La tutela delle minoranze linguistiche in italia. Problemi e prospettive

AutorPaolo Carrozza
CargoRicetcatore confermato nella Facoltá di Giurisprudenza della Universitá di Firenze
Páginas75-177

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Aquest treball, tal com recorda el seu autor en la presentado, es un estudi jurídic que forma part d'una obra coHeetíva interdisciplinária mes amplia, de la qual també son autors F. Altimari i M. Bolognam, que porta per títol L'esilio della parola. La minoranza lingüistica albanese in Italia. Profili storico-letterari, antropología e gmridico-istituzionali, i que ha estat editada per Ets Editrice, Pisa, 1986. Encara que el treball que reprodulm tingui un objecte d'estudi molt concret, com ho és el de la minoría lingüística albanesa a Italia, hem volgut publicar-lo ja que el seu contingut pennet iHustrar-nos d'una manera molt completa -llevat de l'apartat 9 on les referéncies es fan espe-cialment en rekció amb l'esmentada minoría albanesa- de la regulado jurídica que regeix a Italia en rekció amb les allá denominades minories lingüístiques. Agralm, a l'au-tor i a l'editorial Ets Editrice de Pisa, les facilitats donades i també l'autorització per reproduir aquest treball.

0. Presentazione

Grato alia direzione della rivista per l'opportunita offerta, credo non inutile far precederé il saggio qui di seguico pubblicato da qualche considerazione introduttiva a beneficio dei lettori catalani e spagnoli,

Il volume dal quale il saggio é tratto (F. Altimari, M. Bolognari, P. Carrozza, L'eülio della parola. La tninoranza lingüistica dbanese in Italia Profili storico-letterari, antropología e giuridico-istituzionali, ETS editrice, Pisa, 1986, con una prefazione di Tullio De Mauro) é nato da un duplice ordine di intendimenti.

Da un lato, il desidetio di sviluppare un'organka riflessione sulle condizioni della minoranza italoalbanese. Questa minoranza, poco conosduta fuori e dentro l'Italia, é la più numerosa dopo quella di lingua tedesca residente nel Sudtirolo, ma, per varié ragioni, non e mai stata oggetto di specifiche mi-sure di protezione; la sua situazione e, tra l'altro, particularmente difficile poiché essa é diffusa in piccoli e medí centri del sud Italia sparsi in ben sette 1Page 76 diverse regioni, ed oltre alie vicissitudini ptoprie delle minoranze «non rico-noscíute» (prive cloé di tutela), vive le caratteristiche contraddizioni proprie di tutte le popolazioni del meridione italiano (e d'Europa); mentre assai modesto risulta al momento il supporto proveniente dalTAlbania, stato nel quale la lingua materna di questa minoranza é assurta al rango di «lingua nazio-nale».

Dall'altro, la volonta di offrire un originale (perché inusuale nel panorama scientifico italiano) approccio interdisciplinare ai problemi della tutela degli italoalbanesi, con la conseguente ambizione di tracciare, mediante una serie di ricerche coordinate, un quadro esauriente dei profili storico-litterari, socio-antropologici e giuridico-istituzionali relativi ad un gruppo omogeneo e significativo di cittadini appartenenti alia minoranza in questione.

L'ultimo profilo é appunto quello considerato nel saggio qui appresso riportato. II lettore che avrá la pazienza di leggere Tintero saggio potra tutta-via notare come in esso si parli in definitiva assai poco della minoranza italo-albanese (se si accettuano i riferimenti alie varié proposte di legge statali e regionali riguardanti tale minoranza, esaminate nel par.9) e molto della si-tuazione genérale di tutte le minoranze linguistiche residenti in Italia, con riferimento sía a quelle (più o meno efficacemente) giá tutélate, sia alie pro-spettive di tutela di quelle «non riconosciute».

Ció spiega, d'altra parte, non solo il titolo piuttosto genérico (e diverso rispetto all'edizione italiana), ma anche e soprattutto le ragioni per cui il saggio puó risultare di qualche utilitá per lettori non italiani.

Quest'apparente contraddizione impone pero qualche ulteriore considera-zione a giustificazione della metodología e dei contenuti del saggio. L'orienta-mento seguito, infatti, risponde non solo ad una scelta metodológica compiuta dall'autore, quanto piuttosto a ben precise esigenze della riflessione giuridíca in argomento.

E' vero, ín effetti, che alcuni pregevoli scritti di Alessandro Pizzorusso, uno degli anni '60 (Le minoranze nel diritto pubblico interno, Milano, Giuf-fré, 1967, 2 voll.) e uno degli anni '70 (Il pluralismo lingüístico ira stato na-zionale e autonomie regionali, Pisa, Pacini, 1976) hanno da tempo forníto eccellenti chiavi interpretative per esaminare e comprendere, rispettivamente, I'evoluzione della riflessione teórica nel diritto italiano e in quello compárate in tema di tutela minoritaria, e l'evoluzione della disciplina di diritto interno (italiano) relativa alie minoranze protette (i sudtirolesi di lingua tedesca, i ladini della provincia di Bolzano, gli sloveni, i francesi della Valle d'Aosta). Le più recenti vícende rendono tutt' altro che supérate tali teorizzazioni e ricostruzioni; anzi, la vera e propria esplosíone dell'interesse cultúrale, poli-tico e istituzionale in tema di tutela delle minoranze degli anni successivi (dalla meta degli anni '70 al momento attuale), con tutta la conseguente ricca e variegata progettualitá legislativa (purtroppo rimasta per lo più alio stato di iniziativa), deve necessariamente essere anaüzzata per relationem con i dati teorici e pratici ricavabili da tali scritti.Page 77

Tuttavia, per sua stessa natura la soluzione auspicata nel saggio (la legge genérale sulle minoranze), destínala con molta probabilitá a prevalere in un futuro che si spera non Iontano, non si puó spiegare se non si tiene contó di tutto il complesso dei dati normativi, istituzionali, politici e storici che si cerca appunto di offrire nel saggio.

Spiegare il perché di una legge genérale sulle minoranze, i suoi contenuti, i suoi obbietüvi e gli strumenti per realizzarli, significa per tanto riflettere sulle seguenti vicende: quelle relative alPinterpretazione (política, dottrinale, legislativa e giurisprudenziale) del principio genérale di tutela delle minoranze linguistiche di cui all'art. 6 della Costituzione italiana («La repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche») e al dibattito sulla «attualitá» e i limiti del contenuto di tale disposizione, anche in rapporto a testi costitu-zionali più recen ti (come la Costituzione spagnola) e alia dímensione europea che ha assunto il processo di «ríscoperta» della problemática minoritaria; le vicende delTattuazione di tale principio costituzionale in riferimento ai groppi minoritari giá oggetto di specifiche misure di tutela, soprattutto nell'ambito dei regimi di speciale autonomía delle regioni di confine del nord Italia; le vicende della normativa e degli indirizzi di diritto internazionale ín tema di protezione delle minoranze linguistiche, fino alia recente risoluzione del Parlamento europeo; le vicende relative ai tentativi -non sempre convinti e convincenti- di «regionalizzazione» del problemi di tutela delle minoranze linguistiche «non riconosciute» sviluppatisi verso la fine degli anni '70; e, infine, le vicende del progetto di legge genérale sulle minoranze, dalle prime bozze al testo elaboiato dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei Deputati, intorno al quale é giá stato raggiunto un certo consenso fra le varié forze politiche.

Questo saggio era stato redatto per ¡Ilustrare le prospettive di tutela della minoranza italoalbanese; probabilmente -ed é giá un buon risultato- esso é utile anche in riferimento ad altri (forse tutti) i gruppi minoritari residen ti in Italia; se poi esso riuscisse a fornire un esauriente ancorché sintético quadro della problemática minoritaria in Italia anche per i lettori non italiani, il suo esito andrebbe al di la di ogni più ottimistica aspettativa e sarebbe tale, da solo, da ripagare ampiamente gli sforzi e la fatica dell'autore.

1. Premessa

Non accade di frequente che ad uno studioso di diritto venga concessa I'op-portunitá di partecipare ad una ricerca di carattere interdisciplinare nell'ambito della quale sia chiamato a riflettere su dati di carattere storico, antropológico, linguistico e di altra natura ancora concernen ti una determinata realtá minoritaria, raccolti ed elaborati da studiosi di tali discipline, al fine di svol-gere qualche considerazione sugli eventuali profili giuridico-istituzionali con-nessi a tale realta: in particolare, questo studio, sulla base di tali dati e te-Page 78 nendo altresí contó dei principi giuridici vigenti in materia nel nostro ordina-mento, delle esperienze maturate in situazioni analoghe e dei progetti concer-nentí la stessa situazione minoritaria oggetto di indagine, tende ad offrire un quadro complessivo dei possibili interventi normativi diretti ad attuare il principio di tutela delle minoranze di cui all'art. 6 Cost. anche per le comunitá albanesí d'Italía.

La finalitá di questo studio comporta peraltro alcune particolari conse-guenze metodologiche, sulle quali é forse utile soffermarsi brevemente in sede di premessa. Una prima conseguenza consiste nella necessitá di attenuare sen-sibilmente l'impostazione critico-descrittiva dell'ordinamento vigente che in genere e propria degli studí giuridici, al fine di accentuare maggiormente i profili propositivi ed elaborativi dell'indagine in funzione di una eventuale nuova disciplina giuridica, e ció anche sulla base di valutazioni che, pur essen-do a loro volta frutto dell'esperienza giuridica o di altra natura, rimangono comunque soggettive, ed intendono porsi alTattenzione del lettore, sia esso uno studioso di diritto o di altra disciplina ovvero un cittadino a qualsiasi titolo interessato al problema, come ulteriori strumenti di riflessione e di ana-lisi, e non certo perché dótate di valore assoluto.

Un secondo ordine di conseguenze discende dal carattere necessariamente interdisciplinare dell'impostazione di questo come di altri studi concernen ti la materia della tutela giuridica delle minoranze linguistiche. Questa «apertura» verso I'esterno tende sempre di più ad influenzare gli studi di carattere giuri-dico, sia in virtü di una certa maggior sensibilitá complessiva degli studiosi di diritto aglí apporti forniti da altri settori della conoscenza, sia per le più ampie prospettive offerte da nuove metodologie di approccio agü stessi pro-blemí giuridici, come ad esempio accade con gli studi sulla «fattibilitá» o sull'«impatto» sociale della legislazione; ma non c'é dubbio che l'interdisci-plinarietá appaia quasi inevitabile per le ricerche concernenti settori dell'ordi-narnento quali quello della tutela delle minoranze linguistiche. Una partico-laritáj tuttavia, rende ancor più specifico questo tipo di studi: essa consiste nella círcostanza che gli stessi settori della conoscenza, quali l'antropología, la lingüistica, la sociología, la sociolinguistica, la pedagogía, che sembrano suscet-tibili di offrire dati e contribu ti utili alia precisazione dei profili giuridico-istituzionali della materia, sonó stati a loro volta oggetto, nel corso delTultimo quindicennio, di profondi rinnovamenti metodologici e di contenuto,1 sicchéPage 79 spesso tali dati appaiono privi di quella mediazione politica e di quella diffusione della corrispondente problemática a livello di opinione pubblica che rendono più agevole l'inquadramento de jure condendo della corrispondente temática. Un esempio concreto puo forse chiarire meglio l'assunto appena esposto in termini astratti: i più recenti studi di lingüistica hanno chiarito che una buona parte deí problemi di tutela lingüistica minoritaria troverebbe quasi automática soluzione ove i processi educativi e formativi, e quindi ínnan-2Ítutto le scuole primarie, fossero realmente in grado di fornire una educa-zione lingüistica «democrática» a tutti i cittadini,2 indipendentemente dalla eventuale appartenenza di questi ad una comunitá alloglotta e dalle conse-guenti situazioni di bilingüismo o di diglossia; altri studi di lingüistica appli-cata alia pedagogia hanno concretamente dimostrato, attraverso interessanti e proficue esperienze-pilota realizzate nell'ambito della sperimentazione didat-tica, quali eccezionali risultati proprio sul piano delFeffettivo apprendimento della stessa Iingua italiana si possano conseguiré mediante un'educazione in-tegrata dialetto/lingua italiana/lingua straniera.3

Non sonó mancati interventi di autorevoli giuristi, come G. Amato,4 volti a rilevare il singolare ribaltamento di prospettive in virtü del quale prendendo le mosse da un problema quantitativamente, se non oggettivamente, margínale e secondario, quale quello della tutela giuridica delle minoranze linguistiche, si puó giungere a delineare un radicale rinnovamento delTintero modello edu-cativo-formativo accolto nelle nostre istituzioni scolastiche, con sensibile mi-glioramento dell'educazione lingüistica di tutti i cittadini.

