponymy; languages of Spain; cultural heritage.
*Valeria Piergigli, professore ordinario di Diritto pubblico comparato nel Dipartimento di Giurisprudenza della Università di Siena,
per l’anno accademico 2019/20 in regime di convenzione presso il Dipartimento di Economia della Università Roma Tre. valeria.
piergigli@unisi.it
Articolo ricevuto el 17.09.2019. Valutazione: 28.10.2019. Accettazione della versione nale: 27.11.2019
Citazione consigliata: Piergigli, Valeria. (2019). Toponomastica e pluralismo linguistico nella Spagna autonómica. Revista de
Llengua i Dret, Journal of Language and Law, 72, 21-43. https://doi.org/10.2436/rld.i72.2019.3359
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Sommario
1 Introduzione al tema. “Paesaggio linguistico” e tutela minoritaria
2 Le indicazioni del diritto internazionale per la standardizzazione dei nomi geograci e la regolamentazione
della toponomastica nelle aree mistilingui
3 Toponomastica e politiche linguistiche in Spagna: le competenze dello Stato centrale
4 La disciplina della toponomastica nelle Comunità autonome con lingua co-ufciale
5 I toponimi come espressioni identitarie e del patrimonio culturale immateriale
6 Conclusioni. L’esperienza spagnola e il diritto comparato: luci e ombre
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1 Introduzione al tema. “Paesaggio linguistico” e tutela minoritaria
La toponomastica è la scienza che si occupa della raccolta e dello studio dei nomi propri di luoghi pubblici o
a fruizione pubblica nella loro origine, storia e signicato. In quanto tale, essa adempie a molteplici nalità.
Accanto a quella eminentemente pratica, di conoscenza e identicazione di luoghi e oggetti geograci, i
toponimi rispondono a una funzione comunicativa e di carattere culturale, nonché a una funzione simbolica
che vale a individuare non soltanto determinate aree geograche, ma anche le popolazioni che in quelle
aree hanno vissuto e risiedono stabilmente. In questo modo, gli individui e le collettività contribuiscono a
mantenere vivo e vitale il loro rapporto col territorio e a difendere sia i luoghi che le rispettive denominazioni
da pericoli erosivi e da tentativi esterni, volontari o meno, di mutamento. Il requisito della chiarezza e
la garanzia della tendenziale immutabilità delle denominazioni pubbliche costituiscono, al tempo stesso,
premessa e corollario delle operazioni formali di individuazione dei nomi di luogo, che sono di solito espressi
nella lingua ufciale dello Stato.
L’attribuzione di nomi alle località – siano queste identicative di enti territoriali ovvero di singole porzioni
geograche – così come la loro variazione assumono particolare rilevanza qualora i luoghi da denominare
siano evocativi di appartenenze a comunità specicamente connotate da fattori di differenziazione – quali la
lingua e la cultura – rispetto al resto della popolazione nazionale o alla collettività localmente maggioritaria.
In queste circostanze, il mantenimento o il recupero dei nomi di luogo ad opera delle autorità locali assolve,
oltre alle funzioni strettamente descrittive, la nalità ulteriore di salvaguardare e rendere visibilmente
percepibili le peculiarità delle singole comunità alloglotte, sempre che queste siano consapevoli della loro
specicità e animate dalla volontà di preservare il proprio corredo di valori culturali e simbolici. Peraltro,
come dimostra ampiamente l’esperienza comparata, l’espressione dei toponimi in lingue diverse dalla lingua
ufciale dello Stato contribuisce a esaltare la dimensione collettiva della tutela minoritaria e si inserisce nel
vasto catalogo delle misure positive dirette alla garanzia degli usi pubblici delle lingue delle minoranze.
La compattezza di queste comunità, la concentrazione entro aree geograche denite, l’autoctonia, la densità
demograca, congiuntamente alla volontà degli appartenenti di salvaguardare il loro vincolo di solidarietà
sono i presupposti dai quali gli ordinamenti di democrazia pluralista generalmente muovono per la protezione
e promozione delle lingue minoritarie e dei diritti linguistici dei parlanti, soprattutto allorché – ed è l’ipotesi
più frequente – venga privilegiato il criterio di territorialità piuttosto che quello di personalità della tutela.
L’impiego della lingua minoritaria nella toponomastica è strettamente legato alla individuazione degli
ambiti territoriali: più che in altri settori di intervento, il principio territoriale per la protezione delle identità
minoritarie si esprime infatti, per ragioni intrinseche alla stessa scienza toponomastica, nella determinazione
dei nomi di luogo. A tal ne, diventano preliminari la denizione del concetto stesso di “territorio” in cui la
lingua minoritaria è praticata, nonché eventualmente l’accertamento – e la verica periodica – del numero dei
parlanti e/o la delimitazione dei contesti geograci di riferimento mediante opportuni procedimenti formali
da parte delle autorità competenti. In proposito, la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata
dal Consiglio d’Europa nel 1992 e in vigore dal 1998, denisce il “territorio” come l’area geograca in cui
la lingua regionale o minoritaria1 costituisce il modo di espressione di un numero di persone che giustica
l’assunzione delle diverse misure di protezione e promozione previste dalla Carta stessa (art. 1, lett. b), tra le
quali compare l’impiego o l’adozione dei toponimi tradizionali (art. 10, 2° comma, lett. g).
Una volta deciso di riconoscere il pluralismo linguistico nelle denominazioni di località, il legislatore deve
affrontare il problema ulteriore relativo alle operazioni di scrittura, traduzione e rappresentazione graca dei
nomi geograci. In altre parole, dopo che i toponimi sono stati individuati e ricostruiti con l’ausilio delle
scienze storiche, geograche, linguistiche e con l’impiego di fonti sia documentarie che orali, i proli di
maggiore criticità, e non soltanto dal punto di vista giuridico, attengono alla scelta del criterio più idoneo
per rendere visibili le denominazioni così acquisite e delle modalità pratiche per la loro trascrizione. Posto
che il toponimo non è separabile dal segno linguistico che lo rappresenta, la trascrizione dei nomi di luogo
presuppone l’esistenza di un idioma dotato di alfabeto e regole grache, a prescindere dal fatto che si tratti
di lingua ufciale dello Stato o di una lingua regionale o minoritaria, eventualmente priva del carattere della
1 Ai sensi dell’art. 1 della Carta europea, con l’espressione “lingue regionali o minoritarie” si intendono le lingue “praticate
tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di questo Stato che costituiscono un gruppo numericamente inferiore al resto
della popolazione dello stato e differenti dalla/e lingua/e ufciale/i di questo Stato”.
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ufcialità. Tuttavia, può accadere che la lingua in cui i toponimi devono essere riportati non sia sorretta
dalla scrittura, ma tramandata in forma dialettale o comunque solo oralmente: simile situazione rende
tutt’altro che agevole l’opera di codicazione dei toponimi. D’altra parte, non è infrequente che un idioma
minoritario – specialmente se afdato alla prevalente tradizione orale o non sorretto da uno Stato-patria
oltre i conni nazionali – si articoli in una pluralità di varianti linguistiche all’interno di una stessa regione
o di regioni diverse di un medesimo Stato. In tali ipotesi, qualunque uso pubblico di quell’idioma dovrebbe
essere preceduto da una operazione di normalizzazione linguistica, in modo da pervenire, con il contributo
di linguisti ed esperti, alla individuazione di una lingua comune o unicata.
Qualora per la determinazione dei nomi di luogo nelle aree mistilingui l’ordinamento opti, anziché per un
regime di monolinguismo, per l’uso congiunto della lingua di Stato e della lingua minoritaria (ufciale o
meno) si pone poi il problema relativo ai caratteri tipograci con i quali esprimere il toponimo nell’idioma
diverso da quello nazionale. La scrittura dei nomi nella lingua di Stato e in quella minoritaria può risultare
differenziata dall’uso delle lettere, rispettivamente maiuscole e minuscole, dall’impiego di caratteri grandi e
piccoli, spaziati o meno; e ancora, la rilevanza della denominazione nella lingua di Stato può essere messa in
risalto dal fatto di precedere quella scritta nella lingua minoritaria ovvero il toponimo espresso nell’idioma
locale può venire collocato tra parentesi o dopo una virgola e fatto seguire a quello corrispondente nella
lingua nazionale o, inne, per l’indicazione nella lingua minoritaria accanto a quella nella lingua ufciale
la graa o i cartelli utilizzati possono essere diversi o di differente colore oppure, al contrario, può essere
prescritto che i caratteri graci siano della stessa grandezza e dimensione per entrambe le denominazioni.2
Si è precisato all’inizio che i toponimi devono assolvere a esigenze di certezza giuridica e, infatti, la tendenza
generalmente riscontrabile è quella della loro immutabilità e conservazione, salvo quando sia opportuno
cambiare i nomi per sopraggiunte esigenze di tutela linguistica o per rimediare alle oppressioni del passato.
I regimi autoritari e le politiche nazionalistiche tendono a cancellare i toponimi tradizionali, così come
qualunque forma di riconoscimento delle identità minoritarie e del pluralismo linguistico. Emblematici sono
stati, nel secolo scorso, l’avvento e il declino di alcune autocrazie europee (fascismo, franchismo) e del regime
socialista nella Unione Sovietica, che hanno determinato – tra l’altro – cambiamenti e sostituzioni cicliche di
toponimi, i quali hanno conosciuto forme espressive diverse in connessione con i rivolgimenti ideologici e
i mutamenti delle politiche linguistiche nazionali. L’affermazione di regimi pluralisti e democratici produce
pertanto l’esigenza di recuperare o retticare le denominazioni geograche eventualmente cancellate
o modicate nelle epoche precedenti. A tal ne, il Comitato consultivo, che monitora l’attuazione della
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali del Consiglio d’Europa del 1995 e in
vigore dal 1998, non lesina raccomandazioni agli Stati e suggerisce di abbattere gli ostacoli, burocratici ed
economici, che frequentemente impediscono o ritardano il ripristino dei toponimi nelle forme originarie.3
Sotto altro prolo, divisioni forzose delle popolazioni locali e mutamenti delle denominazioni geograche
possono discendere dalla ridisegnazione dei conni amministrativi all’interno di uno Stato oppure delle
stesse frontiere nazionali a causa di eventi bellici, lotte per l’indipendenza e l’autodeterminazione, annessioni
o secessioni più o meno paciche con conseguente formazione di nuove sovranità e comunità minoritarie.
È quanto accaduto all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, ad esempio, alla comunità nazionale italiana
– storicamente concentrata nei territori corrispondenti alle aree geograche dell’Istria, di Fiume e della
Dalmazia – che si è trovata articialmente smembrata dal conne di Stato eretto tra le Repubbliche di Slovenia
e Croazia all’indomani della dissoluzione della Jugoslavia, con ciò determinandosi l’esigenza di riformulare
lo statuto della tutela, anche nel settore della toponomastica, nelle zone di insediamento ricondotte sotto le
nuove sovranità.4
Il presente contributo si concentrerà sulla regolamentazione della toponomastica nell’ordinamento spagnolo,
avendo riguardo sia alla macro-toponomastica (o toponomastica maggiore, comprensiva delle denominazioni
degli enti locali) che alla micro-toponomastica (o toponomastica minore, comprensiva dei nomi di umi,
2 Per un approfondimento di questi temi nel diritto comparato, oltre a quanto si riferisce infra §6, v. in dottrina de Vergottini, G.,
Piergigli, V., (a cura di), Topographical Names and Protection of Linguistic Minorities, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2011.
3 Cfr. i vari cicli delle Compilation of Advisory Committee Public Opinions: article by article (https://www.coe.int/en/web/minorities/
compilation-of-opinions)
4 Cfr. de Vergottini, G., Piergigli, V., (a cura di), La toponomastica in Istria, Fiume e Dalmazia, vol. I Proli giuridici, Firenze,
Istituto Geograco Militare, 2009.
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montagne e altri luoghi geograci), senza trascurare la disciplina dell’uso delle lingue nella odonomastica (o
toponomastica urbana) e nella segnaletica stradale5. Si cercheranno in tal modo di evidenziare, anche in una
prospettiva comparata, le peculiarità e l’evoluzione dell’approccio spagnolo alla formazione del “paesaggio
linguistico”, la cui disciplina è intimamente connessa agli sviluppi della normativa, soprattutto autonómica,
adottata per la promozione dei diritti linguistici e del pluralismo culturale di questo Paese.
2 Le indicazioni del diritto internazionale per la standardizzazione dei nomi geograci e la
regolamentazione della toponomastica nelle aree mistilingui
Per ragioni che si possono agevolmente intuire, il dato normativo internazionale, almeno quello di
origine pattizia, su queste tematiche è piuttosto esiguo. La competenza diretta alla individuazione e alla
regolamentazione delle lingue regionali o minoritarie e delle minoranze linguistiche, così come l’approvazione
delle norme generali relative alle denominazioni geograche sono infatti solitamente ricondotte alle autorità
nazionali, in quanto considerate questioni a elevato tasso di politicità e afferenti alla sovranità dei singoli
Stati. Come la bandiera, l’inno, la lingua, i toponimi sono simboli del potere politico, statale o locale a
seconda dei casi. Pertanto, gli organismi internazionali e le loro sedi specializzate possono al più predisporre
raccomandazioni, standard comuni, principi di soft-law6 e soltanto raramente si spingono a dettare, non senza
difcoltà nella fase dei negoziati che si traducono in altrettante tortuosità lessicali, veri e propri obblighi
giuridici. In quest’ultima ipotesi, l’accettazione degli impegni sanciti all’interno di trattati o convenzioni
multilaterali è comunque rimessa alla autonoma decisione dei governi nazionali, manifestata attraverso il
deposito degli strumenti di ratica e l’eventuale formulazione di riserve rispetto a speciche disposizioni.
Sta di fatto che, dalla metà del secolo scorso, la comunità internazionale, sia pure in maniera prudente, ha
cominciato a occuparsi di toponomastica, disciplina che involge come accennato – proli tecnici di particolare
complessità allorché i territori o le località da (ri)denominare siano espressivi di comunità di lingua e cultura
minoritaria. In queste situazioni, l’obiettivo della “standardizzazione” – da perseguire sia a livello nazionale
che internazionale – dei nomi geograci diventa essenziale proprio per cercare di assicurare la chiarezza
delle comunicazioni, la quale a sua volta è funzionale allo sviluppo socio-economico, oltre che alla garanzia
delle identità minoritarie presenti sul territorio. Alle svariate risoluzioni e raccomandazioni, che gli organismi
specializzati delle Nazioni Unite ormai da diversi decenni dedicano a questi aspetti, si devono aggiungere le
esplicite obbligazioni formulate nella Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali e nella
Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, documenti sopra richiamati e raticati da numerosi Paesi
aderenti al Consiglio d’Europa7 che ospitano sui rispettivi territori gruppi alloglotti di antico insediamento.
