Prólogo

AutorGiunio Rizzelli
Páginas11-23

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Non manca una stimolante critica alla «“ideología de género”», che utilizzerebbe il «“mantra”» dell’«“antimachismo”» quale giustificazione di privilegi di gruppo, proponendo a tal fine una ricostruzione unilaterale del passato (soprattutto di quello greco) ed occultando la carenza di una teoria critica del modello patriarcale greco-romano-cristiano (M. Barcia Lago). D’altra parte, si pone in rilievo l’importanza del genere quale categoria di analisi storica (M.C. La Barbera), e si evidenzia il rapporto fra identità femminile e transessualità, pensato in relazione ad una comunità che faccia a meno delle identità consolidate nella cultura dominante, allo scopo di decostruire il “genere giuridico” (D.J. García López e MM. Fernández Pérez).

Numerosi saggi hanno un taglio marcatamente storico-giuridico, assumendo, volta a volta, ad oggetto la preziosa testimonianza di una viaggiatrice della fine del IV secolo (M.J. Bravo Bosch), la storia giuridica delle donne in carcere, che conduce ad una rifiessione sulle politiche penitenziarie pubbliche nella Spagna contemporanea (I. Ramos Vázquez), i contratti di credito posti in essere da donne nell’antica Roma, sulla base di alcune testimonianze epi-

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grafiche (C. Lázaro Guillamón), il concubinato romano, cui viene rapportata l’attuale esperienza delle coppie di fatto in Spagna al fine di individuare una possibile nozione unitaria dei vari tipi di unione eterosessuale non matrimoniale (P. Panero Oria), il configurarsi del premio alla verginità in diritto romano
(B. Malavé Osuna), le vicende della repressione dell’adulterio dall’esperienza giuridica di Roma antica sino al secolo XIX (R. Herrera Bravo, M. Salazar Revuelta e A. Salazar Revuelta) e quelle che, a partire ancora dall’esperienza giuridica romana, conducono a teorizzare un’incapacità mentale per causa di genere (M.I. Núñez Paz), la narrazione di un episodio in cui è protagonista una romana responsabile, secondo gli autori latini, della preclusione alle donne dall’esercizio dell’avvocatura, che induce l’autore del contributo a rifletere sulla limitazione della libertà di parola che, nei secoli, ha colpito il genere femminile (P. Resina Sola), il delinearsi, agli inizi dell’esperienza cristiana ed all’interno dei ceti elevati della società romana, di un modello femminile volto a provvedere alle esigenze dei poveri ed all’assistenza dei malati attraverso donazioni e l’impegno personale di volontariato (R. Rodríguez López), la figura della Abadesa del Real Monasterio de Santa María de Las Huelgas, di grande interesse per la storia della potestà di governo nel diritto canonico (MM. Martín), la disciplina dei delitti sessuali di cui le donne si rendano autrici oppure nei quali compaiano come vittime, introdotta da Alfonso X (V. Rodríguez Ortíz), il controllo sociale, nelle varie esperienze storiche, sulle relazioni omosessuali femminili, con il passaggio dalla loro criminalizzazione alla loro psichiatrizzazione (M.A. Chamocho), la nozione di “persona por nacer” nel codice civile argentino alla luce del contesto storico in cui il medesimo viene elaborato, prendendo spunto dal noto episodio della fucilazione di una ragazza perché incinta di un prete (V. Kühne), l’atteggiamento tenuto dalla dittatura franchista, nei suoi primi anni di vita, nei confronti delle donne, ricostruito attraverso i testi legali e dottrinali (M.A. Morales Payán), gli interventi legislativi in materia di accesso delle donne all’amministrazione della giustizia in Spagna negli anni 1961-1966 (M.J. Espuny Tomás, J. Cañabate Pérez,
G. García Gonzáles e O. Paz Torres), i mutamenti nella legislazione e nella giurisprudenza spagnole diretti a realizzare l’uguaglianza fra uomini e donne nell’ambito del diritto di famiglia (M.A. Martos Calabrús).

Larga parte dei contributi riflete su argomenti relativi al diritto vigente. Si analizzano, pertanto, il prodursi, a livello statale e sul territorio andaluso, di