Se non é affatto escluso, ed anzi appare auspicabile, che in un futuro più o meno prossimo, ove il quadro político lo consentisse, di tali orientamenti ed esperienze si possa tenere effettivamente contó nel riformare l'ordinamen-to dei processi educativi e formativi, l'attuale realtá istituzionale, visti anche i più recenti interventi di riforma dei programmi scolastici, sembra accogliere solo una minima parte dei suddetti orientamenti; né si de ve dimenticare che la loro realiizazione richiederebbe comunque uno sforzo tutt'altro che indif-Page 80 ferente -si pensí soltanto al problema delTaggiornamento degli insegnanti e del necessario adeguamento delle attuali strutture educative- a fronte di una situazione politica genérale che sembra ancora dominata dalla política den"«emergenza» e che quindi tende a rifuggire dalle soluzioni «globali», li-mitandosi per lo più, soprattutto ove si tratti come in questo caso di problemi politici piuttosto marginali e a prescindere dalTimportanza che si voglia attri-buire a tali problemi, ad interventi di mero adeguamento dell'esistente.

Ció nonostante, se non altro al fine di evitare che le proposte di tutela giurídica concernenti specifiche situazioni minoritarie si traducono in batíaglie di retroguardia e gli obbiettivi che esse si propongono di realizzare siano in parte supera ti dalla legislazione statale o regionale di settore, di tali indica-zioni e prospettive si deve puré tenere contó.

2. Alcuni problemi giuridici inerenii la tutela delle minorante: autonomie territoriali e «diritti linguisiiá» delle minórame La tutela delle minórame Hnguisticbe come «materia» di legislazione

Esempi di questo genere se ne possono fare molti: basti pensare, ancora, ai profili socio-econotnici. É evidente che una politica económica che concen-trasse gli interventi finanziari sul territorio ove risiede una determinata minoranza lingüistica otterrebbe grandi risultati sotto il profilo della promozione complessiva della minoranza, e ció sarebbe particularmente significativo qua-lora ci si trovasse dinanzi a una minoranza lingüistica che vive in condizioni di una certa arretratezza económica rispetto alia media nazionale, come é il caso degli albanesi di Calabria o di altre minoranze non riconosciute; tali risultati, fra l'altro, si ripercuoterebbero certamen te ben al di la delle condizioni economiche della minoranza stessa, migliorandone le condizioni di vita anche sotto tutti gli altri profili, compreso quello linguistico-culturale.

Con questo si vuol far notare come, data una certa nozione giuridica di minoranza,5 occorre distinguere gli indirizzi di politica genérale la cui ado-Page 81 zione potrebbe oggettivamente favorire la minoranza -e quindi costituire più o meno direttamente una vera e propria forma di tutela- dalle specifiche misure di tutela giuridica adottate in ragione della natura di «minoranza lingüistica» della minoranza stessa. Sotto il primo profilo é chiaro che a tali ge-neriche finalitá «promozionali» é possibile assolvere mediante provvedimenti legislativi o di altra natura dal più svariato contenuto. Per alcune minoranze linguistiche presentí nel nostro ordinamento, caratterizzato dalTinserimento fra i suoi principi fondamentali dei principi dell'autonomia, del decentramento e del pluralismo istituzionale e ideológico, proprio al fine di consentiré loro di decidere esse stesse in ordine a mol ti aspetti della loro esistenza e per me-glio difenderle dalla possibile assimilazione da parte del gruppo linguistico dominante, si é ritenuto opportuno riconoscere ampie forme di autonomia territoriale a zone ove esse costituiscono la maggioranza della popolazione: si parla in questi casi, seppur impropriamente, di «autonomia territoriale della minoranza».6 Esempi di tale soluzione si hanno per le minoranze di Iingua tedesca e ladina con l'istituzione della regione ad autonomia speciale del Tren-tino Alto Adige e per la minoranza di Iingua francese con l'istituzione della regione a statuto speciale Valle d'Aosta; solo in mínima misura, invece, l'or-dinamento speciale del Friuli risulta di qualche utilitá per la minoranza slo-vena residente nelle province di Trieste e Gorizia.7

Sotto il secondo profilo, il contenuto dei provvedimenti di tutela risulta assai più circoscritto e riguarda solo alcuni limitati settori d'intervento che ruotano tutti intorno ai fattori, prevalentemente linguistici e culturali, che costituiscono il principale caráttere distintivo degli appartenenti alia minoranza, e consiste in genere nel riconoscimento di particolari situazioni giurídiche soggettive individuali e «collettive».8 Si avrá modo di vedere più avanti, sullaPage 82 base delle varíe proposte legislative preséntate al riguardo e dell'esperienza maturata nel nostro e in altri ordinamenti, quale contenuto concreto assuma in questo caso il principio genérale di tutela previsto all'art. 6 Cost. Preme intanto sottolineare, in sede di premessa, alcune importanti conseguenze di tale dístinzione. In primo luogo si puo osservare che la soluzione del rico-noscimento di un'autonomia territoriale della minoranza, per quanto possa astrattamente apparire la soluzione più idónea a risolvere i problemi di tutela minoritaria, risulta all'atto pratico possibile solo in presenza di condizioni oggettive piuttosto difficili a realizzarsi, di carattere sia geográfico -come nel caso delle minoranze sitúate in zone di confine- che lingüístico -come quan-do la lingua della minoranza costituisce l'idioma ufficiale di un altro ordinamento statale- o più semplicemente político -il grado di coesione della minoranza, la sua consistenza numérica, le pressioni politíche esercitate in sede di comunitá internazionale ovvero da altri stati.

Si psiega cosí il fatto che, in realtá, le due suddette forme di «autonomía territoriale della minoranza» presenti nel nostro ordinamento siano state rea-lizzate addirittura dai costituenti e dietro la spinta di precisi impegni inter-nazionali;9 ma giá con l'istituzione della regione a statuto speciale F.V.G.,Page 83 avvenuta nel '63, mancando adeguate pressioni intemazionali al riguardo, ma non certo circostanze oggettive che lo consigliavano, questo indirizzo fu pra-ticamente abbandonato, con il risultato che, come si é giá accennato, se si eselude il principio genérale di tutela disposto all'art. 3 statuto, la tutela della minoranza slovena -peraltro piuttosto cátente- é affidata ad una serie di disposizioni normative che poco o nulla hanno a che fare con l'ordinamento regionale speciale.10 Di scarsa utilitá pratica per la tutela delle c.d. minoranze riconosciute si sonó altresi rivelati i richiami presentí in alcuni statuti di re-gioni ordinarie alie minoranze linguistiche in esse residenti,11

Sempre al fine di sottolineare le difficoltá connesse alia prospettazione di forme di «autonomía territoriale delle minoranze» si puó viceversa notare che, in riferimento ad altre situazioni minoritarie o comunque a situazioni che tal-volta sonó state qualificate come tali, Pesistenza di consolídate forme di autonomía regionale speciale non sia mai stata utilizzata al fine di offrire anche limítate forme di tutela della corrispondente minoranza lingüistica: é questo certamente il caso della Sardegna,12 rispetto al quale solo di recente la spe-cialitá del relativo ordinamento é stata posta, almeno a livello progettuale, in relazione con i fattori che potrebbero condurre a qualificare come minoranza lingüistica la popolazione sarda e ad utilizzare conseguentemente l'autonomia speciale anche in funzione delle connesse specifiche esigenze di tutela.13Page 84

Ma, al di lá delle questíoni concernenti la difficoltá di prospettare forme di «autonomía territoriale delle minoranze» in funzione delle esigenze di tutela delle minoranze linguistíche non riconosciute, la distinzione sopra ricordata risulta di particolare importanza ai fini di una corretta individuazione della portata del principio di tutela delle minoranze linguistiche disposto dal-l'art. 6 della Costituzione. Per tutti gli anni '60 e '70, infatti, l'attuazione legislativa di tale principio é stata condizionata da un'interpretazione del com-binato disposto degli artt. 6 e 117 Cost. fondata su una non felice formulazione delle motivazioni di alcune sentenze della Corte Costituzionale,14 in virtíi della quale, ridotto al rango di «materia» in senso técnico -ai fini della ripartizione delle competenze legislative fra stato e regioni- il principio di tutela deile minoranze, il governo ha disposto il rinvio per il desame di quasi tutte le proposte di legge adottate dalle regioni al fine di prowedere alia «tutela delle minoranze linguistiche» residenti nel rispettivo territorio, non risultando inclusa tale «materia» nella enumerazíone deUe competenze legislative regionali ex art. 117 o nei corrispondenti articoli degli statuti regionali speciali.15 Simile sorte, come é noto, ha avuto anche il progetto di legge uni-ficato dalla regione Calabria concernen te la «Tutela e valorizzazione del patrimonio storico, cultúrale ed artístico delle comunitá di origine albanese, grecánica e occitanica», deliberato dal Consiglio regionale il 17 dicembre 1979 e ritenuto nel suo complesso illegittimo dal governo per indebita «interferen-za» in materia -la tutela delle minoranze- che «la costante giurispruden-za della Corte costituzionale conferma essere riservata in via esclusiva allo stato 16 Page 85

Solo di recente sonó emersi indirizzi legislativi in grado di rovesciare tale impostazione, che da tempo, peraltro, la dottrina aveva sottoposto a critiche assai convincenti,17 ed ancor più recenti sonó alcune pronunce della stessa Corte costituzionale che sembrano poter sgombiare il campo da qualsiasi ul-teriore equivoco e consentiré l'adozione di adeguati provvedimenti legislativi regionali di tutela delle minoranze linguistiche.18 In sede di premessa é dunque utile precisare che il principio di tutela delle minoranze é un principio «supremo» dell'ordinamento,19 suscettibile di indirizzare, ai fini della tutela delle minoranze linguistiche, l'attivitá legislativa e amministrativa sia dello stato che delle regioni, siano queste a statuto speciale owero a statuto ordinario; esso di per sé non suppone alcuna particolare ripartizione dei compiti di tutela fra stato e regioni ma, come ha posto in luce la dottrina,20 si limita ad offrire una técnica giuridica di tutela che consente Pattribuzione alie minoranze linguistiche di situazioni giuridiche soggettive non solo di tipo individúale, consisten-ti in forme di tutela di carattere negativo, ma anche di tipo collettivo, con-sistenti in misure di tutela di carattere positivo o riparativo -una parte delle quali é appunto costituita dai veri e propri «diritti linguistici»-, destínate poi eventualmente a combinarsi in vario modo con il riconoscimento di situazioni oggettive, sempre di carattere collettivo, quali le predette forme di «áutonomia territoriale della minoranza» od altri adattamenti dell'ordinamento statale alie esigenze di ciascuna minoranza: in ció consiste appunto la grande novitá introdotta dall'art. 6 Cost.21Page 86

Altro problema é quello di stabilire il contenuto concreto delle situazioni giuridiche soggettive a carattere collettivo che di tale insieme di misure costi-tuiscono la parte qualitativamente più rilevante: come si é detto poco sopra, posto che l'art. 6 Cost. non opera tale precisazione, una sorta di «tipizzazione» di queste situazioni é possibile soltanto sulla base dell'esperienza giuridica concretamente maturata nel nostro ordinamento, delle indicazioni provenienti da accordi, trattati, convenzioni di carattere internazionale esistenti in materia, e dello stesso contenuto dei vari progetti di «legge genérale sulle mino-ranze linguísuche» presentati nel corso di questa e della precedente legislatura. Ne risulta, come si vedrá meglio in seguito, un quadro abbastanza va-riegato: risultato del tutto lógico, dal momento che la medesima finalitá di tutela puó essere assolta con vari gradi di intensita e secondo modalitá diverse o addirittura opposte, come accade quando il regime dell'uso della lingua si ispiri al principio del «separatismo linguistico» ovvero al principio del «bilingüismo».22 D'altra parte, questa varietá di contenuti costituisce conseguenza diretta e immediata dello stesso principio genérale di cui all'art. 6, il quale, in quanto applicazione del principio -avente carattere ancor più genérale- di eguaglianza sostanziale, prevede appunto l'adozione di trattamenti diffe-renziati in ragione delle differenti situazioni oggetto di intervento: in altre parole, la tutela giuridica delle minoranze linguistiche, al di lá di alcuni ca-ratteri formali e sostanziali comuni, implica per sua stessa natura l'introdu-zione di discipline giuridiche speciali -in quanto aventi carattere derogatorio o eccezionali rispetto alia disciplina genérale- destinate a trovare applicazione limitata in base al criterio personale o territoriale.