Più in dettaglio, all’interno del Consiglio economico e sociale dell’ONU è attivo un Gruppo di Esperti,8
il quale riferisce periodicamente alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla standardizzazione dei nomi
geograci, che si riunisce ogni cinque anni e che nel tempo ha prodotto oltre duecento risoluzioni per provare
ad armonizzare, secondo apposite linee-guida, le innumerevoli questioni tecniche che l’attribuzione dei
toponimi pone specialmente nelle aree dove sono stanziate comunità minoritarie e popolazioni autoctone.9
In proposito, forse il più noto di questi documenti è la Recommendation D-Multilingual Areas, racchiusa
all’interno della Risoluzione n. 4 che concludeva la Conferenza inaugurale di Ginevra del 1967. Rivolta
alla standardizzazione dei toponimi nei territori plurilingui, la menzionata raccomandazione, con previsioni
5 Cfr. Marín i Díaz Guerra-Llobet, F., Vernet i Llobet, J., «El règim jurídic de la llengua en la retolació pública, la toponímia i la
denominació dels ens locals a Catalunya», in Revista de Llengua i Dret, n° 16, 1991, p. 87.
6 V. in proposito le Raccomandazioni di Oslo sui diritti linguistici delle minoranze nazionali del 1998, dove alla Raccomandazione
3, si legge: “In areas inhabited by signicant numbers of persons belonging to a national minority and when there is sufcient
demand, public authorities shall make provisions for the display, also in the minority language, of local names, street names and other
topographical indications intended for the public”. Sulla regolamentazione della toponomastica nel diritto internazionale, cfr. Hilpold,
P., “Topographic names and international law”, in de Vergottini, G., Piergigli, V., (a cura di), Topographical Names, cit., p. 85 ss.
7 I testi delle due convenzioni, lo stato delle ratiche ed i rapporti periodici degli Stati parti, così come i pareri e le raccomandazioni
degli organismi di monitoraggio, sono reperibili al sito: http://conventions.coe.int
8 Si tratta del United Nations Group of Experts on Geographical Names (UNGEGN), istituito già nel 1959 e così ridenominato nel
1973. Sulla attività di questo organismo specializzato, v. il sito web: https://unstats.un.org/unsd/ungegn/sessions/2019-new-york-
ungegn-1st-session
9 Finora, la Conferenza si è riunita undici volte. Le risoluzioni, adottate tra il 1967 e il 2017, sono consultabili al sito: https://unstats.
un.org/unsd/ungegn/resolutions
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di ampia portata, invitava le autorità nazionali a determinare i toponimi in ognuna delle lingue ufciali del
Paese e in altre lingue “as appropriate”; raccomandava chiarezza, in termini di eguaglianza o precedenza,
nella indicazione delle denominazioni ufciali; ricordava l’obbligo di pubblicare i toponimi ufcialmente
riconosciuti nelle mappe e nei dizionari geograci che devono essere costantemente aggiornati a ni di
trasparenza e conoscibilità. Il documento non faceva cenno a requisiti ulteriori di natura sostanziale, come
quello del numero dei parlanti cui subordinare l’attribuzione delle denominazioni nelle zone mistilingui,
rimettendo ogni decisione alla discrezionalità e alla sovranità dei singoli Stati.
Successive risoluzioni hanno ribadito i criteri enunciati e rivolto specica attenzione alle problematicità
legate alla individuazione dei toponimi nelle zone ove sono impiegate lingue regionali, minoritarie, indigene,
senza omettere di considerare i nomi geograci quali espressione del patrimonio culturale immateriale di
una determinata collettività, con implicito riferimento ai contenuti della Convenzione UNESCO per la
salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003.
In sintesi, attraverso l’impegno costantemente profuso per la standardizzazione dei nomi di località
indicati in lingue diverse dalla lingua di Stato, per la conseguente diffusione delle informazioni sui nomi
standardizzati e per l’adozione di un sistema uniforme di romanizzazione per grae e alfabeti non latini, la
comunità internazionale continua a offrire un contributo autorevole, sia pure indiretto e sempre estremamente
rispettoso per le scelte nazionali, al rafforzamento della tutela del pluralismo linguistico. In verità, si tratta di
un contributo parziale e nel complesso scarsamente efcace, anche per la diminuita partecipazione degli Stati
nel corso del tempo alla attuazione delle raccomandazioni prodotte dal sistema delle Conferenze.10
Analoga cautela nell’approccio alla controversa questione toponomastica nei territori abitati da comunità
minoritarie si coglie nel testo della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali. La
stessa formulazione dell’art. 11, 3° comma, è rivelatrice delle criticità incontrate in occasione della sua
stesura e testimonia la soluzione di compromesso alla ne raggiunta in seno alla assemblea del Consiglio
d’Europa. Il risultato è certamente apprezzabile, trattandosi di una previsione racchiusa all’interno di un
trattato multilaterale che impegna le Parti contraenti ad assumere una serie di obbligazioni nei confronti delle
persone appartenenti alle minoranze nazionali e a tutela dei loro diritti, ma mostra evidenti limiti che soltanto
la buona volontà dei sottoscrittori, in fase di attuazione, può far superare.11 La norma citata non impone
propriamente un dovere, ma richiede semplicemente che gli Stati rmatari si sforzino (shall endeavour),
nell’ambito dei rispettivi sistemi legislativi e tenendo conto delle loro speciche condizioni, afnché sia
data visibilità alle denominazioni tradizionali locali, nonché ai nomi delle strade e alle altre indicazioni
topograche rivolte al pubblico anche nella lingua minoritaria. Non è quindi prescritto un obbligo per gli
Stati di favorire l’impiego esclusivo della lingua minoritaria. D’altra parte, la disposizione non implica il
riconoscimento ufciale delle denominazioni locali che siano espresse nelle lingue diverse da quella di
Stato.12 La garanzia del bilinguismo nella toponomastica può operare soltanto in presenza di una “domanda
sufciente”, in tal senso manifestata dai membri della collettività minoritaria, e limitatamente ai territori
tradizionalmente abitati da un rilevante numero di persone appartenenti a una minoranza nazionale. L’incipit
della disposizione riecheggia quello analogo dell’art. 27 del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici
e sembra escludere aprioristicamente la condizione delle minoranze di più recente formazione, come sono
quelle composte da gruppi di immigrati, regolarmente residenti e divenuti stanziali, la cui identità culturale
dovrebbe essere parimenti tutelata attraverso il bilinguismo visivo, non soltanto negli esercizi commerciali
ma probabilmente anche nelle denominazioni dei rispettivi luoghi di insediamento.13
10 In proposito, v. le considerazioni di Hilpold, P., «Topographic names», cit., pp. 90-91.
11 Come recita l’art. 2 della Convenzione-quadro: “The provisions of the framework Convention shall be applied in good faith,
in a spirit of understanding and tolerance and in conformity with the principles of good neighbourliness, friendly relations and co-
operation with States”. Per un commento all’art. 11, cfr. de Varennes, F., «Article 11», in Weller, M., (ed), The Rights of Minorities:
A Commentary on the European Framework Convention for the Protection of National Minorities, Oxford, Oxford University Press,
2006, p. 329 ss.
12 Cfr. il Rapporto esplicativo della Convenzione-quadro, §70.
13 Ai sensi dell’art. 11, 3° comma: “In areas traditionally inhabited by substantial numbers of persons belonging to a national
minority, the Parties shall endeavour, in the framework of their legal system, including, where appropriate, agreements with other
States, and taking into account their specic conditions, to display traditional local names, street names and other topographical
indications intended for the public also in the minority language when there is a sufcient demand for such indications”. L’art. 27 del
Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 recita: “In those States in which ethnic, religious or linguistic minorities exist,
persons belonging to such minorities shall not be denied the right, in community with the other members of their group, to enjoy their
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Sulla implementazione degli impegni assunti, e testimoniata dai rapporti periodici trasmessi dagli Stati
parti della Convenzione-quadro, vigila – come già accennato – il Comitato consultivo che, a proposito
della attuazione dell’art. 11, 3° comma, non manca di richiamare l’attenzione, a ni di certezza giuridica,
sulla necessità di criteri chiari e precisi nella esposizione al pubblico dei toponimi nelle lingue minoritarie.
Quanto al requisito della “domanda sufciente”, e dunque della individuazione da parte dei singoli Stati della
soglia minima da cui far discendere la garanzia della toponomastica nella lingua della minoranza, i pareri
dell’organismo di monitoraggio rivelano una sorta di “doppio standard”, apparentemente discutibile da un
punto di vista giuridico, ma in realtà calibrato sul livello di tutela già conseguito da ciascun ordinamento e
modulato in maniera essibile, sulla base della sensibilità dimostrata nel tempo dai singoli Paesi a favore
delle collettività alloglotte presenti nei rispettivi territori.14 Lo scopo è, in ogni caso, quello di concorrere a
elevare lo standard della protezione, anche mediante l’impiego delle lingue minoritarie nelle denominazioni
di luoghi e oggetti geograci.
Di minore impatto sulla disciplina della toponomastica è il testo dell’art. 10, 2° comma, lett. g) della Carta
europea delle lingue regionali o minoritarie, documento che, diversamente dalla menzionata Convenzione-
quadro, è incentrato sulla protezione delle lingue piuttosto che dei diritti linguistici ed è inoltre caratterizzato
da un peculiare approccio à la carte nella selezione degli obblighi da sottoscrivere da parte degli Stati.
L’impiego della lingua regionale o minoritaria nella toponomastica è subordinato al fatto che il numero di
residenti che praticano la lingua stessa sia “tale da giusticare” l’adozione di quella misura. Più precisamente,
alle autorità locali e regionali è prescritto di impegnarsi per favorire l’uso o l’adozione dei toponimi nelle
lingue regionali o minoritarie, eventualmente in aggiunta alla denominazione nella lingua di Stato, lasciando
intendere la possibilità sia di recuperare toponimi tradizionali, sia di tradurre nelle lingue delle minoranze
toponimi di nuova formazione.15
Nel complesso, le lacunosità, le imprecisioni, le ambiguità che traspaiono dalle previsioni che si sono
richiamate non fanno che confermare il tecnicismo, ma altresì la politicità e la delicatezza che le scelte in
materia di toponomastica, specialmente nelle aree ove risiedono collettività di lingua e cultura minoritaria,
inevitabilmente presentano. Le indicazioni, vincolanti o meno, degli organismi internazionali niscono per
rinviare alla discrezionalità e alla sensibilità delle autorità nazionali, alle quali resta afdata in denitiva
l’effettiva implementazione delle misure di tutela delle minoranze linguistiche, incluso l’impiego della
toponomastica tradizionale in quanto manifestazione della identità minoritaria.
3 Toponomastica e politiche linguistiche in Spagna: le competenze dello Stato centrale
Passando all’esame della normativa statale in materia di toponomastica, è imprescindibile almeno un cenno
ad alcune disposizioni racchiuse nel testo della Costituzione democratica del 1978, che segnano la svolta
rispetto al regime di monolinguismo e di castelanización ortograca dei toponimi imposto dal franchismo
e fanno da cornice alle politiche linguistiche adottate progressivamente dalle autorità regionali e locali.
Premesso che la nozione di “minoranza” – etnica, linguistica o nazionale – non si addice propriamente
all’approccio prescelto dalla Spagna verso la tutela del pluralismo linguistico e culturale,16 il preambolo
della Costituzione proclama, tra l’altro, la volontà della Nazione di proteggere le culture, tradizioni, lingue
e istituzioni degli spagnoli e dei popoli della Spagna. Seguono, nel Titolo preliminare, la garanzia del diritto
own culture, to profess and practise their own religion, or to use their own language”.
14 Pertanto, il Comitato consultivo ha ritenuto ugualmente legittime le normative adottate da alcuni Paesi che, ai ni della
determinazione della “domanda sufciente” richiesta dall’art. 11, 3° comma della Convenzione-quadro, ssano la percentuale di
appartenenti a una minoranza nazionale in una forbice compresa tra il 10% (es. Austria) e il 25% (es. Repubblica Ceca). In proposito,
si vedano i commenti di Hilpold, P., «Topographic names», cit., p. 103 ss. e de Varennes, F., «Article 11», cit., pp. 344-345. Si veda
inoltre Advisory Committee on the Framework Convention for the Protection of National Minorities, Thematic Commentary no. 3.
The Language Rights of Persons Belonging to National Minorities Under the Framework Convention, Adopted on 24 May 2012,
Strasburgo, 5 luglio 2012, pp. 20-21.
15 Ai sensi dell’art. 10, 2° comma, lett. g): “In respect of the local and regional authorities on whose territory the number of residents
who are users of regional or minority languages is such as to justify the measures specied below, the Parties undertake to allow and/
or encourage […]: the use or adoption, if necessary in conjunction with the name in the ofcial language(s), of traditional and correct
forms of place-names in regional or minority languages”.
16 L’art. 6 della Costituzione italiana, invece, stabilisce espressamente che “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
linguistiche”.
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all’autonomia delle “nazionalità e delle regioni” che compongono l’unità indissolubile della Nazione (art. 2),
il riconoscimento del castigliano in quanto lingua ufciale dello Stato e il rinvio agli statuti delle Comunità
autonome per l’attribuzione dello status di ufcialità alle “altre lingue spagnole” (art. 3, 1° e 2° comma),
nonché per la delimitazione della portata della ufcialità.17
Diversamente da quanto disposto per il castigliano, dalla Costituzione non trapela il dovere di conoscere
lingue diverse, quantunque co-ufciali, ma soltanto il diritto di usarle, conformemente agli statuti regionali.