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risultati differenti, nei confronti delle donne e degli uomini, dell’applicazione di norme apparentemente neutrali, che perpetuano o aumentano le situazioni di disuguaglianza fra i generi (B.M. Collantes Sánchez e A. Sanchís Vidal), e si focalizzano le conseguenze della crisi economica spagnola sulla solvibilità, nelle procedure di separazione e di divorzio, dei debitori di assegno concesso al coniuge pregiudicato economicamente dagli stessi, oppure di mantenimento alimentare (R. Salvador Concepción). Si studia il modo in cui, a partire dal 2007, viene regolato, in Spagna, il fondo statale di garanzia degli assegni di mantenimento alimentare a favore dei figli minori d’età in caso di separazione legale, divorzio, ecc., creato nel 2006 (M.B. Sáinz-Cantero Caparrós), e si riflete sugli strumenti di azione positiva a favore delle donne, in particolare su quelle volte ad attuare una rappresentanza equilibrata fra i sessi (A.I. Melado Lirola), sui problemi che, nel corso del processo di separazione o di divorzio, possono sorgere dalla custodia condivisa, introdotta dall’ultima riforma del codice civile spagnolo (R. López San Luíz), e sulla uguaglianza nella responsabilità sociale dell’impresa (R. Cañabate Pozo). Ci si sofferma sulla violenza di genere nella coppia e sulle risposte date al fenomeno negli ultimi anni dal diritto penale spagnolo (M.E. Torres Fernández), evidenziando come, nelle situazioni di rottura della coppia, oltre alla violenza di genere, possa emergere una «violencia económica y/o patrimonial», meno visibile, ma altrettanto grave (A. Segura Lores). Si esamina il sistema di protezione dalla violenza di genere offerto dal diritto penale spagnolo alle donne immigrate (M.D. Machado Ruíz).

L’attenzione ad una prospettiva di genere1(sebbene, talvolta, in funzione critica della stessa o volta a meglio delinarne alcuni profili) costituisce, in generale, il dato comune ai discorsi che trovano posto nel volume. Tale prospettiva è in costante, implicita dialettica con le rappresentazioni e con gli stereotipi che, attraverso i secoli della cultura occidentale, condizionano i rapporti fra i sessi, anche, chiaramente, nelle rifiessioni e nelle pratiche giuridiche2. Rappresentazioni e stereotipi (che le loro stesse vittime spesso faticano a riconoscere

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come tali) che deproblematizzano realtà complesse, la cui interpretazione viene demandata al senso comune, ad un tipo di conoscenza, cioè, che “naturalizza” le esemplificazioni prodotte e dà per scontati i propri contenuti, sottratti, così, alla verifica3.

Succede che siffatti contenuti vengano assunti consapevolmente, in chiave ideologica, quali elementi di una tradizione culturale da difendere. Paradigmatico di tale tipo di operazione –che passa attraverso il recupero, ideologicamente orientato, appunto, di testi di giuristi romani (con il rischio di far loro dire cose che, in realtà, non dicono)– è quanto si legge in alcune pagine di M.P. Baccari4. L’autrice si propone di richiamare «specifiche disposizioni adottate per tutelare la donna e massimamente le sue peculiarità naturali» (il corsivo è di chi scrive) che ai nostri giorni sarebbero «misconosciute»5. E, se accade che un noto frammento di uno dei giuristi antichi più autorevoli dia chiaramente atto che la condizione giuridica femminile è spesso peggiore di quella maschile (Pap. 31 quaest. D. 1.5.9: in multis iuris nostri articulis deterior est condicio feminarum quam masculorum), si limita ad osservare che «questa posizione di svantaggio è […] situazione assai diversa da una condizione di inferiorità»6. Non sorprende, pertanto, che ricordi, «tra i tanti esempi di donne che hanno arricchito la res publica», Cornelia, la madre dei Gracchi, «una donna che ancora oggi è vista con ammirazione, dopo più di duemila anni»7: una donna la cui celebrità, rifiesso di quella dei propri figli, è dovuta, appunto, all’essere divenuta – attraverso racconti che delineano un quadro simbolico del femminile, rappresentato in relazione alla centralità maschile – immagine stereotipata di custode fedele di un ruolo che non travalica il cir-

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coscritto ambito familiare8. La figura della “madre” ideale, di cui è paradigma Cornelia, è funzionale, peraltro, ad introdurre un motivo che sta molto a cuore all’autrice, ossia quello della condanna dell’aborto, posta in relazione con il riconoscimento al feto dello statuto di ‘persona’: riconoscimento del nascituro quale persona, che sarebbe già avvenuto ad opera della giurisprudenza romana (circostanza, quest’ultima, destinata ad assumere particolare rilievo se considerata, come fa la studiosa, sullo sfondo di una concezione dello «ius Romanum» quale diritto vigente, i cui «principi» si considerano proponibili ancora oggi contro “nemici” quali l’individualismo, il positivismo ed il relativismo etico)9. L’argomento, che non può, ovviamente, essere affrontato in questa sede, necessiterebbe di un’approfondita esegesi dei testi della letteratura giurisprudenziale romana in materia. Ci si limita, pertanto, ad osservare che

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il problema della condizione dei concepiti nell’esperienza giuridica romana è complesso –basta a confortare questa banale constatazione il numero e l’ampiezza dei contributi apparsi ancora in tempi recentissimi su di esso10– e che un’affermazione radicale, quale «il diritto romano difende la vita umana fin dal concepimento»11potrebbe trarre in inganno un lettore non addentro agli studi romanistici, inducendolo, verosimilmente, a pensare che le soluzioni dei...

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