Ció posto, risulta evidente che problemi di individuazione della fonte normativa cui demandare Pattuazione delle misure di tutela -legge statale o legge regionale- si pongono soltanto «a posteriori», e cioé quando, stabilito in base a valutazioni di opportunita il tipo di trattamento che si vuole assi-curare ad una determinata minoranza -e dunque stabilito il contenuto delle situazioni giuridiche soggettive di tipo collettivo che si vogliono riconoscere agli appartenenti ad una determinata minoranza- occorre decidere, in base alia ripartizione di competenze operata dalla Costituzione o dagli statuti re-gionali speciali e dal complesso delle reíative disposizioni di attuazione, a quale autoritá, se a quella regionale o a quella statale, spetti l'adozione dei rela-tivi provvedimenti.

Una prima conseguenza di tale condusione consiste nel fatto che nell'or-Page 87 dinamento italiano una «legge genérale delle minoranze linguístiche» risulta assai utile e opportuna non solo al fine di garantiré un minimo di omogeneitá di trattamento per tutte le situazioni minotitarie, ma anche perché, una volta individuata nella regione la dimensione ottimale degli interventi a favore di ciascuna minoranza lingüistica, occorre delegare alie regioni le potestá legisla-tive ed amministrative che non risultino ad es se giá spettanti per consentite l'adozione dei corrispondenti prowedimenti di tutela. Una seconda importante conseguenza consiste invece nel fatto che, a seguito del mutatnento di indirizzo della Corte costituzionale sopra sommariamente segnakto, nessun ostacolo giuridico sembrerebbe ormai impediré alie regioni ordinarie di adot-tare, beninteso nell'ambito delle competenze ad esse giá attribuite, prowedimenti di tutela delle minoranze linguistiche che ad esse facciano esplicito riferimento, nonché di svolgere, nell'ambito delle varié politiche di settore, una genérale azione promozionale nei confronti delle minoranze residenti nel rispettivo territorio.

3. Riflessi giuridici di alcuni problemi poliíici: la «dimensione europea» dei fenomeni minoútari II conlenuto dei c.d. diritti linguistici e il «doppio livello» di tutela

Queste ultime considerazioni inducono ad offrire, sempre in sede di pre-messe generali, qualche ulteriore osservazione in ordine ai profili più propria-mente politici del problema della tutela delle minoranze linguistiche «non riconosciute». Come si é giá avuto modo di ricordare, negli ultimi tre decenni si é assistito ad un processo di gradúale «riscoperta» della problemática relativa alia tutela delle minoranze linguistiche; questo processo si é manifestato inizialmente soprattutto in orientamenti e tendenze nell'ambito di varíe discipline scientifiche che, rompendo alcune tradizionali impostazioni metodolo-giche e contenutistiche, hanno per vie diverse ma unívocamente indotto a considerare il pluralismo lingüístico ed espressivo come un fattore di crescita e di arrkchimento cultúrale sia per gli stessi appartenenti alie minoranze linguistiche che, in definitiva, per Tintera popolazione.23

Sarebbe tuttavia ingiusto, oltre che errato, ridurre questo processo di riscoperta ad una mera operazione intellettuale, ad un conflitto ideológico o metodológico fra gli studiosi di talune discipline scientifiche come la lingüistica, l'antropologia o la sociolinguistica: lo sviluppo degli studi e delle ricerche scientifiche sulle minoranze linguistiche ha infatti precisi riscontri sia sul piano político genérale sia a livello di movimenti spontanei nell'ambito della c.d. societá civile e cioé anche al di fuori della rappresentanza politica istituziona-lizzata.

Sul piano político genérale, un primo dato sul quale é opportuno soffer-Page 88 mare l'attenzione & costituito dalla dímensione europea del fenómeno delk «riscoperta» dei problemi di tutela giuridica minoritaria: si pu£> infatti notare come, nell'ultimo quindicennio, molti ordínamenti europei, diversi tra loro e per la forma di governo e per il corrispondente asetto istituzionale, siano stati ínteressati da movimenti politici di intensitá variabile ed aventi obbiettivi politico-istituzionali immediati non necess ariamente identici, ma dei quali risulta evidente la comune e prevalente matrice etnico-linguistica, assu-mendo in genere tali movimenti, sul piano político, la natura di rivendicazioni avánzate da più o meno forti nuclei di popolazione identificabili sulla base di criterí etnico-linguistici nei confronti dei rispettivi stati di appartenenza. La varietá di forme, contenuti e obbiettivi di tali movimenti e la conseguente varíetá di problematiche istituzionali da essi sollevate sono dati di fatto che non abbisognano di particolari dimostrazioni: é sufficiente qui richiamare a mo' di esempio la diversitá di situazioni e di prospettive politico-istituzionali connesse alie rivendicazioni separatiste e autonomistiche nei Paesi baschi e dalla questione fiamminga, alie vicende del Kossovo jugoslavo, si tentativi di Corsica in Francia, al complesso delle riforme istituzionali innescate in Belgio dalla questione fiamminga, alie vicende del Kossovo jugoslavo, ai tentativi di devolution in Galles e in Scozia per non parlare della questione nord-irlandese per quanto concerne Fordinamento inglese, per arrivare fino ai problemi di tutela delle minoranze «non riconosciute» in Italia.

Di questa dimensione europea del problema della tutela delle minoranze linguistiche sono state offerte molteplici Ínterpretazioni e spiegazioni, sulle quali non é il caso di dilungarsi in questa sede;24 sembra invece più utile, dal punto di vista che qui interessa, individuare i pochi punti fermi di tali inter-pretazioni, che sono suscettibüi di essere utilizzati come prima chiave interpretativa dei fenomeni che interessano anche il nostro ordinamento.

Innanzitutto é bene chiarire súbito che é assai difficüe individuare una valenza política univoca di queste nuove manifestazioni delle rivendicazioni connesse all'esistenza di minoranze etnico-linguistiche: in particolare, esse dif-ficilmente si prestano ad essere individúate onnicomprensivamente e univoca-mente in base agli elementan criteri di qualificazione delle contrapposizioni politiche, quali progressismo/conservatorismo, democraticitá/antidemocratidtáPage 89 e via dicendo; si puó semmai notare che ciascuna di tali manifestazioni presenta sfaccettature diverse e contraddittorie e che, non di rado, problemi oggettivi e reali riconducibili alia problemática della tutela minoritaria costi-tuiscono l'occasione di strumentalizzazioni politiche di dubbia opportunitá.

Análoga varietá di situazioni si riscontra altresl ove si tenti di valutare i suddetti fenomeni sotto il profilo socioeconómico, poiché essi coinvolgono po-polazioni che godono di buone condizioni economiche e di sviluppo -rispetto alia media europea-, ma anche popolazioni che vivono condizioni -sempre rispetto a tale media -di sottosviluppo económico e di emarginazione so-ciale.25

Anche sotto il profilo giuridico-istituzionale, peraltro, il pressoché contemporáneo riacutizzarsi in vari ordinamenti europei di rivendicazioni mino-ritarie solleva problemi apparenteniente contraddittori. Da un lato, infatti, la notevole diffusione di questi fenomeni é stata favorita da un'altrettanto gene-ralizzata crescita delle liberta politiche e dei diritti sociali; ma é evidente che questa crescita -che puré é un fatto indubitabile- non ha raggiunto livelli del tutto soddisfacenti, poiché altrimenti i suddetti fenomeni non avrebbero alcuna ragione d'essere, D'altro lato, a livello di comunitá internazionale si tende con sempre maggior convinzione, sviluppando una tendenza afferma-tasi a partiré dal secondo dopoguerra, a considerare e prospettare i problemi di tutela minoritaria come problemi di tutela dei diritti di liberta individuali e collettívi, riconducendoli dunque, secondo un'impostazione che si puó rite-nere caratteristica della tradizione giuridico-culturale propria dei paesi anglo-sassoni e da questa trasferitasi in alcuni documenti internazionali in materia di diritti dell'uomo, alia problemática delle liberta di opinione e di manifesta-zione del pensiero;26 si pub tuttavia notare che, sebbene non manchino con-Page 90 ferme anche recenti della prevalenza di tale impostazione,27 in molti ordina-menti risulta evidente l'interdipendenza tra le rivendicazioni minoritarié e la dinámica dei rapporti centro/periferia che si é contestualmente sviluppata all'interno di ciascuno di essi: in particolare, se si osservano le vicende poli-tico-istituzionali di alcuni ordinamenti in cui solo più di recente sonó stati avviati processi di decentramento politico su base territoriale, come Spagna, Francia, Belgio e la stessa Gran Bretagna, si puó rilevare che la componente etnico-linguistica riveste un ruólo decisivo nell'ambito di tale dinámica, sicché le rivendicazioni e le politiche volte ad ottenere e realizzare un maggiore o minor grado di decentramento politico su base territoriale risultano alPatto pratico fortemente condizionate da contrapposizíoni aventi carattere prevalen temente etnico-linguistico.

Per quanto risulti impossibile generalizzare gli effetti pratici che conse-guono all'esistenza di tale interdipendenza, che puó a sua volta assumere con-notati diversi da situazione a situazione in virtü di una molteplicitá di altri fattori (per esempio in relazione alia capacita che tali movimenti hanno di esprimere anche compatte organizzazioni politiche di tipo partitico che siPage 91 facciano portatrici delle esigenze particolari delle minoranze, come accade per il Partiio Nacionalista Vasco o il Südtiroler Volkspartei), si puó notare come essa ha favorito l'affermazione di un indirizío, di cui si é fatto principale interprete il Parlamento europeo, tendente a valorizzare al massimo la con-cessione di ampie forme di autonomia política su base territoriale quale stru-mento privilegiato di tutela dei gruppi etnico-linguistici minoritari. Si vedrá tuttavia tra breve come nell'ordinamento italiano la difficoltá di daré pratica attuazione a tale indirizzo, che presuppone la maggior corrispondenza possibile tra «disegno» dei poteri locali -ad iniziare dal livello regionale per arrivare a quello comunale, e, se del caso, anche circoscrizionale o addirittura di quar-tiere- e ámbito territoriale di diffusione di ciascun gruppo minoritario, co-stituisca in definitiva un ulteriore motivo a favore della devoluzione delle competenze concernenti la tutela delle minoranze linguistiche agli enti decen-trati.

Le sintetiche considerazioni svolte in ordine alia «dimensione europea» della temática della tutela minoritaria -dimensione che tende a sottolineare le analogie tra i vari fenomeni minoritari esistenti negli ordinamenti europei, ma non certo a escludere la rilevanza anche extraeuropea di tali fenomeni- contribuiscono dunque a chiarire i termini generali della problemática della tutela delle minoranze linguistiche quantomeno a livello continentale. Non c'é dubbio infatti che, ripercorrendo le vicende storico-politiche connesse alia formazione dei vari stati-nazione che costituiscono l'attuale assetto político dell'Europa occidentale, risulti abbastanza age volé individuare proprio nella particolare configurazione del rapporto tra «comunitá nazionale» e «ordina-mento statuale» il dato típico e caratteristico, al di la delle singóle varianti, di quelle vicende: il rapporto tra rivoluzione industriale, sviluppo dell'ideología libérale e formazione degli ordinamenti contemporanei ha infatti costi-tuito il presupposto dell'ideologia e della prassi política «nazionalista» che ha condotto, da un lato, all'affermazione del principio «uno stato, una cultura»28 e, dall'altro, inevitabilmente, alia formazione di piú o meno ampi gruppi «lingüísticamente» minoritari, inseriti in ordinamenti statali caratterizzati da una precisa lingua/cultura dominante, talvolta indifferenti, talvolta tolleranti ma più spesso volti alia assimilazione di tali gruppi nel gruppo dominante, in omaggio alie esigenze di affermazione di unitá política, culturale-educativa e lingüistica poste dallo sviluppo economico-sociale di ciascuna societá statale.29Page 92