In sostanza, dal regime della doppia ufcialità, ossia del bilinguismo su base territoriale, discendono sia il
riuto del monolinguismo, che comporterebbe la negazione del pluralismo linguistico e culturale sancito
dalla Costituzione, sia il tentativo, frenato dal Tribunale Costituzionale, di ammettere l’uso preferenziale e
preminente di una lingua regionale rispetto al castigliano.18 Precisamente, sono sei le Comunità autonome
con lingua co-ufciale e altrettanti i territori bilingui: quelli del Paese Basco, della Catalogna, di Galizia,
della Navarra, delle Isole Baleari, della Comunità Valenzana. Tuttavia, il divieto implicito di monolinguismo
conosce una deroga nel settore della toponomastica: infatti, come si esaminerà più avanti, nelle Comunità
autonome dove vige il regime di co-ufcialità e bilinguismo, le denominazioni geograche possono essere
legittimamente formulate nella sola lingua regionale, secondo quanto sancito dalla rispettiva legislazione
autonómica. D’altra parte, non è affatto escluso che nelle restanti regioni gli idiomi, pur non ricevendo lo status
della co-ufcialità, possano godere di qualche forma di tutela e promozione, ad esempio, nell’insegnamento,
nella comunicazione e nella toponomastica.
Di indubbio rilievo, per l’impatto sulla protezione dei diritti linguistici, incluso quello concernente le
denominazioni geograche nelle lingue minoritarie, è inoltre la disposizione che assegna agli accordi
internazionali raticati dalla Spagna un rango supra-legislativo e di orientamento per l’interpretazione
delle norme costituzionali relative ai diritti e alle libertà fondamentali (art. 10, 2° comma). Pertanto,
l’art. 3, 3° comma Cost., che esalta la ricchezza delle diverse espressioni linguistiche della Spagna in
quanto patrimonio culturale degno di speciale rispetto e protezione, dovrà leggersi in conformità con la
menzionata Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, oltre che in armonia con altri trattati raticati
e direttamente rilevanti in materia, quali le Convenzioni Unesco del 2003 e 2005, rispettivamente dedicate
alla salvaguardia del patrimonio cultuale immateriale e alla promozione della diversità delle espressioni
culturali.19 In particolare, all’atto della ratica della Carta europea, intervenuta nel 2001, e cioé dopo ben
nove anni dalla rma, il governo spagnolo, senza menzionarle esplicitamente, confermava lo statuto della co-
ufcialità per le lingue regionali riconosciute come tali dagli statuti del Paese Basco, della Catalogna, delle
Isole Baleari, della Galizia, della Navarra e della Comunità Valenzana. Alla promozione di queste lingue
nei diversi settori pubblici disciplinati dalla Carta europea, e alle quali in verità già prima della ratica le
Comunità autonome avevano rivolto la loro attenzione con apposite norme,20 la Spagna – pur essendo nella
sua facoltà effettuare una selezione – ha scelto di rivolgere l’intera Parte III del documento, esprimendo
altresì la volontà di estendere le stesse misure ad altre lingue protette dagli statuti di autonomia nei territori in
cui sono tradizionalmente parlate, se considerate alla stregua di lingue regionali o minoritarie.21 Da segnalare,
invece, che il governo spagnolo ha esplicitamente escluso, nonostante la ratica nel 1995 della Convenzione-
quadro per la protezione delle minoranze nazionali, la presenza di comunità qualicabili come “minoranze
nazionali”. Pertanto, la disposizione contenuta nella Convenzione-quadro e sopra richiamata, relativa alla
valorizzazione della toponomastica tradizionale, non trova applicazione nei territori delle Comunità autonome
17 La STC 82/1986 parla in proposito di “alcance de la ocialidad” (FJ 5 e 6). Sul regime giuridico delle lingue nell’ordinamento
spagnolo, v. Pérez Fernández, J. M., (coord.), Estudios sobre el estatuto jurídico de las lenguas en España, Barcelona, Atelier, 2006.
18 V. STC 31/2010 (FJ 14) sull’art. 6, 1° comma, statuto catalano. Secondo il Tribunale, l’aggettivo “preferente”, riferito all’uso del
catalano, lungi dal potersi considerare sinonimo di “normale” o “abituale”, evoca una posizione di primazia del catalano rispetto
al castigliano. La disposizione impugnata non era ritenuta suscettibile di una interpretazione costituzionalmente conforme e veniva
dichiarata incostituzionale.
19 La Spagna ha raticato entrambe le convenzioni nel 2006.
20 V. infra §4.
21 A questo proposito, la Raccomandazione del 20 gennaio 2016 adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sul
Cuarto informe sobre el cumplimiento en España de la Carta europea de las lenguas regionales o minoritarias, del Consejo de
Europa2010-2013, suggeriva alle autorità spagnole di “consider extending the recognition of those regional or minority languages
with a co-ofcial status in six Autonomous Communities to other Autonomous Communities provided that there is a sufcient
number of users of the regional or minority language involved”.
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con lingue regionali, minoritarie, co-ufciali, in quanto tali lingue non sono propriamente riconducibili a
“minoranze nazionali”.22
Attinenti al prolo che ci occupa sono poi le previsioni costituzionali concernenti la distribuzione delle
competenze tra lo Stato centrale e le Comunità autonome. In primo luogo, gli statuti regionali – che costituiscono
la “norma istituzionale basilare di ogni Comunità” (art. 147.1) da approvarsi con legge organica (art. 81) –
devono contenere le denominazioni delle Comunità che meglio corrispondano alle rispettive identità storiche
e indicare le denominazioni delle istituzioni autonome della Comunità (art. 147.2. a), c). In secondo luogo,
l’attribuzione alle Comunità delle competenze relative ad ambiti di interesse regionale, come le modiche
dei conni municipali, il governo del territorio e l’urbanistica, le ferrovie e strade il cui percorso si sviluppa
integralmente in ambito regionale, la promozione della cultura (art. 148.1.2, 3, 5, 17), consente di riconoscere
alle autonomie territoriali spazi di intervento anche in relazione alle denominazioni di località, siti e oggetti
geograci, senza dimenticare che le Comunità, sulla base dei loro statuti, possono altresì disciplinare materie
non esplicitamente attribuite allo Stato (art. 149.3). Sono invece di esclusiva competenza statale la disciplina
fondamentale delle amministrazioni pubbliche, la segnaletica marittima, i porti e gli aeroporti di interesse
generale, la regolamentazione del trafco e della circolazione stradale, dei trasporti che interessino il territorio
di più Comunità e delle infrastrutture di titolarità statale (art. 149.1.18, 20, 21).23
Oltre al dato costituzionale, svariate disposizioni statali di rango legislativo e regolamentare si sono
susseguite nel tempo, contribuendo a mettere a fuoco alcuni aspetti problematici, a cominciare dal fatto che
il riconoscimento costituzionale della co-ufcialità del castigliano e di altre lingue regionali poteva condurre
a una sovrapposizione di competenze nella denizione della segnaletica stradale tra i poteri centrali e quelli
regionali. A far luce sulla questione è intervenuto il Reale Decreto 334/1982:24 successivo alla approvazione
degli statuti di autonomia, ma precedente alla adozione delle leggi regionali di normalizzazione linguistica,25 il
decreto ammette, nella introduzione, che “essendo sorti alcuni dubbi nella applicazione della normativa vigente
sulla segnaletica delle strade e degli elementi di trasporto e comunicazione, come pure nella distribuzione
delle competenze nella materia, sembra opportuno che si determini, nel quadro della Costituzione, il regime
di co-ufcialità del castigliano con gli idiomi propri di alcune Comunità autonome”. Pertanto, l’art. 1
dispone che “nell’ambito territoriale delle Comunità autonome costituite con un’altra lingua ufciale diversa
dal castigliano, la segnaletica o le indicazioni scritte delle strade e autostrade, delle stazioni ferroviarie, di
autobus o marittime, dei porti di interesse generale, degli aeroporti aperti al transito commerciale, dei passi di
frontiera e altre installazioni o dei servizi d’interesse pubblico generale di competenza delle stesse Comunità
autonome o dell’amministrazione dello Stato […] si effettueranno in lingua castigliana e nell’altra lingua
ufciale della Comunità autonoma che sia riconosciuta nel rispettivo statuto di autonomia”. L’art. 2 aggiunge
che l’esecuzione della suddetta normativa – da assegnare agli enti pubblici o ai concessionari responsabili
di strade, stazioni, aeroporti, installazioni e servizi – è subordinata al fatto che ciascuna Comunità autonoma
“detti, nell’ambito della propria competenza, una norma che determini l’utilizzo del castigliano in senso
identico a quanto disposto in questo Reale Decreto”.
L’Ordine del Ministero dello Sviluppo per i segnali verticali delle strade stabilisce inoltre che, nelle Comunità
autonome con lingua co-ufciale, tanto per i nomi propri degli enti territoriali, quanto per quelli comuni di
località, si utilizzino esclusivamente i toponimi ufciali, con la precisazione che la denominazione nella
lingua della Comunità precede quella espressa in castigliano (art. 2.5 Ordine ministeriale 534/2014).26
22 Per espressa dichiarazione al momento della ratica, la Convenzione-quadro trova applicazione limitatamente ai cittadini spagnoli
appartenenti alla “comunità gitana”, che comunque non costituisce una minoranza nazionale. In linea con questa dichiarazione, i
Rapporti periodicamente trasmessi al Comitato consultivo hanno riguardato esclusivamente le misure adottate nei confronti della
comunità gitana.
23 La STC 59/1985 ha sottolineato la competenza esclusiva statale in materia di circolazione e segnaletica stradale, anche per
esigenze di sicurezza che devono essere assicurate in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale.
24 Si tratta del Real Decreto 334/1982, de 12 de febrero, sobre señalización de carreteras, aeropuertos, estaciones ferroviarias, de
autobuses y marítimas y servicios públicos de interés general en el ámbito de las Comunidades Autónomas con otra lengua ocial
distinta del castellano.
25 V. infra §4.
26 Orden FOM/534/2014, de 20 de marzo, por la que se aprueba la norma 8.1-IC señalación vertical de la Instrucción de carreteras.
La disposizione citata puntualizza che, se il nome proprio è abbastanza breve da poter essere scritto in una sola riga, la versione
nella lingua regionale precede, separata da una barra, quella in castigliano; se si rende necessario scrivere il toponimo in due righe
distinte, nella prima viene riportato quello nella lingua della Comunità e nella riga successiva, separato da una linea orizzontale, il
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Di analogo tenore, ma riferito alla lingua da utilizzare nella toponomastica urbana, il Reale Decreto 1428/2003,
contenente il regolamento generale sulla circolazione,27 stabilisce che le indicazioni scritte nei segnali
delle vie pubbliche siano espresse in castigliano “e altresì nella lingua ufciale della Comunità autonoma
riconosciuta nel rispettivo statuto di autonomia, quando il segnale è collocato nell’ambito territoriale della
Comunità” (art. 138). Allo stesso modo, secondo la disposizione citata, i nuclei urbani e gli altri toponimi
sono riportati nella loro denominazione ufciale, mentre l’impiego ausiliario e residuale del castigliano è
subordinato alla presenza di oggettive esigenze di identicazione dei luoghi.
Diverse disposizioni statali sono inoltre intervenute sia sul tema, già esaminato nel contesto delle Nazioni
Unite, della standardizzazione dei nomi geograci, sia a proposito delle denominazioni ufciali degli enti
locali. Così, il Reale Decreto 1545/2007 disciplina il sistema cartograco nazionale e introduce il registro dei
toponimi (Nomenclátor Geográco Nacional) che raccoglie i toponimi ufciali espressi in castigliano e nelle
altre lingue ufciali (art. 23.2.b). Tale registro viene elaborato secondo i criteri approvati dalla commissione
permanente del consiglio superiore geograco, organo consultivo del Ministero dello Sviluppo e composto
da rappresentanti delle amministrazioni statali e delle Comunità autonome.
Quanto alle denominazioni degli enti locali, a fronte del silenzio serbato sul punto dalla legge 7/1986
sulle regole da osservare in materia cartograca,28 maggiore precisione si riscontra nella normativa che
disciplina il regime delle autonomie locali. Così, la legge 7/198529 ha stabilito che le denominazioni dei
municipi possono esprimersi “in castigliano, in qualunque altra lingua spagnola ufciale nella rispettiva
Comunità, o in entrambe” (art. 14, 2° comma). La formazione, la conservazione e la rettica dell’anagrafe
municipale, in origine afdate con cadenza periodica agli stessi municipi (art. 17, 2° comma), sono oggi
attività informatizzate e gestite con il coordinamento tecnico dell’Istituto nazionale di statistica, in modo
da consentire l’aggiornamento continuo e permanente dei dati, utili anche per il censimento generale della
popolazione residente e per la delimitazione delle circoscrizioni elettorali.30
Per parte sua, il Reale Decreto Legislativo 781/1986 sul regime degli enti locali riconosce all’esecutivo
delle Comunità autonome la competenza per modicare le denominazioni dei municipi (art. 11); inoltre, il
decreto afda, rispettivamente, a una legge del parlamento la modica delle denominazioni e dei capoluoghi
delle cinquanta province in cui è suddiviso il territorio della Spagna e ad una legge organica l’alterazione dei
conni delle province stesse (art. 25). Pertanto, le province catalane, tradizionalmente denominate “Gerona”
e “Lérida”, sono state ri-denominate con legge statale “Girona” e “Lleida” (legge 2/1992), le province della
Galizia “La Coruña” e “Orense” sono diventate “A Coruña”31 e “Ourense” (legge 2/1998), la provincia
delle Isole “Baleares” è diventata, in catalano, “Illes Balears” (legge 13/1997), le denominazioni in lingua
valenzana delle province della Comunità omonima “Alicant”, “Castelló” e “València” sono ora considerate
co-ufciali (legge 25/1999), le demarcazioni provinciali dei territori storici identicati come “Álava”,
“Guipúzcoa” e “Vizcaya” nel Paese Basco sono state ufcialmente cambiate in quelle di “Araba/Álava”,
“Gipuzkoa” e “Bizkaia” (legge 19/2011).
Spetta invece ai comuni approvare e aggiornare la numerazione degli edici, la denominazione e segnalazione
delle vie pubbliche, che devono essere chiaramente espresse all’inizio e alla ne della strada, curando che non
vi siano due vie col medesimo nome nello stesso nucleo urbano e fermo restando che le autorità municipali
sono solite porre restrizioni ai cambiamenti di denominazioni e favorire piuttosto la conservazione o il
recupero dei nomi tradizionali.32 In ogni caso, l’odonomastica o toponomastica urbana è rimessa alla scelta
toponimo nella versione castigliana. Il medesimo criterio è seguito per i nomi comuni, ricorrendo ove possibile a pittogrammi. Il
provvedimento ha aggiornato e sostituito il precedente Ordine ministeriale del 28 dicembre 1999.
