Le tendenze di modifica nel sistema delle impugnazioni nel processo civile italiano

AutorPaolo Biavati
Cargo del AutorOrdinario dell’Università di Bologna
Páginas415-434

Page 415

I Introduzione

Il sistema delle impugnazioni civili in Italia è organizzato secondo tre livelli di giudizio. In primo grado, a seconda delle regole che attribuiscono la competenza per materia, valore e territorio, i giudizi civili ordinari sono decisi dal giudice di pace, ovvero dal tribunale e in talune ipotesi residuali dalla corte d’appello. Contro le sentenze del giudice di pace è normalmente ammesso l’appello al tribunale e contro le sentenze del tribunale è proponibile l’appello dinanzi alla corte d’appello. Le decisioni della corte d’appello e quelle del tribunale come giudice di appello possono essere rese oggetto di ricorso di legittimità dinanzi alla Corte di cassazione a Roma, in base a specifici motivi.

Oltre all’appello e al ricorso per cassazione, l’ordinamento civile italiano conosce altre due forme di impugnazione ordinaria (tale, cioè, che la sua pendenza o la sua proponibilità impedisce il passaggio in giudicato della decisione

Page 416

impugnata o da impugnare). Si tratta del regolamento di competenza, che si può proporre dinanzi alla Cassazione contro le decisioni in materia di competenza e della revocazione c.d. ordinaria, che si propone entro un breve termine dinanzi allo stesso giudice che ha emanato la decisione in alcuni casi specifici.

Vi sono poi due ipotesi di impugnazione straordinaria, che si possono proporre anche contro decisioni passate in giudicato. Sono la revocazione straordinaria, possibile in alcuni casi tassativi, e l’opposizione di terzo.

Il sistema italiano è quindi disciplinato dal principio del doppio grado di giurisdizione, per cui una decisione può essere rivista in un secondo grado di merito. Il doppio grado di giurisdizione non ha, però, rilievo costituzionale e può essere derogato dalla legge ordinaria.

Il controllo di legittimità dinanzi alla Corte di cassazione è invece reso oggetto da una precisa disposizione della Costituzione italiana, l’art. 111, comma 7°. La presenza di questa norma ha l’eff etto di rendere sempre possibile il ricorso alla suprema corte per violazione di legge, tanto più che la stessa Cassazione ha sempre interpretato la norma nel senso di comprendere non solo le sentenze, ma ogni tipo di provvedimento, anche se denominato in altro modo, purché definitivo e tale da incidere su diritti soggettivi. Quando il ricorso in Cassazione viene proposto al di fuori dei limiti del codice di procedura civile e delle leggi speciali ma unicamente in forza della norma costituzionale, si parla di ricorso straordinario1.

Negli anni recenti, la struttura del sistema delle impugnazioni civili è rimasta invariata; sono state modificate, però, in modo sensibile, le condizioni per la proposizione dei singoli mezzi di impugnazione, in chiave restrittiva.

In Italia come altrove, la giustizia civile si trova davanti a due problemi.

Da un lato, l’esigenza di assicurare una tutela efficace e quindi rapida induce a limitare le possibilità di riesame delle decisioni. Dall’altro, le risorse che lo Stato può dedicare all’amministrazione della giustizia sono poche e comunque non idonee ad aff rontare le crescenti esigenze di protezione giudiziaria di una società complessa. Il legislatore, quindi, oltre a percorrere altre vie di

Page 417

soluzione (come l’incremento delle misure alternative alla giurisdizione) è indotto a restringere le possibilità di ottenere una nuova pronuncia sulle cause già decise in primo grado2.

In particolare, si deve sottolineare come la disposizione costituzionale sul ricorso per cassazione, introdotta a scopo garantista dalla Carta repubblicana del 1948, impedisca al legislatore di limitare l’accesso alla corte suprema, che si trova costretta ad aff rontare una mole considerevole di lavoro, senza poter curare adeguatamente la coerenza interpretativa e venendo meno alla sua essenziale funzione di custode delle leggi3. Ne segue che il mezzo di impugnazione che si può più facilmente comprimere è l’appello, che, però, costituisce l’unica impugnazione idonea a ottenere una piena revisione del merito della decisione di primo grado.

Lo scenario attuale della politica della giustizia civile in Italia si muove quindi su questa linea: esigenze di celerità e scarsità di risorse spingono per una limitazione delle impugnazioni e in particolare dell’appello4; al contempo, la tutela dei diritti, consacrata dall’art. 24 della Costituzione, impone di off rire al cittadino mezzi ragionevoli per ottenere la verifica di eventuali errori del giudice. Occorre trovare un corretto equilibrio fra questi due obiettivi.

II Le modifiche al giudizio di appello

Si tratta di prendere in esame le modifiche più recenti al giudizio di appello.