In tale quadro europeo, relativamente omogeneo, la formazione di più o meno consistenti gruppi linguistici minoritari, qualche volta separati dalla «etnia» d'origine a sua volta dominante in un altro stato-nazionale da una semplice linea di confine «légale», tal volta e per varié vicende da essa anche piuttosto lontani, ma il più spesso delle volte del tutto privi di simile punto di riferimento -il che, come si vedrá, risulta di notevole importanza ai fini della individuazione delle rispettive forme di tutela giuridica- ha dunque una evidente matrice comune proprio nella vicenda storica e politica che ha caratterizzato la parábola -prima ascendente, poi discendente, fino alia decisiva sconfitta del razzismo, inteso come forma degenerata del nazionalismo, a prescindere dalle sue motivazioni economico-sociali- del principio nazio-nalista «uno stato, una cultura»; sicché, a fronte della prima sottolineata «dimensione europea» delle rivendicazioni minoritarie si puo diré che, negli ordinamenti contemporanei europei del secondo dopoguera, cosí come la più o meno accentuata tendenza a valorizzare forme di pluralismo istituzionale a carattere territoriale costituisce una reazione -circostanza che appare particularmente evidente nel caso della scelta «regionalista» in sede di assemblea costituente italiana e della scelta fedérale nella RFT30- alie polinche rigida-Page 93 mente centralizzatrici funzionali dapprima alia esigenza di unificazione (o unitá) giuridico-amministrativa propria degli ordinamenti liberali e dei corrispon-denti interessi politico-economici delle oligarchie sociali in essi dominanti, e poi dei regimi fascisti, quasi a sottolineare la volonta e la necessitá di coniu-gare le esigenze di efficienza dell'azione amministrativa con quelle di integra-zione politica della popolazione, secondo la terminología generalmente utiliz-zata nei paesi di lingua tedesca,31 o con quelle di partecipazione democrática, per usare la terminología più diffusa del nostro paese;32 alio stesso modo, la diffusione di rivendicazioni minoritarie si presenta quasi come una sorta di reazione ai processi di più o meno artificiosa standardizzazione e omoge-neizzazione lingüistica che si sonó svolti contestualmente ai processi di unificazione politica e/o di costruzione dello stato libérale moderno. Con que-sta sostanziale differenza, tuttavia: mentre la realizzazione di un certo decen-tramento di potere politico-istituzionale -pur continuamente messa in dis-cussione per quanto concerne la sua intensitá- appare tutto sommato fun-zionale alie esigenze poste dall'attuale livello di sviluppo económico e político- bastí pensare, ad esempio, alie politiche regional! della CEE, o ai vari ordinamenti europei che presentano forme di più o meno intensa regionaliz-zazione-, il pluralismo lingüístico, giá in crisi a livello di comunitá interna-zionale -dove poche lingue (inglese, russo, spagnolo ecc.) tendono a mono-polizzare le relazioni internazionali, non solo politiche ed economiche, ma anche semplicemente letterarie o culturali-, ove non ricondotto nelTambito di quella nozione di educazione lingüistica democrática su cui si é avuto giá più volte occasione di insistere, potrebbe apparire del tutto in contrasto anche con le esigenze (tutt'altro che supérate) di adeguamento ad un livello medio sempre più internazionalizzato e standardizzato dei processi educativi e for-mativi e più in genérale di comunicazione e di trastnissione delle informazioni e delle decisioni che si svolgono aü'interno di ciascun ordinamento statale.Page 94

Detto in altre parole, mentre anche a livello di opinione pubblica oltre che, ad esempio, a livello di istituzioni comunitarie o di singoli ordinamenti sta-tali si é formato, pur fra varié ambíguitá ed incertezze, un consenso di massi-ma intorno all'opportunitá di realizzare un certo decentramento político su base «regíonale» o di ámbito corrispondente, la problemática politico-istituzionale connessa al pluralismo lingüístico e alia tutela dei gruppi linguistici mi-noritari, se rapportata all'arco di tempo che va dalla formazione degli attuali ordinamenti statali sino ai nostri giorni, solo in tempi relativamente recenti, soltanto occasionalmente e spesso in termini del tutto distorti si e proposta all'attenzione genérale, e cioe come problemática di interesse genérale e non soltanto dei singoli gruppi minoritari più o meno riconosciuti e comunque direttamente interessati.

C'é dunque una sostanziale impreparazione e delle classi politiche (anche di quelle regionali) e della stessa opinione pubblica ad affrentare e risolvere in termini politico-istituzionali coerenti, giá in fase meramente propositiva, la problemática del pluralismo lingüístico e della tutela dei gruppi lnguistici minoritari: e non c'é dubbio che il piano su cui tale impreparazione, con tutte le conseguenti incertezze, più si manifesta é proprio quello della indivi-duazione dei contenuti concreti di questa tutela giuridica. Si puó allora osser-vare che, al di lá della genérica affermazione del principio di tutela" delle minoranze linguistiche come corollario dei principi-valori costituzionali fon-damentali tipici dello stato sociale di diritto (principi di liberta, eguaglianza, pluralismo),33 il principale problema che sorge al momento di attuare tale principio in concreti indirizzi di política legislativa non e tanto quello di scegliere tra i due opposti indirizzi storicamente prevalenti, tendenti l'uno a privilegiare forme di autonomia politico-istituzionale su base territoriale delle minoranze linguistiche -indirizzo raramente affermato a livello di comunitá internazionale ma recentemente e con vigore sostenuto a livello di singoli ordinamenti statali contestualmente alio sviluppo dei processi di decentramento político su base territoriale- e l'altro a risolvere la tutela delle minoranze linguistiche nella valorizzazione e nello sviluppo di diritti di liberta individúan" e collettivi -secondo la técnica giuridica che poco sopra si é de-finita di «tradizione anglosassone», recepita in alcune carte internazionali dei diritti dell'uomo-, poiché appare attualmente fuori discussione che la tutela giuridica delle minoranze linguistiche implichi Putilizzazione coordinata di entrambe tali tecniche; quanto piuttosto quello di stabilire preventivamentePage 95 il contenuto concreto dei «diritti linguistici» in senso técnico, e dunque il regime giuridico dell'idioma degli appartenenti a ciascuna minoranza lingüistica, in quanto principale e caratteristico elemento distintivo di tali soggetti: le scelte da compiere al riguardo in relazione alie esigenze e ai caratteri spe-cifici di ciascuna minoranza lingüistica costituiscono infatti il presupposto lógico di tutto il complesso della disciplina giuridica di attuazione del principio genérale di tutela delle minoranze linguistiche e finiscono altresl per condizio-nare l'equilibrio tra strumenti di tutela che si fondano su forme di «autono-mia territoriale della minoranza lingüistica» e strumenti che si fondano piut-tostó sulla valorizzazione di alcuni particolari «diritti di liberta».

Non é il caso, in questa sede, di dilungarsi in un dettagliato esame della tipología delle varié forme di regime giuridico dell'uso delle lingue adottate nei principali ordinamenti contemporanei e nello stesso ordinamento italiano in funzione della tutela di singoli gruppí minoritari: salvo quanto si avrá modo di os servare al riguardo più avanti in ordine alie implicazioni di ciascuno dei possibili «regimi giuridici» dell'uso della lingua, e rinviando agli scritti specialistici la precisazione dei singoli concetti,34 si puó diré che la determina-zione dei contenuti concreti dei «diritti linguistici» concerne innanzitutto la configurazione del diritto all'uso della «lingua» materna (laddove per «lingua» si puó intendere qualsiasi idioma o «dialetto») in tutti i casi in cui tale uso abbia rilevanza giuridica, sia nei rapporti intersoggettivi privati sia, soprattut-to, nei rapporti pubblici (ad esempio nei rapporti tra cittadiní e pubblica amministrazione, dinanzi all'autoritá giuridica, nelle assemblee elettive e negli organi pubblici ecc); un secondo grande campo di disciplina giuridica afferente ai c.d. «diritti linguistici» riguarda poi le htituzioni scolastiche e, in genérale, i processi educativi e formativi, nei quali la «lingua» minoritaria puó co-stituire oggetto di insegnamento ed anche essere s frumento di insegnamento delle varié discipline impar tite; un altro specifico settore é poi costituito da taluni servizi pubblici nei quali l'uso della lingua acquista particolare rilevanza, come ad esempio la toponomástica, la radio-televisione e la stessa stampaPage 96 in tutti i casi in cui essa ha sovvenzionamenti pubblici; un ulteriore settore di disciplina afferente ai «diritti linguistici» che di recente ha assunto note volé importanza m conseguenza del grande sviluppo che in esso ha assunto l'inter-vento pubblico, con particolare riguardo alie autonomie regionali, provinciali e locali, é quello dei c.d. servizi culturali, concernenti ad esempio rordinamen-to di biblioteche e musei, gli spettacoli pubblici, le attivitá teatralí, cultuiali e ricreative e via dicendo.

La disciplina giuridica di questo insieme di oggetti relativamente eteroge-nei risulta condizionata da un duplice ordine di variabili: innanzitutto dalla particolare configurazione del «regime linguistico», potendosi al riguardo distinguere i sistemi che si richiamano al modello del «separatismo linguistico» da quelli che si ispirano al principio del «bilingüismo totale»; questa scelta, sulle cuí implicazioni si avrá modo di sofferrnare l'attenzione in seguíto, as-sume tuttavia notevole rilievo solo nel caso che la tutela lingüistica raggiunga il massimo livello, implicando la parificazione della Iingua della minoranza a quella usata dalla maggioranza degli appartenenti all'ordinamento considérate Ma é facile comprendere come in riferimento alie minoranze linguistiche «non riconosciute» -e il discorso non vale soltanto per la minoranza albanese in Italia o per altre minoranze esistenti nel nos tro paese- il problema più importante é quello di stabilire Yintenüta della tutela giuridica: posto che, come si é giá rilevato, forme di tutela delle minoranze linguistiche possono essere costituite anche da politiche sociali ed economiche che niente hanno a che vedere coi «diritti linguistici» in senso stretto, e che esse possono altresi con-sistere in forme di più o meno ampia «autonomía territoriale» delle minoranze, per quanto concerne il contenuto concreto dei «diritti linguistici» il problema di fondo rimane quello di stabilire se alie c.d. minoranze linguistiche non riconosciute debba essere attribuito un trattamento che implica una completa e dettagliata disciplina relativamente a tutti gli oggetti poco sopra som-mariamente descritti in virtu della piena parificazione giuridica della «Iingua minoritaria» alia Iingua ufficiale dell'ordinamento statale di appartenenza, ovvero se ad esse non sia più opportuno riservare una forma di tutela ridotía, che si limita -sempre per quanto concerne i «diritti linguistici» -ad alcuni soltanto degli oggetti testé esaminati, e cioe, in particolare, ai c.d. «servizi culturali» e aü'insegnamento della «iingua» minoritaria nelle istituzioni sco-lastiche -soprattutto in quelle della fascia dell'obbligo-, senza giungere alia parificazione giuridica di tale «Iingua» con quella «ufficiale» dell'ordinamento statale di appartenza.

Questa lógica del «doppio livello» di tutela solo di recente e stata ufficial-mente sancita da qualche testo costituzionale: un chiaro esempio di tale in-dirizzo é offerto dalla Costituzione spagnola del 1978, il cui art. 3, dopo aver proclamato il castigliano «Iingua spagnola ufficiale dello Stato», stabilisce, da un lato, che le ctltre tingue spagnole saranno parimenti lingue ufficiali nelle varíe regioni secondo quanto stabiliscono i rispettivi statuti di autonomía, e,Page 97 dall'altro. che le varié modalith linguistiche della Spagna costituiscono un patrimonio cultúrale «oggetto di speciale tutela e protezione».35

Ma ad una lógica simile, come si vedrá meglio in seguito, sembrano altresl ispirarsi i vari progetti di legge genérale sulle minoranze linguistiche presen-tati nel nostro ordinamento per assicurare qualche forma di protezione giuridica alie c.d. minoranze linguistiche non riconosciute, ivi compresa la mino-ranza lingüistica albanese; tanto che tali progetti, oltre all'indifferenza e alie resistenze frapposte alia loro approvazione della classe política «nazionale», hanno dovutq spesso subiré l'ostilitá di qualche esponente, più o meno politicamente legittimato, delle singóle minoranze interessate o comunque di parte dello stesso movimento di opinione favorevole alia protezione giuridica delle minoranze non riconosciute, sul presupposto della accezione eccessivamente «riduttiva» delle forme di tutela giuridica prevista da tali progetti.

Questo «massimalismo», ostentato in forme anche provocatorie,36 recepitoPage 98 in concrete proposte di tutela,37 ha talvolta svolto per la causa delle minoranze un ruólo altrettanto dannoso che l'ostilitá preconcetta verso qualsiasi forma di tutela delle c.d. minoranze linguistiche non riconosciute da parte di chi teme, per questa via, la rottura delT«unitá lingüistica» del paese. Al riguardo é bene precisare súbito che non esistono veri e propri criteri oggettivi che consentano di assegnare ad un determinato idioma minoritario il regime dei diritti linguistici che si é definito «ridotto» invece di quello più ampio, che suppone la parificazione giuridica di lingua minoritaria e lingua «nazionale»: la stessa distinzione costituzionalizzata in Spagna evita di fare riferimento a tali criteri, sicché si puó ben diré che tale scelta dipende soprattutto da valutazioni di ópportunitá degli interessi prioritari da perseguiré; si tratta, in poche parole, di una valutazione di ordine quasi esclusivamente politico. Ed é vero altresl che nell'ordinamento italiano ricollegare troppo meccanicamente la tutela di tipo più ampio, concernente il riconoscimento di situazioni giuridiche soggettive volte a parificare l'uso della iingua minoritaria all'uso della lingua «ufficiale» dell'ordinamento, al principio costituzionale di tutela delle minoranze linguistiche di cui all'art, 6 Cost. e quella di tipo «ridotto», concernente -come si é poco sopra detto- soprattutto Tuso scolastico delle lingue e i c.d. «servizi culturali», al principio di protezíone dei beni culturali di cui all'art. 9 Cost., sul presupposto della considerazione delle varié «lingue» (o idiomi, o dialetti) minoritarie come parte integrante di quel patrimonio cultúrale che l'art. 9 Cost. impone appunto di promuovere e tutelare,38 rischiaPage 99 di apparire svalutativo della finalitá promozionale e di tutela rivolta non tanto alia «lingua» quanto al gruppo di cittadini che tale lingua identifica o contri-buisce ad identificare.