27 Real Decreto 1428/2003, de 21 de noviembre, por el que se aprueba el Reglamento General de Circulación para la aplicación
y desarrollo del texto articulado de la Ley sobre tráco, circulación de vehículos a motor y seguridad vial, aprobado por el Real
Decreto Legislativo 339/1990, de 2 de marzo. Il Reale Decreto 1428/2003 ha derogato al precedente Reale Decreto 13/1992 sulla
medesima materia.
28 Ley 7/1986, de 24 de enero, sobre la ordenación de la cartograa.
29 Ley 7/1985, de 2 de abril, reguladora de las Bases del Régimen Local.
30 La legge 4/1996 ha così modicato il citato art. 17 legge 7/1985.
31 Cfr. infra nota 58.
32 Cfr., in proposito, art. 60 Reale Decreto 1690/1986 (Reglamento de Poblacion y demarcación territorial de las Entidades
Locales), modicato dal Reale Decreto 2612/1996. Si veda anche Risoluzione aprile 1997 della Presidenza dell’Istituto nazionale
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discrezionale dei Comuni33 e, in quanto competenza residuale ai sensi della citata legge 7/1985 (art. 21.1.s)
e art. 22.2.q), viene generalmente esercitata dall’ufcio del Sindaco ovvero, in alcuni municipi, dal plenum
dell’organo esecutivo.
Va inne tenuto presente che i toponimi tradizionali, insieme alle espressioni orali, alle modalità e particolarità
linguistiche, costituiscono beni culturali, meritevoli di protezione e valorizzazione ai sensi della legge
10/2015 sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (art. 2 a) che esplicitamente richiama nella
introduzione la Risoluzione IX/4 del 2007 della Conferenza delle Nazioni Unite sulla standardizzazione dei
nomi geograci.
4 La disciplina della toponomastica nelle Comunità autonome con lingua co-ufciale
A fronte della parziale vigenza del bilinguismo per alcuni toponimi di interesse nazionale (es. Donostia/
San Sebastián), nelle Comunità la cui lingua è paricata a quella dello Stato, i nomi delle località e degli
insediamenti abitativi possono avere come unica forma ufciale quella indicata in una lingua distinta dal
castigliano, conformemente agli statuti di autonomia approvati negli anni ’80 e, in alcuni casi, recentemente
modicati non senza riessi sulla questione linguistica.34 La giurisprudenza del Tribunale Supremo ha
confermato la scelta del monolinguismo nelle denominazioni di località e, ad esempio con riferimento alla
toponomastica catalana, ha affermato che l’indicazione dei toponimi nella lingua propria della corrispondente
Comunità non costituisce una violazione del principio di eguaglianza sancito nella Costituzione, poiché nella
fattispecie non viene in considerazione l’eguaglianza degli spagnoli davanti alla legge, bensì semplicemente
la “comparación en abstracto de las lenguas castellana y catalana en cuanto instrumentos de la toponimia”.35
Viceversa, la segnalazione di strade ed edici nelle Comunità autonome senza lingua ufciale dovrebbe
ricevere la forma bilingue.36
A questo punto, meritano un cenno i concetti connessi, ma non coincidenti, di “lingua propria” e di “lingua
ufciale”, variamente richiamati da diversi statuti di autonomia. La dichiarazione di lingua “propria”
intende sottolineare il fatto di essere caratteristica, peculiare, identicativa, specica di un dato territorio
e di una corrispondente popolazione. In quanto tale, la lingua propria di una Comunità è pertinente alla
stessa e riconducibile alla sua disponibilità.37 Il riconoscimento della “ufcialità” concerne invece la sfera
pubblica delle relazioni dei cittadini con le autorità e i rapporti tra le autorità stesse. In altri termini, la lingua
ufciale, in quanto strumento impiegato per esprimere la volontà dei pubblici poteri, deve essere utilizzata
non soltanto tra i funzionari, ma altresì, a ni di certezza giuridica, nei rapporti con i cittadini e tutti i
soggetti dell’ordinamento, in quanto normale mezzo di comunicazione pienamente valido e giuridicamente
efcace.38 Rispetto alla co-ufcialità del castigliano e delle lingue regionali, secondo i rispettivi statuti di
autonomia, il Tribunale costituzionale ha affermato che questo criterio trova applicazione “con respecto a
todos los poderes públicos radicados en el territorio autonómico, sin exclusión de los órganos dependientes
de la Administración central y de otras instituciones estatales en sentido estricto, siendo, por tanto, el
criterio delimitador de la ocialidad del castellano y de la coocialidad de otras lenguas el del territorio,
di statistica e del Direttore generale della cooperazione territoriale. In dottrina, su questi sviluppi, cfr. Belloso, M.J.I., «La toponimia
urbana en el derecho español», in Revista de Administración Pública, n° 181, 2010, spec. pp. 273-275.
33 Sul punto v. anche STS 6 novembre 1984 e, in dottrina, sulla normativa statale e regionale spagnola in materia di toponomastica
urbana: Belloso, M.J.I., «La toponimia urbana », cit., p. 267 ss.
34 Sulla regolamentazione della toponomastica nelle Comunità autonome con lingua regionale e/o co-ufciale, v. in dottrina il
contributo di Poggeschi, G., «Place names in Spain: the prominence of the linguistic pluralism of the Estado autonómico», in de
Vergottini, G., Piergigli, V., (a cura di), Topographical Names, cit., p. 285 ss.
35 Così, STS 27 gennaio 1995.
36 Così, STS 2 febbraio 2005. Cfr. anche Belloso, M.J.I., «La toponimia urbana», cit., p. 280.
37 La dottrina sul punto non è concorde, secondo quanto riferisce Poggeschi, G., Le nazioni linguistiche della Spagna autonómica,
Padova, Cedam, 2002, p. 117, nota 3; cfr. inoltre, Vernet, J., Punset, R., Lenguas y Constitución, Madrid, Iustel, 2007; Garcia
Roca, J., «Glosario de las cláusulas lingüística en los Estatutos de Autonomía», in López Castillo, A., (dir.), Lenguas y Constitutión
Española, Valencia, Tirant Lo Blanch, 2013, p. 86, il quale riassume la nozione di “lingua propria” nel fatto di essere caracteristica
e “privativa” di una Comunità autonoma. Con riguardo al catalano, quale “lengua pròpia” della Catalogna, cfr. le considerazioni
di Puig Salellas, J. M., «Els gran conceptes de la doble ocialitat en la Llei 1/1998 de política lingüística», in Revista de Llengua i
Dret, n° 29, 1998, p. 23 ss.
38 Così, STC 82/1986, FJ 2, e Garcia Roca, J., op.ult.cit., p. 90 ss.
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independientemente del carácter estatal (en sentido estricto), autonómico o local de los distintos poderes
públicos”.39
Dunque, il monolinguismo è il criterio che diverse Comunità con lingua co-ufciale propria hanno prescelto,
come vedremo tra poco, per esprimere le denominazioni geograche in ambito locale. Tale scelta, che
contribuisce a esaltare, anche visivamente, la rilevanza della lingua tradizionale e distinta dal castigliano,
è frutto della devoluzione al legislatore autonómico della competenza in tema di politiche linguistiche.
Pertanto, se il castigliano è la lingua ufciale sull’intero territorio nazionale, è facoltà delle Comunità
autonome individuare nei loro statuti altri idiomi parimenti ufciali nei rispettivi territori e regolarne gli
usi pubblici, limitatamente all’ambito regionale, attraverso le c.d. leggi di normalizzazione linguistica.40
L’esercizio di questa facoltà non può, in ogni caso, determinare l’esclusione radicale e generalizzata di una
delle lingue e introdurre una situazione di monolinguismo di fatto che sarebbe incostituzionale.41 Il corpus
normativo regionale in materia di diritti linguistici è allora costituito, oltre che dalle norme di principio
racchiuse negli statuti di autonomia, dalle leggi di normalizzazione, progressivamente intervenute nel corso
degli anni ’80 e talora sostituite in anni più recenti, nonché da ulteriori atti legislativi e decreti specicamente
assunti per la regolazione dettagliata della toponomastica nelle lingue regionali.
Inoltre, a prescindere dal regime della doppia ufcialità, come si evidenzierà nel paragrafo successivo, la
regolamentazione del paesaggio linguistico non è affatto estranea alla competenza regionale, ove si abbia
riguardo ad ambiti materiali che, a vario titolo, possono interessare le competenze delle Comunità autonome
con riessi signicativi anche in relazione alla determinazione dei nomi di luogo.
Catalogna
Nel territorio della Catalogna sono tre le lingue ufciali: il castigliano, il catalano che è parlato da circa il
70% della popolazione, l’occitano o aranese che conta circa 4.500 parlanti pari allo 0,1% della popolazione
totale della Comunità.42
Il nuovo statuto di autonomia del 2006 (legge organica 6/2006), duramente colpito dalla STC 31/2010,
ha preso il posto del primo statuto del 1979, il quale già aveva riconosciuto il regime di doppia ufcialità
del catalano e del castigliano, mentre la nuova legge sulla politica linguistica 1/1998 ha sostituito la legge
di normalizzazione linguistica 7/1983. Senza stravolgere le coordinate essenziali della regolamentazione
dei diritti e doveri linguistici nella regione, le sopraggiunte normative hanno realizzato una importante e
imponente opera di aggiornamento che tocca anche il tema della toponomastica.
Punto di partenza è l’art. 6 dello statuto, secondo cui il catalano è lingua propria e ufciale della Comunità
congiuntamente al castigliano, cui si aggiunge l’occitano che è lingua propria nel territorio di Aran e ufciale
nell’intera Catalogna.43 Con specico riguardo alla toponomastica, rilevano due disposizioni statutarie:
l’una assegna alle competenze della Generalitat “la denominazione, la scelta del capoluogo e i simboli dei
municipi e degli altri enti locali; i toponimi e la determinazione dei regimi speciali” (art. 151.1 b); l’altra
riconduce, sempre alle attribuzioni della Generalitat, “la difesa giuridica e processuale dei toponimi della
Catalogna applicati al settore dell’industria” (art. 155.2 b), lasciando trasparire la volontà di tutelare l’idioma
39 STC 82/1986, FJ 2, e, in dottrina, Urrutia Libarona, I., «Apuntes jurídicos sobre el paisaje lingüístico en Euskal Herria», in Revista
de Llengua i Dret, n° 31, 1999, p. 133 ss.
40 STC 56/1990, FJ 40, secondo cui non è congurabile una competenza esclusiva, ma solo concorrente con riguardo alla
regolamentazione delle lingue a favore delle Comunità autonome; in precedenza, su questo aspetto, cfr. STC 69/1988, nonché i voti
particolari espressi in relazione alla STC 82/1986.
41 STC 337/1994 (FJ 10) e in dottrina, Urrutia Libarona, I., «Apuntes jurídicos», cit., p. 141, il quale aggiunge che, in ogni caso, la
garanzia della co-ufcialità non impone che tutte le attività pubbliche siano condotte in forma bilingue.
42 I dati relativi al numero dei parlanti le lingue regionali co-ufciali nelle Comunità autonome riferite nel testo sono tutti tratti da
Vacca, A., Rights to Use Minority Languages in the Public Administration and Public Institutions: Italy, Spain and the UK, Torino,
Giappichelli, 2017. Sulla regolamentazione della toponomastica in Catalogna, cfr., in particolare, Marín i Díaz Guerra-Llobet, F.,
Vernet i Llobet, J., «El règim jurídic», cit., p. 85 ss.; Vernet, J., Pons, E., Pou, A., Solé, J. R., Pla, A.M., (coord.), Dret lingüístic, Valls,
Cossetània Edicions, 2003, p. 239 ss.; Solé i Durany, J. R., «L’aplicació de la Constitució i de l’Estatut d’autonomia de Catalunya.
Model lingüístic territorial o model personal en els diferents sectors?», in Milian i Massana, A., (coord.), El plurilingüísme a la
Constitució espanyola, Barcelona, Institut d’Estudis Autonòmics, 2009, p. 151 ss.
43 In proposito, l’art. 11 statuto riconosce l’identità culturale, storica, geograca e linguistica della realtà occitana di Aran, che merita
un regime speciale di protezione.
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catalano anche nel settore delle attività produttive private, le quali in realtà appaiono minacciate più dalla
potenza economica dell’inglese che dal castigliano o da altre lingue autoctone.44
Alla materia della toponomastica si rivolge in dettaglio la richiamata legge 1/1998 che, dopo aver confermato
lo status del catalano quale lingua propria e co-ufciale della Catalogna (artt. 2-3), all’art. 18 stabilisce
la regola del monolinguismo, catalano o aranese a seconda della collocazione geograca dei luoghi da
denominare. È infatti previsto che: “I toponimi della Catalogna hanno come unica forma ufciale la catalana,
d’accordo con la normativa linguistica dell’Istituto di Studi Catalani, tranne quelli della Val d’Aran che
hanno la forma aranese” (art. 18, 1° comma). In verità, già in passato una normativa regionale, attuativa
del menzionato Reale Decreto 334/1982, stabiliva l’uso obbligatorio del catalano, senza escludere tuttavia
l’impiego dell’altra lingua ufciale (decreto 106/1982).
L’art. 18 prosegue rinviando alla legislazione sugli enti locali la determinazione dei nomi dei comuni e delle
comarche e afdando ai comuni la determinazione dei nomi delle vie urbane e degli insediamenti abitativi.
Spetta invece al governo della Generalitat la ssazione degli altri toponimi della Catalogna, comprese le vie
interurbane, qualunque sia l’ente dal quale dipendono.
La norma ha ricevuto diverse ulteriori specicazioni. Così, con riferimento alla toponomastica tradizionale
nella Valle d’Aran, la legge 35/2010 – sostitutiva della legge 16/1990 – ha ribadito il carattere dell’occitano
come lingua propria di Aran e ufciale della Catalogna, da impiegare in tutte le istituzioni della Valle, nei
mezzi di comunicazione pubblica, nell’istruzione e nella espressione dei toponimi (art. 2) 45 che hanno come
unica forma ufciale quella aranese (art. 11). Sul tema ritorna la legge sul regime speciale di questo territorio
che, oltre a sottolineare il carattere proprio e l’uso “normal y preferente” dell’aranese nelle amministrazioni
pubbliche, attribuisce al consiglio generale di Aran la tutela giuridica e processuale dei toponimi locali (art.