In particolare, va preso in esame l’intervento attuato dalla legge n. 134 del 7 agosto 20125.

Page 418

La prima innovazione significativa riguarda la struttura dell’atto di appello.

In Italia, l’appello si propone con un atto di citazione a comparire all’udienza davanti al giudice competente. La citazione in appello, già nel testo precedente, richiedeva, a pena di inammissibilità, l’indicazione specifica dei motivi.

La l. n. 134 del 2012 innova l’art. 342, comma 1°, c.p.c., raff orzando proprio questo requisito.

Infatti, la norma prescrive ora che “l’appello deve essere motivato” (con un impiego del concetto di motivazione quasi desunto da quello valido per i provvedimenti giudiziari) e che la motivazione (o meglio, il supporto argomentativo) dell’atto di appello deve contenere, sempre a pena di inammissibilità:

1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intendono appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, e 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Lo scopo del legislatore è quello di circoscrivere ulteriormente l’impatto dell’appello sulla sentenza gravata e di agevolare il lavoro del giudice dell’impugnazione, che, dalla sola lettura dell’appello, può facilmente isolare le questioni sollevate e farsene un’idea immediata.

La dottrina si è posta il problema di evitare che un’ermeneutica troppo rozza della nuova norma renda l’appello uno strumento di difficile ammissibilità6, in specie criticando alcune letture che, nell’immediato, avevano immaginato di porre a carico dell’appellante la redazione di un vero e proprio progetto di sentenza7. Intanto, non sembra che entrambi i requisiti di cui ai numeri 1) e

2) dell’art. 342, comma 1°, debbano sussistere necessariamente insieme. La censura può essere di mero fatto, e allora non sarà necessaria l’indicazione dei punti in cui la legge è stata violata; oppure, può essere di puro diritto, e in

Page 419

questo caso non si dovrà indicare alcuna richiesta di modifica alla ricostruzione del fatto8.

È’ poi delicato stabilire quali sono “le parti” della sentenza che si intendono impugnare. In forza del principio devolutivo, potrebbero essere appellati solo alcuni capi della sentenza, e questo dovrà risultare chiaro. Nel contempo, si dovranno precisare i passaggi motivazionali della sentenza che si vogliono criticare. È’ molto importante che la giurisprudenza si orienti nel senso di un rispetto sostanziale di queste disposizioni, evitando interpretazioni formalistiche.

Il legislatore ha anche modificato in modo analogo l’art. 434, comma 1°, c.p.c., riferito all’appello nel rito del lavoro, con la sola ovvia precisazione che i nuovi requisiti si intendono riferiti all’atto introduttivo di quel tipo di giudizio, vale a dire al ricorso.

La netta volontà legislativa di restringere lo spazio ai mezzi di impugnazione si è espressa poi in un’ulteriore accentuazione dell’appello come mera revisio prioris instantiae. In particolare, è stato modificato l’art. 345 c.p.c., sotto il profilo dei casi residuali di ammissibilità di nuovi mezzi di prova. La norma permetteva di ammettere sia i mezzi di prova e i documenti che avrebbero potuto essere prodotti in precedenza, ma ritenuti indispensabili dal giudice ai fini della decisione della causa, sia quelli che la parte dimostri di non aver potuto produrre o proporre per causa ad essa non imputabile. Ora, la prima delle due ipotesi (vale a dire, le prove indispensabili) viene eliminata, mentre rimane in vigore la seconda.

Questa restrizione ha importanti ricadute concettuali. Da un lato, sottolinea l’onere di diligenza e la responsabilità delle parti e dei loro difensori, che non possono – per così dire – tenere in tasca elementi probatori decisivi per le fasi di impugnazione. Dall’altro, segna un punto a favore della mera certezza nei confronti della verità sostanziale.

Page 420

III L’appello inammissibile per mancanza di probabilità di accoglimento

La modifica più radicale apportata dal legislatore all’istituto dell’appello è quella prevista dall’art. 348-bis c.p.c., introdotto con la citata legge del 2012. La norma prevede che il giudice dell’appello dichiari inammissibile l’impugnazione quando essa non ha una ragionevole probabilità di essere accolta9.

L’innovazione va compresa nell’ottica di un’esigenza di risparmio di risorse e di evidente sfavore per la ripetizione di verifiche sulla medesima controversia. Per il legislatore del 2012, le impugnazioni, seppure non possano considerarsi un evento eccezionale, non sono però neppure più un dato, per così dire, fisiologico e comune di un giudizio.

Prima di tutto, è bene segnalare l’impiego atecnico della nozione di inammissibilità.

Infatti, secondo la lezione classica...

Para continuar leyendo

Solicita tu prueba

VLEX utiliza cookies de inicio de sesión para aportarte una mejor experiencia de navegación. Si haces click en 'Aceptar' o continúas navegando por esta web consideramos que aceptas nuestra política de cookies. ACEPTAR