Tali consíderazioni non valgono tuttavia ad escludere la «razionalitá» delle forme di tutela giuridica ispirate al principio del «doppio livello» di protezio-ne: se nell'ambito degli studi linguistici, letterari o antropologici e nella stessa produzione letteraria si puó prescindere -sempre entro certi limiti- dal tener contó del complesso dei motivi di ordine storico-politico per cui un determinato idioma, in virtü del processo prima descritto, é assurto al rango di «lingua nazionale», mentre per altri idiomi ció, seppure più o meno forza-tamente, non si é potuto verificare,39 la considerazione di tali motivi diventa decisiva quando, di fronte al problema del riconoscimento giuridico di un determinato idioma, i provvedimenti legislativi di tutela si debbano analizzare anche in termíni di rapporto tra «costi» e «benefici» e di «fattibilitá», valu-tando dunque le conseguenze di una eventuale piena parificazione giuridica dell'idioma minoritario con la lingua «nazionale» per quanto concerne, ad esempio, Porganizzazione dei pubblici uffici, dei ttibunali, delle scuole e via dicendo. Appare allora evidente che i costi -non solo puramente economici- conseguenti ad una piena equiparazione giuridica della lingua minoritaria aliaPage 100 lingua «nazionale» possono essere sostenuti solo in presenza di determínate circostan2e, fra le quali vanno menzionate la consistenza quantitativa deUa minoranza, la collocazione geográfica deü'area in cui essa risiede, la più o meno ricca tradizione culturale-letteraria dell'idioma minoritario, la più o meno forte tradizione di autonomía politico-amministrativa degli appartenenti alia minoranza, la presenza di forti partid politici che rappresentino gli inte-ressi della minoranza, il fatto che l'idioma minoritario sia «lingua ufficiale» in qualche ordinamento statale (il che determina in genere una certa pressione política -che in qualche caso pu6 costituire il presupposto per la conclusione di accordi internazionali al riguardo- da parte di quest'ultimo sullo stato cuí appartiene la minoranza al fine di garantirle un certo livello di tutela).

É importante osservare che, per consentiré la piena paríficazione giuridica o «coufficializzazione» dell'idioma minoritario, le suddette circostanze devono verificarsi tutte contestualmente, mentre la presenza di una o due di esse non garantisce affatto l'ottenimento di tale risultato: cid spiega perché, ad esem-pio, solo per pochi gruppi linguistici minoritari -anche a considerare i soli paesí dell'Europa occidentale- si ha piena ed effettiva paríficazione giuridica della lingua minoritaria alia lingua «ufficiale» dell'ordinamento statale di ap-partenenza, con conseguente estensione della disciplina dei «dirittí linguistici» a tutti gli oggetti sopra sommariamente descritti40Ma si spiega cosí anche ilPage 101 fatto che in qualche caso al momento di stabilire le forme di tutela lingüistica si sia preferito «sacrificare» l'idioma minoritario in favore di lingue «elettive» aventi caxattere di lingua ufficiale in altri ordinamenti: ció, ad esempio; é accaduto per il «patois» di valdostani e svizzeri ocddentali in favore del fran-cese, secondo una lógica che ha alcune giustificazioni politiche ma lascia in genere alquanto perplessi gli studiosi di lingüistica.41 La necessaria concomi-tanza dei fattori poco sopra indicati fa inoltre si che ai fini dell'attribuzione di «diritti linguistici» in forma estesa o in forma ridotta, a prescindere dalle valutazioni di opportunitá cui si é in precedenza fatto cenno, non possono essere considérate scriminanti decisive né il dato offerto dalla consistenza quantitativa del gruppo minoritario -che per alcuni (presunti) gruppi lin-guistici minoritari esistenti nell'ordinamento italiano é indubbiamente note-volé: si pensi ai sardí o ai Iadini friulani-, né la circostanza che l'idioma della minoranza costituisca la lingua uffkiale in qualche altro ordinamento statale: é chiaro il riferimento alia minoranza italo-albanese.42

Ma il miglior argomento a favore della lógica del «doppio livello» di tutela consiste non tanto nella considerazione degli ostacoli di ordine político, geográfico ed económico o di altro genere ancora che rendono difficilmente prospettabile il riconoscimento dei «diritti linguistici» in forma più ampia, quanto nel sottolineare gli importanti e fondamentali risultati che si possono raggiungete mediante il riconoscimento di tali diritti ín forma «ridotta»: ben lungi dal limitare la tutela delle minoranze Unguistiche non riconosciute ad un «mero» problema scolastico-educativo, in certe determínate situazioni i prov-vedimenti di tutela ispirati a tale lógica possono contribuiré a realizzare ob-Page 102 biettivi di grande rilevanza. Ció risulta evidente se, in riferimento all'ordina-mentó italiano, si considerano i principali obbiettivi propri dei provvedimenti volti a rendere possibile un''educazione lingüistica democrática di tutti i cittadini nell'ambito delle scuole dell'obbligo, provvedimenti che costituiscono l'aspetto qualificante della tutela c.d. «ridotta» che si vorrebbe assicurate mediante una legge genérale per la protezione delle minoranze linguistiche non riconosciute. I principali obbiettivi consistono: 1) nel migliorare la conoscenza dell'italiano standard, utilizando il método c.d. contrastivo, e nell'educare i cittadini all'uso di tutti gli idiomi (nonché degli altri canali espressivi) se-condo il principio della «pari dignitá sociale» dei medesimi; 2) nell'elimínare ogni forma di emarginaziorie sociale connessa all'esistenza di situazioni di diglossía conseguenti alia diversa rilevanza sociale degli idiomi, forme di cui le minoranze linguistiche non riconosciute sonó le principali ma non le solé vittime; 3) nel contribuiré ad eliminare forme di emarginazione sociale di cui l'aspetto linguistico costituisce solo un riflesso esteriore ma non la causa principale, come accade per talune contrapposizioni (e le conseguenti diffe-renziazioni sociali) ancora profonde nel nostro paese, quali quelle citta-cam-pagna, nord-sud, centro-periferia e via dicendo. £ chiaro che il contributo offerto dalla educazione lingüistica sará tanto più intenso quanto più tale tipo di provvedimenti si accompagnerá ad interventi di promozione e valo-rizzazione anche in campo económico e sociale delle popolazioni interessate; 4) nel far acquisire e rafforzare la coscienza della identitá socio-culturale dei gruppi linguistici più emarginati -basti pensare a come il problema si con-nette a quello delTemigrazione interna e delTinurbamento-, con tribu endo alia diffusione della consapevolezza della «unitá nella diversitá» della popo-lazione italiana, consapevolezza che, stante il permanere di numerosi e radi-cati fattori di contrasto (economici, sociali, geografía) spesso esaltati dal problema linguistico, ben lungí dall'essere sancita dall'unitá lingüistica (l'Italia e ancora a livello dei paesi del terzo mondo quanto a conoscenza effettiva parlata e scritta della lingua «nazionale» standard), sembra emergeré piena-mente -non é purtroppo una battuta- solo in occasione di talune (e vitto-riose) manifestazioni sportive.

Ora, non c'é dubbio che, in funzione di tali generalissimi obbiettivi, e della stessa «educazione lingüistica democrática», una legge genérale per la protezione delle minoranze linguistiche non riconosciute costituisce uno dei tanti presupposti, e probabilmente neppure il più importante; né ad essa -come giá si é avvertito- si puó far carico della soluzione di tutti i problemi testé enunciati per la generalitá dei cittadini, poiché íl compito di sif-fatto provvedimento é semmai quello di contribuiré a risolvere alcuni di tali problemi per quella più o meno grande parte dei cittadini che appartengono ad un quakhe gruppo linguistico minoritario. Si vuole piuttosto sottolineare che la realizzazione dei suddetti obbiettivi non richiede affatto il riconosci-mento di «diritti linguistici» in forma particularmente ampia, poiché -dal punto di vista giuridico- si tratta soltanto di consentiré la modificazionePage 103 degli attuali ordinamenti scolastici in modo da adeguarli, anche con successivi e articolati aggiustamenti, a tali esigenze, e di permetterne l'adattamento -investendo di tali compiti le autonta decentrate: regioni, province e co-muni- alie esigenze specifiche di singoli gruppi e situazioni minoritarie; deve invece essere ancora una volta ribadito che a fronte di tali «minimi» interventi sul piano giuridico-istituzionale, la realizzazione dei grandi obbiettivi che si sonó riassunti schem áticamente nei quattro punti prima enunciad richiede uno sforzo poíitico non indifférente ed é quasi interamente affidata alia vo-lontá e alia capacita delle forze politiche chiamate a gestirne e guidarne l'at-tuazione, non potendo in alcun modo -in questo come in molti altri casi-: le garanzie di tipo giuridico sostituirsi o surrogare la carenza di volontá po-litica neü'adottare tutto il complesso di attivitá (prevalentemente politiche e amministrative) che il processo appena descritto richiede.

4. La «soggettivita» delle minórame linguistiche: l'appartenenza alie minorante linguistiche come aito e come falto giuridico

Un'ultima questione che merita qualche cenno di carattere genérale, trat-tandosi anche in questo caso di illustrate i riflessi giuridico-istituzionali di problemi che hanno prevalentemente natura politica, riguarda le modalitá di individuazione dei gruppi lmguistici minotitari destinatari delle misure ge-nerali di tutela giuridica eventualmente introdotte nelTordinamento. Dal punto d¡ vista político, il problema appare di facilissima enunciazione -sebbene la sua soluzione appaia tutt'altro che pacifica: per rendersene contó é suffi-ciente daré un rápido sguardo agli «elenchi» delle minoranze linguistiche contenuti nei vari progetti di legge genérale presentati al nostro parlamento e verificare le sensibili differenze, a volte veramente incomprensibili, fra un elenco e l'altro: si tratta infatti di stabilire quali siano i gruppi Iinguistici minoritari meritevoli di considerazione, e cioe di protezione, da parte dellTor-dinamento giuridico. Tali progetti tendono ad eludere soluzioni generali del problema -stabilendo cioé in via astratta in che modo e in base a quali cri-teri si possono individuare le minoranze linguistiche meritevoli di tutela-, limitandosi in genere a presentare elenchi, più o meno completi, di situazioni minoritarie destinatarie delle misure di protezione da essi prevista.43Page 104

Dal punto di vista giuridico la soluzione non pub tuttavia proporsi in termini altrettanto «empirid», anche perché alcuní generalissimi principi accol-ti nel nostro ordinamento -e in molti altri ordinamenti europeí occidentali- e alcune rególe speciali che tendono a limitare, più che a derogare, l'applica-zione di tali principi concorrono a delineare precisi criteri di individuazione delle situazioni mínoritarie destínatarie dei prowedimenti di tutela,

Occofre infatti rilevare che nel nostro ordinamento, ispirato a principi di liberta, democrazia e pluralismo ideológico e istítuzionale, l'appartenenza di un cittadino ad una minoranza lingüistica -come del resto la sua «nazionalitá» e, entro certi limiti, perfino la sua stessa cittadinanza- non costituisce una questione di falto, ¿efinibile mediante il ricorso a criteri oggettivi, ma una questione di vdonta, espressione della più genérale liberta di opinione:44 proprio in virtü di tali principi, nel nostro come in altri ordinamenti, le mino-ranze linguistiche sonó protette indipendenteniente dall'accoglimento del principio di nazionalitá, in virtü del quale -come si e gia avuto modo di rilevare- si tende ad individuare nelle particolaritá etnico-Iinguistiche di ciascun gruppo sociale il decisivo fattore di separazione (e contrapposizione) dei gruppi so-ciali, ín modo che ciascun gruppo cosí individuato si identifichi con una de-terminata «nazionalitá» (e conseguentemente, se é possibile, con una deter-minata unitá statale).