8 e art. 76 legge 1/2015).
E ancora, in attuazione dell’art. 18 della legge 1/1998, svariati decreti sono intervenuti, tra l’altro, per
disciplinare l’uso della toponomastica con l’obbligo di segnalare le vie urbane e interurbane esclusivamente
nella forma ufciale catalana o aranese (decreto 78/1991, modicato dal decreto 59/2001), per denire il
procedimento per il cambiamento delle denominazioni dei nuclei urbani e degli enti municipali (decreto
60/2001), per istituire la Commissione sulla toponomastica, organo consultivo del Dipartimento della
cultura incaricato della ssazione ufciale dei toponimi della Catalogna (decreto 59/2001), per regolare
la denominazione, i simboli e il registro degli enti locali della Catalogna (decreto 139/2007). Quest’ultimo
decreto, in particolare, si occupa dell’iter per cambiare o retticare le denominazioni dei municipi, rinviando
alla normativa sul regime degli enti locali (art. 31 decreto legislativo 2/2003). In sintesi, sono previsti il voto
a maggioranza assoluta dei membri del consiglio municipale, la collaborazione specialistica dell’Istituto di
Studi Catalani e il coinvolgimento della popolazione locale mediante apposita procedura di informazione
pubblica (artt. 2-6 decreto 139/2007).
Paese Basco
Diversamente dal catalano, il basco (euskera), oltre a essere un idioma di radice non latina né indoeuropea,
è utilizzato da una porzione rilevante ma non maggioritaria della collettività locale. Parlato da circa il 40%
della popolazione nella regione, l’euskera è dichiarato lingua propria e ufciale insieme al castigliano dallo
statuto di autonomia (art. 6 legge organica 3/1979) e dalla legge di normalizzazione linguistica (artt. 2-3
legge 10/1982). Tuttavia, tale riconoscimento non consente di alterare la situazione di sostanziale simmetria
tra la lingua di Stato e l’idioma regionale nei diversi ambiti pubblici. In altri termini, dopo la STC 82/1986,
44 Così, Poggeschi, G., «Place names in Spain», cit., p. 294. Si veda anche, a proposito delle imprese che operano in Catalogna,
quanto dispone l’art. 32, 3° comma, statuto: “La señalización y los carteles de información general de carácter jo y los documentos
de oferta de servicios para las personas usuarias y consumidoras de los establecimientos abiertos al público deben estar redactados,
al menos, en catalán. Esta norma no se aplica a las marcas, los nombres comerciales y los rótulos amparados por la legislación de la
propiedad industrial”.
45 Effettivamente, nella versione originaria dell’art. 2, come di altre disposizioni della legge 35/2010, comparivano i termini
preferente” o “preferentemente”, riferiti all’impiego della lingua aranese, che la STC 11/2018 – sulla scorta della STC 31/2010
resa sullo statuto catalano e della STC 86/2017 relativa all’impiego del catalano nei media – ha dichiarato incostituzionali. In
sostanza, secondo il Tribunale costituzionale, il regime di co-ufcialità dell’aranese non può implicare né l’uso esclusivo né quello
preferenziale di questa lingua rispetto ad altre parlate nella Comunità, ma soltanto il suo impiego normale nelle relazioni pubbliche.
Valeria Piergigli
Toponomastica e pluralismo linguistico nella Spagna autonómica
Revista de Llengua i Dret, Journal of Language and Law, núm. 72, 2019 34
non è più congurabile, neppure a livello municipale ove la maggioranza della popolazione sia in ipotesi
bascofona, la possibilità di un impiego della lingua regionale da parte dei poteri pubblici in forma esclusiva e
tale da non ledere i diritti dei cittadini di lingua castigliana.46 La tutela dell’euskera ha comunque conosciuto
un progressivo rafforzamento, specialmente nel sistema educativo, anche grazie al ruolo svolto, nel recupero
della lingua, dalla Accademia Reale della lingua basca che è organo consultivo ufciale relativamente
all’euskera (art. 6, 4° comma statuto).
L’abbandono, in molti contesti, dei nomi di luogo tradizionali durante il franchismo ha ceduto il posto,
con la restaurazione della democrazia e dell’autonomia regionale, a una maggiore sensibilità da parte delle
istituzioni verso il recupero della toponomastica, seppure senza pervenire alla garanzia del monolinguismo.
Infatti, diversamente dalla Catalogna e dalla Valle d’Aran, la legislazione fondamentale del Paese Basco esige
il rispetto della originalità basca, romanza o castigliana “con la graa accademica propria di ogni lingua”
nelle denominazioni ufciali dei territori, dei comuni, degli insediamenti abitativi, dei luoghi geograci,
delle vie urbane e, in generale, dei toponimi della Comunità, ma non si spinge a imporre l’impiego esclusivo
dell’euskera (art. 10, 1° comma, legge 10/1982). Pertanto, ogni municipio può scegliere di esprimere i nomi
ufciali dei toponimi soltanto in euskera o soltanto in castigliano, ma anche nelle due lingue alternativamente
o in forma congiunta.47
Le denominazioni sono stabilite dal governo, dagli organi forali dei territori storici e dagli enti locali,
secondo le rispettive competenze e, in linea di massima, per la denominazione delle vie urbane il principio
è quello della competenza comunale. Tuttavia, l’eventuale conitto tra il governo basco e gli enti locali
sulla nomenclatura ufciale da attribuire alle località indicate dall’art. 10, 1° comma, sopra riportato, è
risolto dall’esecutivo autonómico, previo parere della Accademia Reale della lingua basca. Più precisamente,
la legge sulle istituzioni locali del Paese Basco stabilisce che i municipi provvedono a determinare la
nomenclatura ufciale e a disciplinare il procedimento e l’approvazione dei toponimi e dei luoghi geograci
nel proprio ambito territoriale, attenendosi per le regole grache alle indicazioni accademiche concernenti
le lingue impiegate (art. 7, 3° comma, legge 2/2016).
La regola del bilinguismo (castigliano-euskera) nei segnali e nelle indicazioni di trafco nelle strade
pubbliche trova espressa menzione nella disposizione citata, che sottolinea altresì il rispetto delle norme
internazionali e delle esigenze di intelligibilità e chiarezza per gli utenti (art. 10, 2° comma, legge 10/1982).
Qualora la doppia denominazione del toponimo trovi espressione in forme sensibilmente diverse, entrambe
le versioni sono considerate ufciali ai ni della segnalazione stradale (art. 10, 3° comma, legge 10/1982).48
Oltre alla citata Accademia Reale della lingua basca, altri organismi concorrono alla promozione dell’euskera
nella vita pubblica, incluso il settore della toponomastica. In particolare, merita menzione la Commissione
speciale sulla toponomastica, organo permanente istituito all’interno del Consejo Asesor del Euskera con
funzioni di consulenza e proposta verso l’amministrazione autonómica e le amministrazioni locali, in
relazione alla ssazione, modica e recupero dei toponimi della Comunità (art. 13 decreto 3076/2000 del
governo basco). Quando non spetti alla citata Commissione speciale, la normalizzazione della toponomastica
nella segnaletica stradale e nel paesaggio linguistico in generale è attribuita alla Direzione per la promozione
dell’euskera nell’ambito del Dipartimento basco della cultura (art. 16 decreto 1068/2006 del governo basco).
Tale Direzione ha provveduto, tra l’altro, alla revisione della toponomastica nelle tre province storiche della
Comunità (Álava, Guipúzcoa e Vizcaya), contribuendo alla politica di promozione della lingua basca, che
soffre del contatto con lingue più diffuse e di maggiore prestigio internazionale, come sono il castigliano e
il francese.49
46 Urrutia Libarona, I., «Apuntes jurídicos», cit., p. 141 ss., considera un handicap il divieto di utilizzazione esclusiva dell’euskera
in ambito locale, sancito da STC 82/1986 che ha dichiarato incostituzionale l’art. 8, 3° comma, statuto (“No obstante lo preceptuado
anteriormente, los poderes públicos podrán hacer uso exclusivo del euskera para el ámbito de la Administración Local, cuando en
razón de la determinación sociolingüística del municipio, no se perjudiquen los derechos de los ciudadanos”).
47 Urrutia Libarona, I., «Apuntes jurídicos», cit., p. 147 e nota 74, che parla di una disciplina troppo rigida nel Paese Basco in
relazione al paesaggio linguistico e meno ambiziosa di quella adottata da altre Comunità bilingui, come ad esempio la Catalogna.
48 Sulla ambiguità nella formulazione della disposizione, v. la lettura proposta da Urrutia Libarona, I., «Apuntes jurídicos», cit., p.
153 s., il quale perviene alla conclusione che, qualunque sia l’interpretazione, “no se exige … la consignación bilingüe mixta de los
topónimos en las señales”.
49 Così, Poggeschi, G., «Place names in Spain», cit., p. 289.
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Toponomastica e pluralismo linguistico nella Spagna autonómica
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Comunità Forale della Navarra
L’euskera non è utilizzato esclusivamente nel Paese Basco, ma anche nella vicina Comunità Forale della
Navarra, sebbene soltanto da una percentuale di parlanti compresa tra il 10% e il 25%. Peraltro, i bascofoni
non sono distribuiti in maniera uniforme nella regione, essendo la porzione maggioritaria concentrata nella
parte settentrionale. Limitatamente a quest’area geograca il basco gode dello status della co-ufcialità
insieme al castigliano, che è l’unica lingua ufciale nell’intero territorio della Comunità.
La situazione socio-linguistica trova esplicita consacrazione nello statuto di autonomia che rinvia a una
legge forale l’individuazione delle aree in cui la lingua basca è parlata e la regolamentazione del suo uso
ufciale (art. 9 legge organica 13/1982).50 Originariamente, è stata la Ley foral del vascuense 18/1986 a dare
attuazione al disposto statutario, mediante la suddivisione del territorio della Comunidad Foral in tre zone e
precisamente: una zona monolingue non bascofona con lingua ufciale castigliana, una zona bascofona, con
doppia ufcialità di basco e castigliano, e una zona mista, con previsione di alcuni usi ufciali dell’euskera,
ad esempio nell’insegnamento e nelle relazioni con le pubbliche amministrazioni (art. 5). Dopo una prima
modica della disposizione richiamata, ad opera della legge forale 2/2010, che ampliava il numero delle
località da ricomprendere nella zona mista, l’evoluzione della realtà socio-linguistica nella Comunità
suggeriva l’adozione della legge forale 9/2017 (Ley foral del euskera). Il provvedimento ha sostituito, sia
nella intitolazione che nel testo, il termine “vascuense” con “euskera” ed è nuovamente intervenuto nella
enumerazione delle località da ricondurre all’una e all’altra zona. In particolare, Atez/Atetz rientra ora
nella zona bascofona e ben 44 località, in precedenza ricondotte nella zona non bascofona, sono transitate
nella zona mista. Come precisato nel preambolo, “Esta ampliación obedece también al reconocimiento y
protección especial del euskera y al objetivo de fomentar la recuperación del desarrollo en Navarra de esta
lengua autóctona”.
Inalterato, a parte l’introduzione dell’espressione “euskera” in luogo di “vascuense”, è invece il criterio che
presiede alla regolamentazione della toponomastica nel territorio della Navarra. I toponimi nella Comunità
assumono la loro denominazione ufciale nelle due lingue secondo il seguente criterio: nella zona bascofona
i nomi delle località sono espressi in euskera “salvo che esista una denominazione distinta in castigliano, nel
qual caso si utilizzeranno entrambi gli idiomi”; nella zona mista e in quella non bascofona le denominazioni
sono quelle esistenti al momento della entrata in vigore della stessa legge del 1986 “salvo che per quelle
espresse in castigliano esista una denominazione distinta, nel qual caso si utilizzeranno entrambe” (art. 8, 1°
comma, legge 18/1986).
Il governo della Navarra, su parere delle Accademia Reale della lingua basca, determina i toponimi della
Comunità, i nomi ufciali dei territori dei nuclei abitati e delle strade interurbane, mentre la ssazione
dei nomi delle vie urbane spetta ai comuni competenti. In proposito, si possono ricordare gli interventi
concernenti la determinazione delle denominazioni ufciali dei toponimi della zona bascofona (decreto foral
16/1989) e la denizione dei criteri per l’uso e l’espressione graca dei nomi ufciali degli insediamenti urbani
della Navarra, alcuni dei quali conoscono un’unica forma (castigliano o basco, come Castejón, Elizondo,
Leitza, Lodosa) ed altri hanno forma bilingue (come Abaurregaina/Abaurrea Alta, Doneztebe/Santesteban,
Pamplona/Iruña, Puente la Reina/Gares) (decreto foral 5/2018). La segnaletica pubblica si conforma alle
denominazioni così determinate, nel rispetto delle norme internazionali in materia di standardizzazione dei
nomi geograci (art. 8, 2° e 3° comma, legge 18/1986). Gli enti locali della zona bascofona utilizzano la
doppia lingua negli atti pubblici, nella segnalazione delle vie urbane e per i nomi propri dei luoghi pubblici
nel rispetto delle denominazioni tradizionali (art. 16 legge 18/1986).
Nonostante le riforme della ley foral sopra richiamate, che testimoniano l’attenzione della politica linguistica
progressivamente maturata per la valorizzazione dell’euskera, l’opera di recupero necessita probabilmente
di ulteriori sforzi,51 come dimostra almeno nel paesaggio linguistico la normativa vigente che impone l’uso
esclusivo del castigliano, da parte delle amministrazioni pubbliche e degli enti da queste dipendenti, per gli
50 La legge organica 13/1982 è stata modicata dapprima con legge organica 1/2010 e successivamente con legge organica 7/2010,
ma senza incidere sulla materia che ci occupa.
51 Interessante in proposito è la STS del 31 maggio 2011 che ha ritenuto legittimo il cambio del toponimo “Estella” in “Estella-
Lizarra”, nel corrispondente comune ubicato nella zona mista, che è così venuto a incorporare la denominazione in basco.
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avvisi pubblici e la segnaletica, tanto nella zona mista quanto in quella non bascofona (artt. 16-17 decreto
foral 29/2003).