Da questa impostazione genérale del problema discendono alcune conse-guenze molto importanti. Innanzitutto, il carattere eccezionale e strumentale di taluni istituti volti a limitare il principio della liberta di appartenenza ai gruppi linguistici, come accade ad esempio con la dichiarazione di appartenenza al gruppo lingüístico che devono rilasciare i cittadini residenti in provincia di Bolzano secondo quanto stabilito da alcune norme di attuazione dello Sta-tuto del T.A.A.;45 tale istítuto appare amtnissibile in quanto le sue conse-guenze giuridiche risultino strumentali all'applicazione di uno degli istituti cardine -la c.d. proporzionale étnica- su cui si fonda la protezione giuridica degli appartenenti alia minoranza di lingua tedesca residente nel Sudtirolo, ma, come da tempo e stato sottolineato in dottrina e di recente riaffermatoPage 105 dalla giurisprudenza,46 esso deve.essere strutturato in modo tale da non le-dere né il principio di liberta di uso delle lingue (che verrebbe messo in crisi dalla proposta di collegare meccanicamente Tuso della Iingua in determinati atti e circostanze al contenuto della dichiarazione di appartenenza), né il principio della liberta di appartenenza ai gruppi linguistici, inteso anche come liberta dei singoli di non aderire ad una determinata formazione sociale,47 sen-za che da ció possa per essi derívame il sacrificio di qualche interesse o diritto costituzionalmente protetto.

Un'altra importante conseguenza dei suddetti principi consiste nella diffi-colta di organizzare censimenti linguistici al fine di trame conseguenze in ordine alia applicazione di qualche forma di tutela giuridica, od anche, più semplicemente, al fine di trarre qualche pur utile indicazione in ordine alia consistenza quantitativa dei gruppi linguistici da tutelare. Benché la prassi dei censimenti linguistici sia assai più diffusa di quanto comunemente non si creda,48 l'esperienza insegna come siano tutt'altro che infrequenti i tentatíviPage 106 di manipolare e di condizionare, più o meno voluntariamente, i risultati di tali consultazioni49 tanto da far apparire non del tutto infondati i timori al riguardo manifestati dagli sloveni triestini e della slavia friulana, i quali han-no sempre contestato le proposte -soprattutto governative- dirette a far discendere da più o meno ufficiali rilevazioni della loro consistenza numérica l'attuazione delle misure di tutela previste in loro favore dal diritto interno e dal diritto internazionale.50

Stando cosí le cose, in riferimento alie c.d. minoranze non riconosciute appartenenti all'ordinamento italiano e nell'eventualitá di un prowedimento genérale di tutela ad esse diretto, ci si trova dinanzi a due esigenze contrastan-ti e di non facile assolvimento. Da un lato, i principi generali accolti nel no-stro ordinamento inducono a ritenere che tale provvedimento debba necessa-riamente prevedere la possibilitá di accertare Yanimus comunitario dei singoli gruppi linguistici che esso intende tutelare, in modo tale da coinvolgere i vari gruppi di cittadini interés sati nella iniziativa e nella precisazione dei possibili contenuti del provvedimento di tutela;51 eventuali «elenchi» di gruppi linguistici contenuti nella legge, peraltro frutto di intensa attivitá di studio, di ricerca e di dibattito, e quindi tutt'altro che «fantasiosi», non avrebberoPage 107 dunque più valore di definizione astratta delle minoranze tutelabili, ma assu-merebbero efficacia puramente indicativa e orientativa, D'altro lato, si pone invece l'esigenza di fare in modo che la portata innovativa di una simile legge non sia parzialmente svuotáta dalla subordinazione dell'applicazione delle mi-sure di tutela previste a complessi procedimenti preventivi di accertamento della «volontá» degli appartenenti ai vari gruppi minoritari di accederé alia tutela medesima.

Un punto di equilibrio tra tali due opposte esigenze -secondo quanto a suo tempo proposto da uno dei primi progetti di legge genérale sulle minoranze- potrebbe consistere nel ripartire i compiti di tutela, a seconda dei vari «oggetti», tra stato, regioni ed enti locali, individuando per ciascun tipo di provvedimento precisi livelli di responsabilitá política, e nel riconoscere poi varié possibilitá tecniche -mediante associazioni all'uopo costituite oppu-re, più semplicemente, mediante apposite deliberazioni degli enti locali- di attivare i meccanismi per l'approvazione -entro termini predeterminati- dei vari tipi di provvedimenti richiesti.

Occorre d'altra parte ricordare che il riferimento ad eventuali «associazioni» più o meno «rappresentative» degli appartenenti alie minoranze lin-guistiche non riconosciute costituisce un doveroso riconoscimento ad un certo numero di enti -generalmente sorti come «associazioni prívate»- che, a fronte delTinerzia e dei ritardi delle autoritá competenti, in primo luogo sta-tali, hanno tentato di ovviare a tale situazione svolgendo una preziosa opera di sensibilizzazione ai problemi della tutela minoritaria e di preparazione per l'avvento di più compiute e «definitive» forme di protezione delle minoranze.

L'esempio offerto dalla minoranza albanese della Calabria é senza dubbio ritnarchevole: salvo quanto si avrá modo di rilevare in seguito, e senza nulla togliere ai meriti di altre associazíoní, quali ad esempio l'AIADI (Associazio-ne Insegnanti Albanesi d'Italia), che d'altra parte presentano dal punto di vista che qui interessa un minor grado di originalitá,52 preme qui indicare, quale possibile e per molti aspetti preferibile modello organizzativo di questi interventi «spontanei» e di queste forme di autorganizzazione degli appartenenti alie minoranze, l'esperienza relativa alia Lega Italiana di Difesa della Minoranza Albanese, associazione apartitica che ha per suo principale obbietti-vo la «difesa» della minoranza albanese d'Italia, impegnandosi, a tal fine, inPage 108 tutta una serie di attivitá che tendono a surrogare ed anticipare i possibili interventi «pubblici» al liguafdo e -ció che più conta- a coinvolgere i po-teri locali in tale tipo di azione promozionale.

Sulla utüizzabilitá di questa esperienza quale modello organizzativo degli appartenenti a tutte le altre tninoranze linguistiche «non riconosciute» resi-denti in Italia si avrá modo di soffermare in seguito l'attenzione. Vale tutta-vía la pena di sottolineare come, avendo in questo primo approccio genérale ai più importanti nodi della tutela giuridica delle minoranze linguistiche ten-tato di tracciare un quadro realístico dei più importanti problemi politici, o meglio, dei riflessi giuridico-istituzionali dei principali problemi politici con-cernenti tale tutela, sarebbe davvero mistificante non ripetere ancora una vol-ta la necessaria prioritá di questi ultimi sugli aspetti più tecnici, dei quali, a questo punto e nonostante la scarsa informazione al riguardo, rimane ben poco da «scoprire»; attualmente, infatti, la tutela delle minoranze linguistiche, più o meno ufficíalmente «riconosciute», appare soprattutto un problema di volontá política, di individuazione e sensibilizzazione delle forze della societá e della política che possano farsi carico dei corrispondenti compiti: in questo senso, l'attivitá di informazione e di promozione che possono svolgere asso-ciazioni, il più possibile rappresentative delle realtá sociali, politiche e istitu-zionali delle minoranze, risulta particularmente prezioso o, addirittura, im-prescindibile, né é aífatto detto che, una volta ottenuto -e faticosamente- un qualche riconoscimento giuridico, essa risulterá superflua e «sovrabbon-dante».

Esaurito dunque questo primo ordine di considerazioni e chiariti -almeno in parte- alcuni dei più importanti nodi politico-istítuzionali connessi alia tutela delle minoranze linguistiche, si tratta finalmente di concretizzare il discorso rimasto sín'ora un po' astratto, dappríma esaminando più da vicino quali siano gli indirizzi giuridici al riguardo prevalenti nel nostro ordinamen-to, e poi per tentare di commisurare le risultanze di tale analisi con gli indirizzi accolti nei progetti e nelle proposte di tutela relative alia minoranza al-banese della Calabria e con le riflessioni suggerite dalTesame di tale problemática condotta secondo diverse prospettive scientifiche e metodologiche nei due saggi che precedono queste note.

5. Il principio di tutela disposto dall'art, 6 della Costituzione e i problemi giuridico-istituzionali connessi alta sua attuazione

Per quanto possa apparire paradossale -soprattutto se considerato in rap-porto alia generalizzata disinformazione al riguardo- si puó diré che, dopo molti anni di indifferenza e di disinteresse, a partiré dalla seconda meta degli anni '60 il principio di tutela delle minoranze linguistiche proclamato all'art. 6 della Costituzione é stato oggetto di una cospicua serie di studi e ricerche giuridiche, che, almeno da questo particolare punto di vista, hanno contri-Page 109 buito a chiarire tutti i dubbi che in precedenza erano stati sollevatí in ordine ai motivi della sua introduzione, al suo significato normativo e alie varíe pos-sibili modalitá della sua attuazione.53

Rinviando dunque agli studi appena richiamati in nota Pulteriore appro-fondimento di tali aspetti, ci si puo qui limitare -stanti le finalitá di questo scritto- a ricbiamare alcuni dei principali punti fermi cui la dottrina giuri-dica é pervenuta nelTintento di precisare il contenuto normativo del principio fundaméntale di tutela delle minoranze linguistíche.

Un primo dato da sottolineare consiste nella circostanza che se alcuni costi-tuenti vollero assegnare carattere alternativo al principio di cui alTart. 6 rispe tto alia previsione di speciali condizioni di autonomia alie regioni del nord Italia in cui risiedevano i più numerosi gruppi linguistici minoritari, il per-manere di tale articolo a prescindere dalla «costituzionalizzazione» di tali regimi speciali e la sua inclusione nell'ambito dei «principi fondamentali» dell'ordinamento costitu2Íonale possono essere oggi interpretati nel senso che lo stato italiano si impegna a tutelare le minoranze linguistiche indipenden-temente dall'esistenza di qualche suo particolare e specifico obbligo interna-zionale al riguardo: sicché non é solo per i gruppi linguistici cui eventualmen-te si riferiscono tali obblighi che il principio di tutela e destinato a valere.54

Un altro aspetto degno di attenzione é offerto dalla circostan2a che i costi-tuenti preferirono eliminare qualsiasi ulteriore qualificazione -oltre a «linguistiche»- delle minoranze oggetto di speciale protezione giuridica: sebbene ció sia probabilmente awénuto per motivi abbastanza occasionali, non c'é dubbio che, nel quadro di un'interpretazione sistemática dei principi costitu-zionali fondamentali del nostro ordinamento, l'eliminazione di qualificazioni ulteriori quali «etniche» o «nazionali» suoni oggi come un'indiretta ammis-sione della volontá di escludere -anche grazie a specifiche misure di tutela sotto il profilo linguistico-culturale- che i fattori etnici e nazionali possano essere considerad, in un ordinamento che si íspira a principi di liberta, egua-glianza e pluralismo ideológico e istituzionale, i principali fattori di contrap-posizione dei gruppi sociali organizzati, secondo quella lógica del nazionalismo esasperato che l'ordinamento repubblicano e le íorze che vi hanno dato vita espressamente condannarono.55

Quanto al significato normativo dell'art. 6, la più autorevole dottrina ha adeguatamente posto in luce la necessitá di interpretare sistemáticamente ilPage 110 principio di tutela delle minoranze, rapportandolo in particolare al principi affermati agli artt. 2 e 3 della Costituzione, e attribuendogli dunque valore «integrativo-specificativo» di questi ultimi:56 l'interpretazione sistemática dei principi stabiliti all'art. 3.1 -divieto di discriminazione per motivi, tra gli altri, di lingua-, all'art. 3.2 -eguaglianza c.d. «sostanziale»- e all'art. 6, superando talune ricostruzioni dottrinali tendenti a svuotarne la portata normativa,57 ha consentito di individuare, come giá si é detto, nel divieto di discriminazione per motivi di lingua di cui all'art. 3.1 Cost. il presupposto per la tutela negativa delle minoranze, corrispondente all'esigen2a degli apparte-nenti alie c.d. minoranze «loro malgrado» di vedere eliminare i trattamenti discriminatori nei loro confronti (come é spesso accaduto nei confronti di alcune minoranze «razziali», quali ad esempio, i neri statunitensi o gli ebrei in Europa ecc), e nel principio di tutela di cui all'art. 6 Cost. il presupposto per una tutela positiva, implicante l'adozione di tutta una serie di misure -consistenti in genere in situazioni giuridiche soggettive a carattere colletti-vo ed anche in forme di autonomía territoriale della minoranza e in altri ade-guamenti deH'ordinamento giuridico a tali esígenze- volte a consentiré alie minoranze «volontarie» (quali appunto in genere si presentano le minoranze linguistiche e religiose) di sviluppare liberamente la loro identitá cultúrale, ancorché «minoritaria».58

Questa interpretazione sistemática ha poi permesso di configurare -ben-ché tale impostazione solo di recente sia stata definitivamente accolta dall'or-dinamento, e tutt'altro che pacificamente, come si vedra- il principio di tutela delle minoranze linguistiche come «principio genérale dell'ordinamento costituzionale» e non come criterio di definizione «oggettivo» od anche «te-leologico» di una «materia» da ripartire tra lo stato e le regioni secondo par-ticolari criteri:59 da ció discende che dall'art. 6 non deriva alcuna indicazionePage 111 sulla titolaritá delle competenze legíslative e amministrative volte a realizzare il principio di cui si parla, ma piuttosto che nelTesercizio delle rispettive competenze sia lo stato che le regioni, speciali e ordinarie, devono concorrere alia sua realizzazione, in relazione alie esigenze di tutela proprie di ciascun gruppo lingüístico minoritario residente nel nostro paese.

Ora, non c'é dubbio che tali pur schematiche considerazioni consentano di sottolineare la modernitá delle prospettive di tutela delle minoranze offerte -grazie anche alie testé riferite interpretazioni- dal principio costituziona-lizzato all'art. 6; la perdurante attualitá del contenuto normativo dell'articolo non puó tuttavia esimere dal rilevare anche taluni suoi limiti, limiti che risul-taño evidenziati non solo dalle più concrete indicazioni ricavabili dalle dispo-sizioni aventi análoga ünalitá accolte in recenti testi costituzionali,60 ma anche e soprattutto dalle notevoli difficoltá che si sonó frapposte alia piena attuazio-ne del principio di tutela delle minoranze nei quasi quarant'anni di vita del nostro testo costituzionale.

Al riguardo, si puo innanzitutto rilevare che il primo e più evidente limite di cui il principio di tutela delle minoranze linguistiche soffre é quello che lo accomuna a tutti i principi ricavabili dalle disposizioni costituzionali aventi carattere «programmatico»; vale a diré la circostanza che, pur apparendo or-mai da tempo supérate le impostazioni volte a negare qualsiasi eficacia giuri-dica a tale tipo di norme,61 la effettiva concretizzazione del loro contenuto precettivo rimane in larga misura affidata -al di la di qualche loro più o meno occasionale applicazione giurisprudenziale quali parametri di costitu-zionalitá di una norma di legge in sede di giudizio incidentale di costkuziona-Iitá o quali presupposti per l'interpretazione sistematico-evolutiva di qualche disposizione normativa- alia legislazione destinata a darvi attuazione.62 Cosí,Page 112 benché il contenuto del principio di cui all'art. 6 Cost. presentí una rilevanza politica soltanto indiretta o comunque assai mediata -a differenza di altre disposizioni «programmatiche» con le quali veniva in sostanza ad identificarsi secondo una celebre affermazione di Calamandrei,63 la rivoluzione promessa, i cui presupposti giuridici vennero in qualche modo costituzionalizzati quasi ad indennízzare le forze di sinistra della rivoluzione máncala-, il principio di tutela delle minoranze linguistiche subí in definitiva la stessa sorte di molte altre disposizioni «programmatiche» della costituzíone, per quanto riguarda sia le minoranze protette mediante i regimi speciali di autonomía delle re-gioni di confine del settentrione che tutte le altre minoranze linguistiche «non riconosciute»: per un verso, nelTambito di un indirizzo politico e legislativo che é stato efficacemente definito «ostruzionismo della maggioranza» e di «congelamento» delle più significative riforme istituzionali previste dal testo costituzionale,64 queste disposizioni finirono per rimanere a lungo del tutto inattuate o, peggio ancora, attuate in modo tale da svuotarle quasi completamente di significato;65 per altro verso, anche a causa di questo stravolgimento o svuotamento del testo costituzionale esse si «colorarono» di una forte ma-trice progressista, contribuendo a determinare una notevole identificazione -per molti aspetti insólita, soprattutto se considérala rispetto ad altre espe-rienze costituzionali europee- tra attuazione della legalitá costituzionale e realizzazione dei principi-valori proclamad dal testo costituzionale,66 Con la ulteriore conseguenza, tuttavia, che, una volta ricostituitasi una maggioranza favorevole a daré piena attuazione a qualcuno di questi principi «programma-tici»,67 le corrispondenti disposizioni costituzionali si sonó riveíate non sem-pre del tutto adeguate alie nuove esigenze, tanto da giustificare notevoli per-plessitá sulla attualita di talune formulazioni utilizzate dai costituenti:68 comePage 113 si é visto, tale discorso, anche se solo in relazione a disposizioni di portata análoga accolte in testi costituzionali moho recenti, coinvolge lo stesso principio di tutela delle minoranze Iinguistiche.

Per quanto concerne il principio proclamato all'art. 6 Cost., l'insieme dei fattori generali appena esaminati é stato poi ulteriormente aggravato dalla scarsa sensibilitá, sia a livello di dasse política che nell'ambito degli «opera-tori giuridici» e della opinione pubblica, nei confronti della problemática della tutela delle minoranze, e dalla stessa estrema genericitá della formulazione del principio. In particolare, pur risultando difficile stabilire in che proporzione tali due fattori abbiano pesato sulla (parziale) inattuazione dell'art. 6 Cost,, si puó notare che, da un lato, soltanto nei più recente passato -a partiré dai primi anni 70, si é detto- le interpretazioni del suo contenuto precettivo che si sonó sommariamente riferite all'inizio di questo parágrafo hanno potuto trovare conferma, e non senza gravi contrasti, nell'ordinamento positivo; men-tre, dall'altro, se per molti altri principi costituzionali concernenti i dirítti di liberta e i diritti socíali la corte costituzionale e la magistratura ordinaria hanno potuto svolgere una importante funzione «anticipatoria» o di «supplen-za» rispetto ai sucessivi interventi legislativi di riforma volti a daré loro più adeguata attuazione,69 per il principio costituzionale di tutela delle minoranze cid non si é affatto verificato, o solo recentissimamente tale fenómeno ha avuto qualche occasionale manifestazione.

Si puó in effetti notare che il principio di tutela delle minoranze Iinguistiche é stato spesso invocato dal T.A.A. (e poi dalla Provincia di Bolzano) e dalla V.d'A. a sostegno delle loro impugnazioni, peraltro non frequentissime,Page 114 di leggi statali -o di atti amministrativi statali- ritenute lesive della rispet-tiva sfera di autonomia legislativa -o amministrativa-, ma, anche per effet-to della struttura típica dei processi costiruzionali volti alia soluzione dei conflitti normativi e dei conflitti di attribuzione tra stato e regioni, tale richia-mo é stato il più delle volte effettuato al solo scopo di rafforzare e giustifi-care la richiesta di un trattamento differenziato da parte della legislazione -o degli atti amministrativi- dello stato concernente tutt'altra «materia» che la tutela delle minotanze linguistiche; sebbene, indubbiamente, il regime di speciale autonomia riconosciuto a tali en ti territoriali sia stato concesso proprio in funzione di tale finalitá e la sua «difesa» nei confronti dello stato contribuisca dunque anch'essa a «tutelare» le rispettive minoranze. Solo raramente, dunque, a conferma della nota e ormai unánimemente accettata tesi che i processi costituzionali strutturati come conflitti normativi difícilmente consentono il sorgere di questioni direttamente rilevanti per la protezione dei diritti di liberta costituzionalmente garantiti,70 tali impugnazioni si sonó tra-dotte in concrete applicazioni del principio di cui all'art. 6 Cost.71 Mentte per lungo tempo del tutto eccezionale é stata l'ipotesi che l'art. 6 venisse invo-cato quale principale norma di raffronto ai fini della sollevazione di un giudi-zio di costituzionalitá in via inciden tale di una norma di legge st átale o re-gionale, e nei pochi casi in cui ció é awenuto i giudici di mérito hanno dimostrato una ben scarsa sensibilitá per il problema, particularmente grave ed evidente soprattutto per gli articoli dei codici di procedura civile e pénale (art. 122 c.p.c. e 137 c.p.p.) che stabiliscono Tuso esclusivo della lingua italiana nelle atti vita processuali.72Page 115

Solo di recente i giudici ordinari sonó apparsi più propensi a sottoporre al vaglio della Corte costituzionale talune disposizioni norrnative per contrasto con I'art. 6 Cost. Tale sorte é toccata finalmente anche all'art. 137 del Códice di procedura pénale per iniziativa del Tribunale di Trieste,73 e con la sentenza n. 28 del 1982 la Corte ha potuto decidere la prima questione In-cidentale concernente la portata dell'art. 6 Cost. in materia di «diritti lin-guistici»: la sentenza -sulla quale si avrá in seguito occasione di ritornare più diffusamente- non é certo tra le più felici della Corte ed ha ü grave «limite» di essere pursempre una sentenza interpretativa di rigetto, con tutti gli inconvenienti propri di tale tipo di pronunce;74 ma in un contesto genérale tutt'altro che incoraggiante appare assai significativa la circostanza che Pauspicata (dalla corte) interpretazione evolutiva dell'art. 137 c.p.p. si fondi sul riconoscimento di una «operativitá mínima» dell'art. 6 Cost. che consentirebbe di ritenere operante, almeno per gli slovení triestini (in quanto «minoranza riconosciuta» da varié disposkioni di leggi statali e regíonali) il diritto all'uso della Iingua materna nei rapporti con ramministrazione nono-stante la mancanza di specifiche disposizioni di legge (volte, nella specie, ad attuare I'art 5 dello Statuto speciale allegato al Memorándum di intesa e gli impegni al riguardo assunti dallo stato italiano con la ratifica -legge 14 marzo 1977, n. 73- del trattato italo-jugoslavo di Osimo del 10 novembre 1975) cui sarebbe altrimenti subordinata l'effettivitá della tutela prevista daU'art. 6 Cost.Page 116

Successivamente, dopo che si erano conclusi in modo piuttosto deludente alcuni conflitti di competenza sollevati dalla Provincia di Bolzano nei con-fronti di leggi statali da essa ritenute lesive della propría sfera di autonomía per violazione anche dell'art. 6 Cost.,75 i giudici ordinari e amministrativi hanno sollevato dinanzi alia Corte un certo numero di questioni di costituzio-nalitá di disposizioni di1 attuazione dello Statuto del T.A.A., nonché di leggi regionali e statali;76 benché alcune di esse vertano su problemi giuridico-isti-tuzionali di indubbia rilevanza, come quello relativo alie modalitá di rilascio della dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico da parte dei c.d. «mistilingui», riferendosi ad aspetti tutt'altro che secondari degli istituti giu-ridici volti ad attuare l'art. 6 Cost., l'impressione é che, come ha giustamente riievato A. Pizzorusso,77 questa «ondata» di questioni di costituzionalitá sia dovuta più al progressivo deterioramento dei rapporti tra i gruppi etnici re-sidenti ín Sudtirolo e alie conseguenti polemiche sul concreto funzionamento di taluni istituti di tutela, che ad un preordinato disegno di verifica delle modalitá di attuazione del principio di tutela delle minoranze di cui all'art. 6 in relazione al gruppo di lingua tedesca sudtirolese.

Sta di fatto che nella prima questione decisa fra quelle appena indicate, la corte (con la sentenza n. 312 del 1983) ha offerto un'ineccepibile applica-zione del principio di tutela delle minoranze respingendo le censure di incosti-Page 117 tuzionalitá sollevate dal Consiglio di Stato nei confronta della normativa provinciale che estende l'obblígo delTaccertamento del bilingüismo anche per i fannacisti;78 su questa sentenza, la cui motivazione presenta notevoli motivi di interesse anche sotto altri profili, si avtá comunque modo di ritornare tra breve.

Di scarso rilievo appaiono invece le considerazioni svolte dalla Corte nella decisione n. 151 del 1985, con la quale essa ha disposto la rimessione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione della rilevanza della questione da questi sollevata -si trattava del Pretore di Bolzano- in ordine alia le-gittimitá della disciplina di cui all'articolo único del d.p.r. 24 marzo 1981, n. 126, contenente modifiche e integrazioni all'art. 18 del d.p.r. n. 752 del 1976, relativo all'istituto della dichiarazione di appartenenza al gruppo lingüístico in sede di censimento, nella parte in cui non prevede la possibilitá che i genitori appartenenti a due gruppi linguistici diversi dichiarino l'appar-tenenza del figíio minore al gruppo «mistilingue». Nelle more del giudizio, infatti, una nuova norma d'attuazione dello statuto integrativa delle due appe-na richiamate, emanata con il d.p.r. 3 aprile 1985, n. 108, pur non eliminando taluni dubbi di ordine più genérale sulla legittimitá dell'istituto, ha disposto che i coniugi appartenenti a due diversi gruppi linguistici non concordanti circa il gruppo di appartenenza del figlio minore possano astenersi dal ren-dere la dichiarazione relativa a quest'ultimo, il quale prowederá personalmente alia dichiarazione non appena raggiunta la maggiore etá.