Isole Baleari
Parlata nella variante delle Isole Baleari da circa il 73% della popolazione, la lingua catalana aveva già
ricevuto lo status di lingua ufciale insieme al castigliano nel primo statuto di autonomia di questa Comunità
(legge organica 2/1983) ed era stata dichiarata lingua propria nella legge di normalizzazione linguistica
del 1986 (legge 3/1986). Quest’ultima aveva inoltre sancito quella catalana come unica forma ufciale per
l’espressione dei toponimi, analogamente alla soluzione individuata dal legislatore della Catalogna.
Tali scelte sono state sostanzialmente confermate sia in occasione della riforma dello statuto di autonomia
(legge organica 1/2007) che con la modica della legge di normalizzazione linguistica (legge 1/2016). Lo
statuto afferma che la lingua catalana, propria delle Isole Baleari, così come la cultura e le tradizioni sono
elementi “identicadores y … vertebradores” della identità regionale (preambolo), prosegue riconoscendo il
carattere della ufcialità al catalano e al castigliano e l’uso normale di entrambi gli idiomi (art. 4), prevede
la competenza esclusiva della Comunità in materia di insegnamento della lingua catalana, in quanto propria
delle Isole Baleari, in conformità con la tradizione letteraria autoctona, mentre lo studio e la protezione delle
modalità insulari del catalano di Maiorca, Minorca, Ibiza e Formentera non devono alterare l’unità della lingua
la cui normalizzazione costituisce uno degli obiettivi dei poteri pubblici della Comunità (art. 35). La sola
previsione statutaria in materia di toponomastica è quella relativa alla competenza esclusiva per la modica
delle circoscrizioni comunali, le denominazioni ufciali dei municipi e i toponimi in generale (art. 30.2).
I concetti di lingua propria e di lingua ufciale o co-ufciale si trovano disseminati all’interno della legge di
normalizzazione linguistica in tutti i settori pubblici nei quali è previsto l’impiego del catalano. Per quanto
attiene, in particolare, alla toponomastica, secondo il disposto dell’art. 14, che è stato integrato dalla legge
1/2016, i toponimi delle Isole Baleari hanno come unica forma ufciale quella catalana.
Merita, a questo proposito, di essere segnalato un intervento legislativo direttamente rilevante nella materia
che ci occupa, malgrado la sua vigenza sia stata limitata nel tempo. Nel 2012 il legislatore autonómico
decideva di modicare, tra l’altro, proprio il citato art. 14 della legge di normalizzazione, introducendo la
facoltà di indicare i toponimi della Comunità nella forma ufciale catalana oppure nella doppia versione
catalana e castigliana congiuntamente (Prima Disposizione nale legge 9/2012).52 La norma così riscritta
è rimasta in vigore per pochi anni, allorché, come riferito, il legislatore regionale, valutata la necessità
di sostenere e promuovere la lingua catalana,53 ha ripristinato la situazione anteriore e, modicando
nuovamente la normativa del 1986 mediante la legge 1/2016, ha reintrodotto l’uso esclusivo del catalano
nella toponomastica.
Il governo della Comunità o i consigli insulari determinano, con la consulenza dell’Università delle Isole
Baleari, i nomi ufciali dei comuni, dei territori, degli insediamenti abitativi, delle vie di comunicazione
interurbane e dei toponimi della Comunità. Spetta ai comuni stabilire i nomi delle rispettive vie urbane, anche
con la citata consulenza, dando preferenza alla toponomastica popolare tradizionale e agli elementi culturali
autoctoni. La segnaletica deve essere conforme alle denominazioni così realizzate, che sono legali a tutti gli
effetti. Nel rispetto delle norme internazionali sottoscritte dallo Stato, è compito del governo della Comunità
curare la normalizzazione della segnaletica pubblica (art. 14, 2° e 3° comma legge 3/1986, modif. da legge
1/2016). Questa è espressa in lingua catalana, eventualmente accompagnata da segni graci per facilitare la
comprensione, mentre alla redazione in forma bilingue si può ricorrere ove lo richiedano speciche esigenze
socio-linguistiche. In tale ipotesi, l’indicazione in castigliano segue quella in catalano, trattandosi di lingua
propria delle Isole Baleari (art. 15 legge 3/1986). Inne, il legislatore del 1986 ha prescritto un termine (tre
anni) per la redazione in catalano o l’eventuale rettica nella stessa lingua dei toponimi riferiti nell’art.
52 Ley 9/2012, de 19 de julio, de modicación de la ley 3/2007, de 27 de marzo, de la función pública de la Comunidad Autónoma
de las Illes Balears.
53 Peraltro, proprio con l’intento di promuovere l’impiego della lingua catalana nella vita istituzionale, sociale ed economica, di lì
a poco il legislatore ha approvato la Ley 4/2016, de 6 de abril, de medidas de capacitación lingüística para la recuperación del uso
del catalán en el ámbito de la función pública.
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14, fermo restando che, accanto alle forme ridenominate o corrette, possono conservarsi le denominazioni
originarie che abbiano un valore storico-artistico rilevante (seconda disposizione transitoria).
Nel tempo, la legislazione progressivamente intervenuta ha ricevuto attuazione e appositi regolamenti hanno
istituito la Commissione sulla toponomastica e stabilito le forme ufciali dei toponimi (decreto 36/1988,
modicato da decreto 50/1990 e da decreto 2/2004), senza tuttavia regolare il procedimento per il mutamento
delle denominazioni dei municipi ovvero per l’adattamento della forma catalana dei toponimi esistenti.54
A proposito del mutamento della toponomastica per ragioni legate al recupero di tradizioni più o meno
antiche, curiosa è la vicenda che ha interessato la denominazione della capitale dell’arcipelago: il nome
“Palma”, indicato già nello statuto di autonomia, veniva dapprima modicato dalla Comunità in “Palma
de Mallorca” (legge 6/2012) per tornare, successivamente, a riacquistare la versione originaria (legge
15/2016). In sostanza, la motivazione che aveva ispirato il primo mutamento, cioè recuperare il toponimo del
municipio nella sua denominazione tradizionale “Palma de Mallorca”, cedeva il posto alla considerazione
di eventi risalenti addirittura alla dominazione romana che aveva introdotto il nome “Palma”, sostituito
all’arrivo degli arabi con “Mallorca”, no al ripristino del primo toponimo all’inizio del XVIII secolo. Questa
consapevolezza ha fatto concludere – salvo ulteriori ripensamenti in futuro – che il nome “Palma”, in quanto
utilizzato più a lungo nel tempo, è quello meritevole di essere ristabilito e conservato.
Comunità Valenzana
Variante del catalano secondo la prevalente opinione dei linguisti, la lingua valenzana – come viene
ufcialmente denominata è parlata nella corrispondente Comunità da circa il 40% della popolazione.
Lo statuto di autonomia del 1982 (legge organica 5/1982) proclamava, all’art. 7, che il valenzano e il
castigliano sono entrambi di uso normale e ufciale, sanciva l’impegno al rispetto, alla protezione e al
recupero del valenzano, rinviando alla legge la denizione dei criteri di applicazione di questa lingua
nell’amministrazione e nella scuola. Sempre all’intervento legislativo veniva afdata la delimitazione dei
territori nei quali l’impiego dell’uno o dell’altro idioma fosse prevalente, nonché delle zone in cui escludere
l’uso e l’insegnamento della lingua propria della Comunità.
Riformato nel 2006 (legge organica 1/2006), lo statuto ha sostanzialmente confermato quella previsione,
insistendo però sulla qualicazione del valenzano come lingua propria e istituendo l’Accademia valenzana
della lingua (art. 6). Tra i settori di competenza esclusiva della Comunità, compaiono, insieme all’ordinamento
degli enti locali, la modica delle circoscrizioni comunali e la toponomastica (art. 49.1.8).
Ulteriori approfondimenti si devono ricercare, come per le altre Comunità autonome, nella legge linguistica
che, in questa Comunità, è intitolata all’uso e all’insegnamento della lingua valenzana (legge 4/1983). La
legge, dopo aver confermato il carattere del valenzano quale lingua propria (art. 2) e co-ufciale (art. 7),
rivolge un’intera disposizione alla disciplina della toponomastica, ambito al quale un cenno dedica anche il
preambolo (VI). In verità, con riguardo al criterio prescelto per la denominazione delle località, la situazione
non appare lineare, alla luce delle diverse fonti che si sono susseguite. L’art. 15 della citata legge del 1983,
dalla quale occorre muovere, opta per la toponomastica bilingue (castigliano-valenzano), nella misura in cui
il nome ufciale delle denominazioni lo permetta. Lo stesso principio del bilinguismo deve essere osservato
per esprimere i nomi dei comuni che abbiano la denominazione nelle due lingue ufciali. In pratica, come
riferiscono le stesse autorità spagnole, è accaduto che la maggior parte dei comuni ubicati nella zona dove
è di uso comune la lingua valenzana hanno ricevuto la denominazione unica in questa lingua, pochi hanno
optato per la doppia denominazione (es. Alicante/Alacant) e alcuni mantengono la denominazione ufciale
in castigliano.55
Il Consiglio della Generalitat è l’organo competente a stabilire i nomi ufciali dei comuni, dei territori,
degli insediamenti abitativi, dei luoghi geograci, delle vie di comunicazione interurbane e dei toponimi
della Comunità, mentre spetta ai comuni la denominazione delle vie urbane. Le determinazioni adottate dal
54 Per questi rilievi, cfr. Ballester Cardell, M., «Una nova empenta per a l’ús social de la llengua catalana a les Illes Balears. L’avanç
inestable, i no sempre lineal, de la normalització lingüística», in Revista de Llengua i Dret, n° 66, 2016, p. 100 e nota 51.
55 Cfr. Cuarto informe, cit., p. 81.
Valeria Piergigli
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Consiglio, nel rispetto degli standard internazionali sottoscritti dallo Stato, hanno valore legale a tutti gli
effetti e, conformemente a quelle determinazioni, deve predisporsi la segnaletica pubblica.
La norma rinvia a ulteriori disposizioni di rango regolamentare, che sono state progressivamente approvate
e che danno conferma della pluralità delle soluzioni individuabili per esprimere i toponimi, anche in ragione
della loro zonizzazione. Il decreto 58/1992, sulla modica dei nomi dei municipi, oltre a ribadire che i
comuni con doppia denominazione devono mantenere la forma bilingue, stabilisce che i loro nomi possono
essere espressi in castigliano, in valenzano o in entrambe le lingue. Da parte sua, l’ordinanza dell’assessorato
regionale all’istruzione e alla scienza del 1° dicembre 1993, esecutiva del decreto 145/1986 e concernente
l’uso delle lingue ufciali nella toponomastica, nella segnaletica delle vie di comunicazione e dei servizi
pubblici ubicati nel territorio della Comunità, dispone che la lingua da utilizzare nei toponimi è quella
prevalente nella zona corrispondente; pertanto se i toponimi conoscono una denominazione in entrambe
le lingue, si utilizza il castigliano o il valenzano nei territori con “predominio lingüístico”, rispettivamente,
dell’una o dell’altra lingua.56 Inne, con il decreto 16/2017, il Consiglio della Generalitat ha approvato il
cambiamento della denominazione del municipio di “Valencia” nella forma esclusiva valenzana “València”.
Galizia
Il gagliego, parlato nella corrispondente Comunità da oltre il 55% della popolazione, è la lingua propria della
Galizia cui lo statuto riconosce lo status della ufcialità insieme al castigliano (art. 5 legge organica 1/1981).57
Sulle caratteristiche di lingua propria e ufciale ritorna, in diverse occasioni, la legge di normalizzazione
linguistica (legge 3/1983) che, con riferimento alla regolamentazione della toponomastica, sceglie il
principio del monolinguismo gagliego.
In base all’art. 10, infatti, i toponimi hanno come unica forma quella gagliega; spetta alla Xunta della Comunità
determinare i nomi ufciali dei municipi, dei territori, dei nuclei abitativi, delle vie di comunicazione
interurbane e dei toponimi della regione, mentre l’odonomastica è di competenza comunale. Analogamente
a quanto già riportato per le altre Comunità, la norma prosegue indicando che le denominazioni, così
individuate, sono quelle legali a tutti gli effetti e ad esse deve conformarsi la segnaletica pubblica, che la
Xunta di Galizia avrà cura di normalizzare nel rispetto degli impegni internazionali assunti dallo Stato.
La normativa richiamata ha ricevuto attuazione mediante svariati decreti. Tra questi, si segnalano il decreto
43/1984 (modicato dal decreto 174/1998), che regola la composizione e le funzioni della Commissione sulla
toponomastica, organo consultivo della Xunta di Galizia, e il decreto 132/1984, relativo al procedimento per
la ssazione e il recupero della toponomastica gagliega. Ulteriori decreti, adottati tra il 1996 e il 2003, hanno
stabilito i toponimi ufciali per le quattro province della regione: A Coruña, Lugo, Orense e Pontevedra.58
Nonostante la nitida indicazione del monolinguismo nella determinazione dei nomi di luogo, l’esperienza ha
dimostrato che le previsioni normative non sempre ricevono piena realizzazione, privilegiandosi di fatto, ad
esempio per i nomi delle strade, il ricorso alla sola lingua castigliana.59
5 I toponimi come espressioni identitarie e del patrimonio culturale immateriale
Fino a questo punto, ci si è concentrati sulle soluzioni che i legislatori regionali, nell’ambito dei rispettivi
statuti di autonomia e delle leggi di normalizzazione linguistica, hanno individuato per la disciplina dei nomi
delle località nelle Comunità ove è presente una lingua propria e ufciale. Tuttavia, non bisogna dimenticare
che, accanto alle attribuzioni in materia linguistica esplicitamente riconosciute ad alcune Comunità, altri titoli
56 Belloso, M.J.I., «La toponimia urbana», cit., p. 282.
57 Lo statuto è stato modicato con legge organica 18/2002, ma senza incidere nella materia linguistica. L’art. 5, nella versione
originaria, sanciva altresì il dovere di conoscere il gagliego; il precetto venne dichiarato incostituzionale con STC 84/1986.
58 Sulla disciplina della toponomastica in Galizia, anche in comparazione con Catalogna, Paese Basco e Principato delle Asturie, e
sulle vicende che hanno interessato la modicazione del toponimo “La Coruña” in “A Coruña”, cfr., in dottrina: López Portas, M. B.,
Martínez Arribas, F., «A ocialidade das linguas en relación coa toponimia: o caso de A Coruña», in Revista de Llengua i Dret,
38, 2002, p. 117 ss. e, in precedenza, Cambeiro Cives, L., «A recuperación legal d’un topónimo: A Coruña», in Revista de Llengua
i Dret, n° 24, 1995, p. 137 ss. Sulla ufcialità del toponimo “A Coruña”, nella sola forma gagliega, v. altresì la STS 5 luglio 2006.
59 Così riferisce Vacca, A., Rights to Use Minority Languages, cit., p. 197.
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competenziali – come quelli relativi al regime degli enti locali, al governo del territorio e all’urbanistica –
possono avere riessi sulla regolamentazione della toponomastica, a prescindere dalla presenza sul territorio
di lingue diverse dal castigliano.
A questo proposito, basti menzionare, ad esempio, la legge dell’Andalusia sull’autonomia locale (legge
5/2010) la quale, nel regolare il procedimento per il cambiamento delle denominazioni dei municipi, avverte
che tra i principi da seguire vi è quello di esprimere il nome in castigliano tenendo conto della toponomastica
storica della località (art. 107.1 b) o, ancora, la legge in tema di ordinamento territoriale e urbanistica della
regione di Murcia (legge 13/2015) che include nella categoria “suelo urbano de núcleo rural” i terreni
caratterizzati dalla presenza di agglomerati e infrastrutture individuabili come insediamenti tradizionali
ufcialmente riconosciuti da un toponimo (art. 81, comma).
In ogni caso, lo statuto della co-ufcialità non è requisito indispensabile afnché un idioma, regionale o
minoritario, riceva la sua visibilità nella determinazione dei toponimi. In altri termini, la mancata attribuzione
della ufcialità a una lingua parlata da una porzione non maggioritaria della popolazione non è affatto di
ostacolo alla garanzia di determinati diritti linguistici, tra i quali anzi è auspicabile – in presenza di alcuni
requisiti cui si è fatto cenno in apertura di questo contributo – che uno Stato democratico, decentrato,
pluralista e plurilingue riconosca l’impiego dell’idioma nelle denominazioni dei luoghi pubblici.60 In queste
circostanze, la scelta politica di esprimere i nomi di luogo in lingue distinte dal castigliano si riconduce
al riconoscimento del valore storico-identitario che, comunque, tali lingue assumono nel contesto socio-
linguistico locale ovvero, in senso più ampio e al quale non sono insensibili, evidentemente, neppure le
Comunità con lingua co-ufciale, alla opportunità di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale immateriale
nel quale i toponimi sono certamente ricompresi.
Il primo approccio è riscontrabile nella Comunità aragonese e nel Principato delle Asturie.61 In Aragona, oltre
al castigliano, che è l’unica lingua ufciale della Comunità, si parlano la lingua catalana, al conne con la
Catalogna, e l’aragonese, nella parte settentrionale e in quella orientale della regione. Il riformato statuto di
autonomia (legge organica 5/2007) qualica l’Aragona come “nazionalità storica” (art. 1) e dedica un’intera
disposizione alle “Lingue e modalità linguistiche proprie” della regione (art. 7), le quali costituiscono “una
delle manifestazioni più rilevanti del patrimonio storico e culturale aragonese e un valore sociale di rispetto,
convivenza e comprensione”. In attuazione del medesimo disposto normativo, il legislatore ha provveduto
a individuare le zone dove predomina l’uso storico di lingue e modalità linguistiche proprie, regolandone
il regime giuridico, comprensivo della toponomastica (legge 3/2013).62 Si è così stabilito che in queste
zone la denominazione ufciale dei toponimi può essere espressa, oltre che in castigliano, nella lingua
tradizionalmente impiegata nel territorio, fatto salvo ciò che dispone la legislazione sull’ordinamento degli
enti locali (art. 22, 1° comma, legge 3/2013). A questo proposito, la legge 7/1999 sulla amministrazione
locale stabilisce che i nomi ufciali dei municipi sono espressi in lingua castigliana o in quella tradizionale.
Inoltre, nelle zone in cui l’uso dell’una o dell’altra lingua o modalità linguistica è comune, il Governo
di Aragona può autorizzare l’utilizzazione congiunta della denominazione in questa lingua (art. 23 legge
7/1999). In analogia con quanto già esaminato nelle altre Comunità, anche in Aragona spetta al Governo
della Comunità, acquisito il parere della Accademia aragonese della lingua, determinare i toponimi, i
nomi ufciali dei territori, degli insediamenti abitativi e delle strade interurbane, mentre la toponomastica
urbana è di competenza dei rispettivi comuni ed è bilingue, dovendo esprimersi in castigliano e nella lingua
60 Urrutia Libarona, I., «Apuntes jurídicos», cit., p. 137 ss.
61 Sulla regolamentazione linguistica in Aragona e nelle Asturie, v. in particolare i contributi di: López Susín, J.I., «Estatuto jurídico
de las lenguas en la Comunidad autónoma de Aragón», e Pérez Fernández, J. M., «Estatuto jurídico de la lengua asturiana», in Pérez
Fernández, J. M., (coord.), Estudios sobre el estatuto jurídico, cit., rispettivamente p. 215 ss. e p. 249 ss.
62 Preme segnalare che la legge citata menziona, quali modalità linguistiche proprie di Aragona “le lingue aragonesi con le loro
modalità linguistiche di uso predominante nelle aree settentrionale e orientale della Comunità autonoma” (art. 4, 2° comma legge
3/2013), mentre di tenore parzialmente diverso sono la previsione racchiusa nella legge sul patrimonio culturale aragonese, la quale
indica l’aragonese e il catalano di Aragona, comprese le varianti dialettali (art. 4 legge 3/1999, da ultimo modicata dalla legge
2/2016), nonché la disposizione, ora abrogata, della legge 10/2009 (sulla quale v. infra nel testo) che faceva riferimento, anch’essa,
sia all’aragonese che al catalano, quali lingue proprie e storiche del territorio (art. 2, 2° comma), oltre che, naturalmente, alla
lingua castigliana. Proprio per il fatto che la legge 3/2013 aveva soppresso i riferimenti all’aragonese e al catalano, una minoranza
parlamentare proponeva ricorso di costituzionalità, che però veniva dichiarato inammissibile dal Tribunale costituzionale, essendo
stata modicata nel frattempo la legge 3/1999 che, come sopra riferito, ha recuperato le denominazioni “aragonese” e “catalano” per
le lingue e modalità linguistiche di Aragona (STC 56/2016).
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tradizionale (art. 22, 2° e 3° comma, legge 3/2013). Per completezza, va precisato che decisamente differente
era il criterio che presiedeva alla regolazione della toponomastica secondo la precedente normativa sull’uso,
la protezione e promozione delle lingue proprie di Aragona. Era infatti previsto, nelle zone di uso storico
prevalente delle lingue proprie, l’impiego esclusivo dei nomi tradizionali non soltanto per i territori, gli
insediamenti abitativi, le strade interurbane, ma altresì per le vie urbane per le quali i competenti municipi
potevano disporre un’unica denominazione (art. 33 legge 10/2009, abrogata dalla legge 3/2013). Una
regressione dunque, almeno con riferimento al paesaggio linguistico, quella realizzata dalla sopraggiunta
normativa del 2013 che ha sostituito al regime di monolinguismo, limitatamente alle zone di uso comune
delle lingue proprie e tradizionali, una situazione di bilinguismo diffuso e pressoché generalizzato.
Neppure nelle Asturie si contano lingue ufciali distinte dal castigliano. Eppure, lo statuto di autonomia (legge
organica 7/1981), riformato nel 1999 (legge organica 1/1999), contiene una apposita previsione diretta alla
protezione e promozione del bable (art. 4) e assegna alla competenza esclusiva della Comunità la modica
delle circoscrizioni e delle denominazioni territoriali (art. 10.1.2), la promozione delle manifestazioni culturali
autoctone (art. 10.1.20), nonché lo sviluppo e la protezione del bable nelle sue varianti che, come modalità
linguistiche, possono utilizzarsi nel territorio del Principato (art. 10.1.21). In attuazione dello statuto, la legge
1/1998 ha riconosciuto il bable/asturiano63 come lingua tradizionale (art. 1), estendendo il regime di tutela e
promozione previsto per questo idioma al gagliego/asturiano nelle zone in cui quest’ultimo riveste il carattere
di modalità linguistica propria (art. 2). Le denominazioni ufciali dei toponimi della Comunità sono quelle
tradizionali. Qualora un toponimo abbia un uso generalizzato nella sua versione tradizionale e in castigliano,
la denominazione può essere espressa in forma bilingue. Spetta al Consiglio di governo, previo parere della
giunta della toponomastica, stabilire i toponimi della Comunità, ferme restando le competenze municipali
e statali (art. 15 legge 1/1998). Apposite norme regolamentari hanno disciplinato la composizione e il
funzionamento della menzionata giunta della toponomastica (decreto 38/1982) e il procedimento di recupero
e ssazione, non dell’intera toponomastica, bensì soltanto dei nomi ufciali dei comuni e dei capoluoghi,
delle parrocchie rurali e degli insediamenti abitativi della Comunità autonoma (decreto 98/2002). Il decreto
14/2019 ha stabilito, in sostituzione di quelle previgenti, le denominazioni ufciali dei toponimi del Comune
di Oviedo, riconoscendo al capoluogo delle Asturie l’ufcialità del toponimo tradizionale “Uviéu”.64
Il secondo approccio è specialmente evidente nella legislazione di alcune Comunità che, sulla scia della citata
legge statale 10/2015 sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e nell’esercizio della competenza
statutariamente ssata in materia di promozione della cultura, dedicano attenzione ai toponimi nella loro
dimensione culturale. È il caso della Galizia che include nella nozione di “patrimonio culturale immateriale”,
agli effetti della legge 5/2016, tra l’altro, la lingua, le tradizioni ed espressioni orali, la toponomastica (art. 9,
3° comma); dispone che gli strumenti di pianicazione urbanistica garantiscano il rispetto della toponomastica
ufcialmente approvata (art. 35, 2° comma); assegna alla Xunta e alle altre istituzioni della Comunità, nel
rispetto delle indicazioni internazionali, il compito di vigilare per la conservazione della toponomastica
tradizionale “que se considera como valor identitario de la Comunidad Autónoma, así como un instrumento
para la concreción de la denominación geográca de los pueblos y de sus bienes” (art. 68, comma). Una
disposizione ad hoc regola in questa regione la segnaletica relativa ai Cammini di Santiago, sia dentro che fuori
dal territorio della Galizia (art. 81). Nel primo caso, la lingua da impiegare è il gagliego, con la precisazione
che, qualora gli idiomi siano diversi, la forma gagliega debba avere la precedenza e apparire con caratteri
tipograci di maggiori dimensioni. Nel secondo caso, la norma auspica la conclusione di accordi per far sì che
la segnaletica sia realizzata in lingua gagliega e i toponimi siano indicati correttamente.
Anche nel Paese basco la toponomastica, assieme all’idioma e alle tradizioni ed espressioni orali della cultura,
rientra nel patrimonio culturale immateriale (art. 11 a) legge 6/2019) e analoghi riferimenti si ritrovano nelle leggi
adottate da Comunità prive di lingua co-ufciale. Nella regione di La Rioja, ad esempio, la formulazione include
nel patrimonio culturale storico e artistico, e più precisamente nel patrimonio etnograco, “la toponomastica
63 In realtà, la riforma statutaria del 1999, almeno con riguardo alla introduzione della norma sulla protezione del bable, venne
realizzata per dare copertura statutaria alla legge 1/1998.
64 Sulla situazione nelle Asturie, cfr. Perez Fernandez, J. M., «El régimen jurídico de la toponimia en Asturias: luces y sombras»,
in Revista de Llengua i Dret, n° 48, 2007, p. 223 ss., anche per il concetto di “lingua tradizionale” – con riferimento al bable e al
gagliego/asturiano che secondo l’A. coincide con quello di “lingua propria” – e sul signicato da attribuire alla “forma tradizionale”
delle denominazioni (pp. 238-239).
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tradizionale dei termini rurali e urbani e le peculiarità linguistiche del castigliano parlato nella Comunità autonoma”
(art. 2, 1° comma e art. 63.2 j) legge 7/2004). Analogamente, la normativa delle Isole Canarie comprende tra i
beni di interesse culturale immateriale e appartenenti al patrimonio etnograco i toponimi tradizionali (art. 25 a)
e art. 96.1 g) legge 11/2019), raccomandando il recupero e l’impiego, in aggiunta alle attuali denominazioni della
segnaletica stradale, delle denominazioni indigene, scienticamente riconosciute (art. 106 b).
6 Conclusioni. L’esperienza spagnola e il diritto comparato: luci e ombre
La ricchezza storica, linguistica e culturale della Spagna trova corrispondenza nel suo “paesaggio linguistico”.
Le scelte del legislatore, sia statale che autonómico, con riferimento alla disciplina della toponomastica
discendono dalle politiche dettate per la valorizzazione degli idiomi – propri, regionali, minoritari, co-
ufciali, a seconda dei casi – e per la salvaguardia delle rispettive comunità dei parlanti e dei loro valori
identitari. In tal senso, la Spagna non è affatto un caso isolato; infatti, la tutela delle comunità alloglotte
attraverso l’impiego di toponimi tradizionali nelle aree di insediamento autoctono interessa, sebbene con
approcci diversi, la gran parte degli ordinamenti pluralisti e plurilingui e, in linea di massima, si inserisce
nel modello promozionale e garantista accolto per la protezione delle formazioni sociali di lingua e cultura
diversa da quella nazionale.65
Va segnalato, tuttavia, che una certa difdenza permane nel comportamento di quei Paesi che, pur non
potendo ignorare l’esistenza entro i loro conni di situazioni minoritarie, stentano a vincolarsi sul piano
internazionale con puntuali misure di promozione – incluse quelle in materia di toponomastica tradizionale
– a sostegno delle comunità alloglotte presenti nei rispettivi territori e dei loro idiomi, magari per il timore
che un simile riconoscimento possa mettere in pericolo l’integrità della nazione. Basti in proposito ricordare
la mancata adesione alle citate convenzioni del Consiglio d’Europa da parte di Stati da tempo abituati a
confrontarsi, all’interno dei rispettivi conni, con situazioni di pluralismo linguistico e culturale. Così, la
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali non è ancora stata nemmeno rmata dalla
Francia ed è stata soltanto rmata ma non raticata dal Belgio; la Carta europea delle lingue regionali o
minoritarie è stata rmata ma non ancora raticata dall’Italia e dalla Francia,66 mentre manca ancora anche
soltanto la rma da parte del Belgio.
Ad ogni modo, considerando sinteticamente in una prospettiva comparata le normative più sensibili alla
conservazione e promozione della toponomastica nelle lingue distinte da quella di Stato, va premesso che
l’atteggiamento del legislatore risulta variamente modulato a seconda che l’ordinamento: a) preveda o meno
l’uso ufciale, almeno a livello locale, degli idiomi minoritari, eventualmente no a riconoscere ad essi
(o ad alcuni di essi) la paricazione giuridica alla lingua ufciale dello Stato; b) subordini gli usi pubblici
delle lingue minoritarie ad una certa percentuale di parlanti ovvero ad un numero minimo di richieste
entro un determinato ambito geograco oppure prescinda da tali requisiti; c) scelga di ispirare il regime
della tutela minoritaria al principio di territorialità ovvero di personalità, a seconda che valorizzi il luogo
dell’insediamento territoriale oppure la libertà di scelta dell’idioma minoritario da parte dei parlanti ovunque
essi risiedano sul territorio nazionale; d) opti per il modello del bilinguismo totale o integrale ovvero per
quello del separatismo linguistico, in ragione della preferenza accordata, rispettivamente, alla esigenza
di agevolare i contatti e l’integrazione culturale tra le diverse componenti nazionali nelle aree mistilingui
oppure alla necessità di favorire la conservazione del gruppo minoritario evitandone l’assimilazione al
gruppo economicamente e culturalmente più forte. Peraltro, non è affatto esclusa una certa mescolanza dei
suddetti criteri ispiratori all’interno del medesimo ordinamento, ben potendo accogliersi, ad esempio, sia
il principio personale che territoriale, sia il bilinguismo che il separatismo linguistico a seconda del settore
65 Sui modelli di protezione delle minoranze linguistiche nel diritto comparato, cfr. Toniatti, R., «Minoranze e minoranze protette:
modelli costituzionali comparati», in Bonazzi, T., Dunne, M., (a cura di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna,
il Mulino, 1994, p. 273 ss.
66 Con la decisione n. 99-412 del 15/06/1999, il Conseil constitutionnel ha considerato la contrarietà di un’eventuale ratica della Carta
europea delle lingue non soltanto rispetto all’art. 2 Cost. francese (“La lingua della repubblica è il francese”), ma anche in relazione ai
principi dell’indivisibilità della Repubblica, dell’eguaglianza dei cittadini e dell’unità del popolo francese proclamati dagli artt. 2 e 3
Cost., in quanto “principi fondamentali che si oppongono al riconoscimento di diritti collettivi a qualsiasi gruppo, che sia denito da una
comunità d’origine, di cultura, di lingua o di credenza”. Peraltro, nel 2008, una riforma costituzionale ha introdotto il nuovo art. 75-1 ai
sensi del quale: “Le lingue regionali appartengono al patrimonio della Francia” (l. cost. 2008-724 del 23 luglio 2008).
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specico (scuola, rapporti con la pubblica amministrazione, media, toponomastica) nel quale le misure di
protezione sono destinate a trovare concreta applicazione.
Anche la questione dell’impiego congiunto della lingua ufciale di Stato e della/e lingua/e minoritaria/e (bi/
trilinguismo) ovvero dell’uso esclusivo della seconda (monolinguismo) per indicare i toponimi nei territori
di insediamento storico dei gruppi minoritari viene diversamente affrontata e risolta negli ordinamenti
plurilingui. Solo per citare alcuni esempi, se in Italia la scelta dell’uno o dell’altro criterio si riconduce alla
presenza di accordi internazionali, a consolidate tradizioni storiche oppure alla rilevanza esclusivamente
locale di alcuni toponimi,67 in altre realtà prevale il regime di bilinguismo. Così, in Slovenia i toponimi
sono indicati in sloveno e nella lingua minoritaria delle due comunità autoctone italiana e ungherese68 e,
analogamente, in Croazia vige il regime di bilinguismo o multilinguismo;69 similmente, segnali bilingui
sono in uso in Austria per la minoranza slovena della Carinzia e per le minoranze croata e ungherese del
Burgenland;70 anche in Ungheria le località sono tendenzialmente indicate in forma bilingue, ad eccezione
delle denominazioni di rilievo strettamente locale in uso nelle aree tradizionalmente abitate dalle comunità
minoritarie che possono essere espresse nella sola lingua della minoranza, e i nomi geograci indicati nella
lingua minoritaria sono riconosciuti come toponimi ufciali.71 Altrove l’ordinamento non si oppone alla
espressione del toponimo esclusivamente nell’idioma minoritario nei territori in cui a questo è attribuito il
carattere della ufcialità, come si è evidenziato per la Spagna e come accade in Italia nella Valle d’Aosta/
Vallée d’Aoste dove i toponimi sono espressi soltanto in francese, nonché in Belgio dove le indicazioni
topograche sono solitamente segnalate nella lingua della regione (francese, neerlandese o tedesco), mentre
nella regione bilingue di Bruxelles-Capitale vige il regime di bilinguismo anche nella toponomastica.
In conclusione, si può affermare allora che la diversità di regolamentazione giuridica della toponomastica,
riscontrabile nel territorio di numerosi Paesi europei, non impedisce di cogliere un dato unicante e comune
che consiste nella tendenziale disponibilità dei pubblici poteri al recupero dei nomi di luogo tradizionali
nelle aree di insediamento storico. È quanto risulta dal complesso delle normative che gli ordinamenti
hanno adottato e progressivamente aggiornato in materia di protezione dei diritti delle minoranze nazionali
o autoctone, uso ufciale delle lingue e degli alfabeti, autogoverno locale, organizzazione territoriale,
denominazioni di abitati, strade e piazze.
Di primo acchito questo atteggiamento colpisce favorevolmente l’osservatore, specialmente a fronte della
maggiore ritrosia rinvenibile, invece, in tutti quegli ambiti che implicano il riconoscimento di più impegnativi
usi pubblici delle lingue diverse da quella nazionale – come l’insegnamento della/nella lingua minoritaria, i
rapporti con l’amministrazione e con gli organi giudiziari – nei quali, oltre ad ingenti risorse nanziarie, lo
Stato deve essere in grado di assicurare l’adeguata formazione del personale preposto ai relativi settori. A
conferma di quanto ora rilevato si pensi, da un lato, alla generalizzata ratica, da parte degli Stati rmatari,
dell’art. 10, 2° comma, lett. g) della menzionata Carta europea delle lingue regionali o minoritarie a garanzia
del recupero della toponomastica storica e, dall’altro lato, alle riserve implicite nella mancata sottoscrizione
67 In Italia, sono due le regioni a statuto speciale dove le lingue tedesca e francese sono paricate alla lingua italiana: si tratta
rispettivamente, del Trentino-Alto Adige/Südtirol e della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. Tuttavia, il criterio accolto per la
regolamentazione della toponomastica non è identico: nella prima regione vige infatti l’obbligo della toponomastica bilingue,
mentre nella seconda i toponimi sono espressi esclusivamente in francese (v. infra nel testo), ad eccezione del capoluogo che ha
denominazione bilingue (Aosta/Aoste). La doppia denominazione delle due regioni compare nell’art. 116 Cost. riformato nel 2001.
Sulla regolamentazione della toponomastica in Italia, sia consentito rinviare a Piergigli, V., «Toponomastica e tutela giuridica delle
minoranze linguistiche. Peculiarità della disciplina italiana e proli comparati», in Finco, F., Iannaccaro, G., (a cura di), Nomi, luoghi,
identità. Toponomastica e politiche linguistiche. Atti del Convegno internazionale di studi. Cividale del Friuli, 17-19 novembre 2011,
Udine, Società lologica friulana, 2014, p. 271 ss.
68 In Slovenia, la Cost. del 1991 riconosce i diritti delle minoranze italiana e ungherese (artt. 11 e 64); per la regolamentazione della
toponomastica bilingue, riferimenti si rinvengono nelle leggi sull’autogoverno locale (1993, modicata nel 1994 e nel 1998), sulle
comunità etniche autogestite (1994) e sull’uso pubblico della lingua slovena (2004), nonché negli statuti degli enti locali.
69 In Croazia, la normativa essenziale in materia è contenuta nella legge sull’uso della lingua e dell’alfabeto delle minoranze
nazionali (2000) e nella l. cost. 13 dicembre 2002 sui diritti delle minoranze nazionali, mentre la Cost. del 1990, più volte revisionata,
contiene riferimenti generali alla protezione delle minoranze nazionali nel preambolo e negli artt. 12 e 15.
70 In Austria, la normativa più signicativa risulta dal trattato di Stato (1955), dalla legge sui gruppi linguistici (1972), dalla legge
sulla segnaletica stradale (1972), oltre che da ordinanze dettate per i singoli Länder (es. ordinanza del 2000 per il Burgenland,
ordinanza del 2006 per la Carinzia).
71 V. artt. 6§1 d) e 18 l. 179/2011 sui diritti delle nazionalità (che ha sostituito la l. 77/1993 sui diritti delle minoranze etniche e
nazionali) e il decreto governativo 303/2007 sulla istituzione e registrazione delle denominazioni geograche ufciali.
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Revista de Llengua i Dret, Journal of Language and Law, núm. 72, 2019 43
delle numerose opzioni in cui si articola, nel testo della medesima disposizione, il contenuto del diritto
all’uso della lingua regionale o minoritaria nel settore dei rapporti amministrativi e dei servizi pubblici.
Senonché, l’impressione positiva scaturente dalla constatazione della diffusa inclinazione degli Stati, almeno
in linea di principio, a valorizzare o comunque a non ostacolare il ripristino della toponomastica tradizionale,
a ciò incoraggiati sia da precisi obblighi internazionali che dalle raccomandazioni delle Nazioni Unite, non
trova sempre conforto in maniera altrettanto convincente e chiara sul piano pratico. Interventi normativi
frammentari e lacunosi si sommano frequentemente ai ritardi nella fase di attuazione, determinando in sostanza
la scarsa effettività delle discipline adottate. Non bisogna poi sottovalutare il pericolo che discutibili interventi
di traduzione72 o fantasiosi tentativi onomaturgici nella individuazione e trascrizione dei toponimi possano
addirittura allontanare il conseguimento dell’obiettivo. Secondo quanto si è avuto modo di segnalare, nemmeno
le Comunità autonome spagnole possono ritenersi del tutto esenti da queste criticità, oltre al fatto che le
revisioni della normativa – per quanto propense al rispristino delle denominazioni tradizionali – determinano
la necessità di aggiornare segnali, cartelli, strumenti cartograci, nonché i documenti di identità personale. Si
tratta di aspetti problematici che, se non risolti col dovuto rigore, con ragionevole tempestività e con la messa
a disposizione di risorse economiche adeguate, non soltanto contribuiscono a rallentare la realizzazione di
un prolo importante delle politiche linguistiche, ma rischiano altresì di minacciare seriamente la pacica
convivenza intercomunitaria, generando episodi conittuali anche accesi tra le diverse componenti sociali.73
La toponomastica risulta essere un settore sensibile forse più di altri in considerazione della percezione
visiva e immediata che offre della predisposizione di un dato ordinamento nei confronti delle identità
culturali presenti sul territorio. A fronte della disponibilità – se non altro sul piano delle previsioni e degli
impegni formali – da parte dei pubblici poteri al recupero delle denominazioni storiche, si deve riscontrare
la tendenza a collocare la garanzia dell’uso dei toponimi tradizionali ad uno dei livelli meno signicativi in
una ipotetica graduazione delle azioni positive di tutela minoritaria.
L’apparente favor verso il ripristino della toponomastica storica può essere allora interpretato o come indice
della scarsa consapevolezza, perno negli ordinamenti inclini alla adozione di politiche linguistiche aperte e
liberali, del valore altamente simbolico che i nomi dei luoghi negli idiomi minoritari rivestono per le comunità
alloglotte oppure, all’inverso, come segno dell’avvertito impatto sociale che in questo settore più che in altri
le decisioni politiche assumono sul piano dei rapporti intercomunitari, al punto da scoraggiare i pubblici
poteri nella adozione di interventi reali ed efcaci di promozione. Tanto nel primo quanto nel secondo caso, le
misure di tutela predisposte non valorizzano adeguatamente i toponimi quali beni culturali dal forte signicato
identitario, i proli tecnici connessi alla attribuzione delle denominazioni dei luoghi vengono sottovalutati e
la loro determinazione viene di regola rinviata alla competenza e alla discrezionalità delle autorità locali, non
sempre opportunamente orientate in proposito da apposite linee-guide degli organi statali.
A prescindere dalle peculiarità che possono caratterizzare, nanche all’interno di un medesimo ordinamento,
le scelte assunte nel settore della toponomastica da parte dei livelli decentrati di governo, ciò su cui occorre
insistere è, in denitiva, la garanzia della effettività delle misure formalmente previste. Il raggiungimento di
tale obiettivo richiede il sinergico adoperarsi sia delle autorità nazionali, statali e locali, che degli organismi
sovranazionali preposti alla verica periodica della implementazione degli impegni internazionali assunti
e, in particolare, della Carta delle lingue regionali o minoritarie, nonché, ove raticata, della Convenzione-
quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Inne, ma non per ultimo, per l’attuazione pratica dei
disposti normativi continua ad essere determinante ovunque il ruolo vigile e attento delle stesse comunità dei
parlanti. Con la loro attiva partecipazione ai processi decisionali che le riguardano, queste comunità possono
realmente concorrere a impedire, anche attraverso l’impiego o la riscoperta della toponomastica tradizionale,
che interi patrimoni di lingua e cultura vadano irrimediabilmente dispersi.
72 Sulle problematicità delle operazioni di traduzione dei nomi geograci, cfr. Mestres i Serra, J. M., Santamaria i Jordà, C., «Els
noms propis geogràcs no catalans», in Revista de Llengua i Dret, n° 27, 1997, p. 23 ss.
73 Si pensi, ad esempio, alle criticità tuttora presenti in Alto Adige. Per un commento, sia consentito il rinvio a Piergigli, V., «The
legal regulation of toponomastics in Italian law and the specic situation in Trentino-Alto Adige/Südtirol», in de Vergottini, G.,
Piergigli, V., (eds), Topographical names, cit., p. 113 ss.

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