É risultata, tutto sommato, abbastanza deludente anche la successiva sentenza n. 160 del 1985, con la quale la corte ha respinto varíe eccezioni di incostituzionalitá sollevate dal Consiglio di Stato in ordine ad alcune disposi-zioni dello stesso d.p.r. n. 752 del 1976 -norme di attuazione dello statuto del T.A.A. in materia di proporciónale étnica negli uffici statali in provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego-; in par-ticolare, le censure di costituzionalitá vertevano sia sul fatto che tale d.p.r. é stato emanato ben al di la del teimine biennale disposto dall'art. 108 dello statuto per l'emanazione delle corrispondenti disposizioni di attuazione, sia su alcune ingiustificate disparitá di trattamento tra pubblici impiegati di lingua italiana e di lingua tedesca rawisate dal Consiglio di stato nella normativa che regola l'avanzamento di carriera dei dipendenti di lingua italiana, con speciale riguardo al personale collocato nei ruoli c.d. ad esaurimento.

In realta, l'ordinanza di rinvio del Consiglio di Stato, tutta incentrata sulla affermazione della perentorietá del termine biennale di cui all'art. 108 statuto e sulla configurazione quali poteri legislativi delegati dei poten go-vernativi di emanazione delle disposizioni di attuazione dello stesso statuto, piuttosto che sul contenuto materiale della norma in questione e sulla ten-Page 118 denza ad estendere Pambito di applicazione di un istituto quale la dichiara-zione di appartenenza al gruppo lingüístico ai finí dell'accesso ai servizi e agli impieghi pubblici, tendenza ravvisabile nelle più recenti norme di attua-zbne (peraltro non direttamente rilevanti nel caso sottoposto al giudizio del Consiglio di Stato), non ha certo facilitato l'intervento della corte. É pur vero, tuttavia, che l'atteggiamento di cauto self-restraint assunto da quest'ultima nel respingere le questioni sollevate non sembra in questo caso -a differenza di altri in cui, negli ultimi anni, ha manifestato análogo orien-tamento- del tütto giustificato: e ció soprattutto se si considera che, da un lato, non si tratta di «materia» nella quale possono aversi interventi legisla-tivi di «aggiustamento» da parte del parlamento, poiché, la stessa corte lo ha ricordato, I'attivitá svolta del governo in sede di elaborazione ed emana-zione delle disposizioni di attuazione degli statuti regionali speciali é soggetta soltanto a contrallo político da parte del parlamento stesso, ma, come dimo-strano gli esiti dei più recenti dibattiti parlamentan su tali problemi, risulta all'atto pratico assai difficile far valere la corrispondente responsabÚitá política del governo; d'altro lato, é ormai a tutti noto come gli indirizzi di tutela giuridica del gruppo di Iingua tedesca accoltí nelle più recenti norme di attuazione e nella stessa legislazione provincíale siano oggetto di dure polemi-che e di notevole tensione tra i gruppi linguistici interessati, e più volte la dottrina ha avuto modo di sottoporre all'attenzione genérale il carattere ano-malo che talvolta assume Putilizzazione del particolare procedimento di ema-nazione' delle norme di attuazione di alcuni statuti speciali, con particolare riguardo alie ipotesi in cui -come accade frequentemente per le disposizioni di attuazione dello statuto del T.A.A., ma anche di altre regioni- tali disposizioni hanno un contenuto materiale ben più «ampio» di quello tradizional-mente proprio di questa particolare categoría di attt normativi (i quali dovreb-bero soprattutto concernere il trasferimento di funzioni, uffici e personale dello stato alia regione interessata), implicando in qualche caso nuove ed originali discipline di settori delTordinamento relativi alie modalitá di esercizio di di-ritti fondamentali costituzionalmente garantiti, anche coperti da riserva di legge, ovvero che presentano carattere derogatorio ríspetto alia normativa contenuta in provvedimenti legislativi statali a carattere orgánico, come i co-dici o altre leggi generali.79Page 119

Se dunque limitatissimi appaiono sino a questo momento gli apporti «giu-risprudenziali» alia carente e parziale attuazione legislativa dell'art. 6 Cost., ben si comprende come, perdurando un indirizzo che, da un lato, tendeva a realizzare il disposto del principio di tutela delle minoranze linguistiche mediante singoli provvedimenti legislativi (statali) differenziati e, daU'altro (fat-to ancora più grave), ha caparbiamente ostacolato l'assunzione di tale compito da parte delle regioni ordinarie e speciali, e concretizzandosi tali misure «diffe-renziate» soltanto nei regimi speciali del T.A.A. e della Valí d'Aosta e nelle poche misure di tutela effettivamente realizzate per il gruppo sloveno, tutte le minoranze linguistiche «non rkonosciute» residenti nel nostro ordinamento risultino di fatto completamente abbandonate a se stesse, senza che il principio stabilito all'art. 6 Cost. abbia costituito per tali gruppi null'altro che un incentivo ad insistere nelle loro rivendicazioni.

A conferma delle gravi carenze in ordine alPattuazione dell'art. 6 Cost. é del resto sufflciente daré un rápido sguardo alie poche disposizioni di caratte-re genérale -e dunque applicabili agli appartenenti a qualsiasi gruppo lin-guistico minoritario- in grado di offrire una più o meno diretta forma di tutela giuridica per tutte le minoranze linguistiche: l'elenco é assai scarno e riguarda aspetti del tutto secondari -ma non per questo trascurabili come accade, ad esempio, per la legge 31 ottobre 1966, n. 1238, che ha consentito l'imposizione di nomi stranieri ai bambini di cittadinanza italiana e, per quelli appartenenti a minoranze linguistiche «comunque riconosciute», che i loro nomi possano essere espressi anche mediante i segni diacritici propri dell'al-fabeto della Iingua di appartenenza-; ció che appare grave, comunque, é il fatto che si tratta di misure solo apparentemente «generali», essendo per lo più congegnate in modo da risultare effettivamente operanti per i gruppi giá tutelati dalle «apposite norme».80

Proprio dalla consapevolezza di queste lacune e della relativa problema-tica giuridíco-istituzionale é nata dunque l'idea di una legge genérale sulle minoranze linguistiche concepita come «statuto genérale» per tutti i gruppi Iinguistici residenti nel nostro paese: e si puó fácilmente comprendere, sulla base del sintético quadro sin qui tracciato, come il compito di tutela affidato a tale legge si presentí abbastanza complesso, dovendo tenere contó, da unPage 120 lato, di indirizzi e soluzioni che pur fra molti contrastí e incomprensión! ri-sultano da tempo operanti ma solo per alcuni gruppi, e, dall'altro, di un pres-soché totale vuoto legislativo e amministrativo, nel quale, tuttavia, si é dí recente inserito un evidente conflítto tra stato e regioni in ordine alia com-petenza ad adottare le cotrispondenti misure. Prima di esaminare più da vi-cino i termini concreti di quest'ultimo problema sembra tuttavia utile soffer-marsi ad illustrare, seppure brevemente, i principali orientamenti seguiti dalla legislazione di attuazione del principio di cui all'art. 6 Cost. in riferimento alie minoranze linguistiche giá «riconosciute».

6. Uattuazione dell'art 6 della Costituzione medíante provvedimenti «differenziali»: cenni sui regimi speciali realizzati per tutelare le minoranze linguisticbe di confine nell'ltalia settentrionale

L'adozione di forme di tutela differenziate per le singóle situazioni mino-ritarie appare il risultato di diversi fattori concomitanti: innanzítutto, le vi-cende storko-politiche che accompagnarono la concessione di particolari con-dizioni di autonomía alie regioni a statuto speciale del settentrione;81 in secondo luogo l'esistenza di alcuni obblighi di carattere internazionale assunti, più o meno «voluntariamente», dal nostro paese;82 infine, ma non ultima, un'interpretazione dell'art. 6 Cost. secondo ía quale le «apposite norme» di tutela dovevano necessariamente consistere in provvedimenti specifici, elabo-rati in funzione delle particolaritá proprie di ciascuna situazione minoritaria; provvedimenti che, stante il rinvio sitie die della riforma regionale, o meglio, del processo di istituzione delle c.d. regioni a statuto ordinario, fino agli anni '70 venivano necessariamente identificati in leggi ordinarie statali.83 E evidente che tale complesso di circostanze ha causato non pochi ostacoli alie pro-spettive di tutela delle minoranze «non riconosciute» o comunque rimastePage 121 prive di tutela al termine della fase costituente: i progetti di interven ti le-gislativi in loro favore, che, nonostante il clima político sfavorevole, furono avanzati nel corso degli anni '50 e '60, rimasero lettera morta, e le legittime aspirazioni di questi gruppi ad una qualche forma di «riconoscimento giuri-dico» dovettero in genere scontrarsi con l'indifferenza -quando non con l'ostilitá dichiarata? dei pubblici poteri, di molte forze politiche e della stessa opinione pubblica.

Ció nondimeno é forse utile soffermare brevemente l'attenzione sugli in-dirizzi seguiti nella legislazione di tutela di quei gruppi linguistici che, fin dal-l'immediato dopoguerra, ottennero determinati «riconoscimenti giuridici» della loro condizione di minoranza, se non al tro al fine di offrire un pur sintético quadro di quello che sino a questo momento ha costituito il più importante e cospicuo «corpo» di prowedimenti volti ad attuare l'art. 6 Cost., e, alio stesso tempOj più concreti punti di riferimento per valutare il significato e le implicazione del livelli più «ampio» di tutela giuridica dei gruppi linguistici minoritari, esplicitando uno dei due termini di raffronto del principio del «dop-pio livello» di tutela.

Il primo e più esteso corpo di disposizioni é costituito dal complesso delle misure adottate in favore della minoranza di lingua tedesca residente nella Provincia di Bolzano, le quali tuttavia, per taluni aspetti almeno, assicurano análoga protezione anche alia minoranza di lingua ladina residente in tale provincia.84 Gome si é giá sottolineato, gli indirizzi accolti da questo insieme di norme assai ampio e articolato -dallo statuto del T.A.A., approvato con legge costituzionale, alie sue norme di attuazione (emanate mediante decreto del presidente della repubblica), al complesso delle leggi della regione T.A.A. e, soprattutto, della provincia di Bolzano, per arrivare ai regolamenti provin-dali -sonó stati notevolmente condÍ2Íonati dapprima- per quanto concerne lo statuto del T.A.A. di cui alia legge costituzionale 26/2/1948, n. 5 e le corrispondenti norme di attuazione85 -dai contenuti dell'Accordo De Gas-peri-Gruber, e quindi- per quanto riguarda l'attuale testo dello statuto, cosí come modificato nel '71-72 e «riordinato» dal t.u. 31 agosto 1972, n. 670- dalle convulse e tragiche vicende che a partiré dal famoso Los von Trient del '57 condussero, pur a seguito di lunghe discussioni, all'accoglimento da parte del governo italiano del c.d. pacchetío di rivendicazioni volte ad attuare piena-Page 122 mente ed effettivamente le mísure di tutela previste nel '46 dall'Accordo De Gasperi-Gruber.86

In sintesi si puo diré che, a seguito della riforma del 71-72, la tutela consiste essenzialmente nel riconoscimento di speciali condizioni di autonomía su base territoríale -il territorio é quello della provincia di Bolzano- ad una comunitá nella quale la minoranza di lingua tedesca costituisce la mag-gioranza dellá popolazione (279.576 persone pari al 66,40 % dei residenti secondo i dati del!'ultimo censimento). In tale ámbito territoriale la prote-zione della minoranza é realizzata sia mediante la concessione di un'ampia autonomía politico-amministrativa alia provincia di Bolzano -autonomía che, per intensitá, corrisponde a quella riconosciuta alie c.d. regioni a statuto spe-ciale-, il cui ordinamento (cosí come quello della regione T.A.A., per i relativamente scarsi compiti che le sonó rimasti affidati) é strutturato appunto in funzione di tali esigenze di tutela, sia mediante il riconoscimento di speci-fiche situazioni giuridiche soggettive in favore degli appartenenti alia minoranza: si tratta prevalentemente di misure a carattere «positivo» e, in parte, anche «riparativo», aventi cioé finalitá anche perequative rispetto ai tratta-menti discriminatori ingiustamente subiti in passato.

Secondo gli orientamenti prevalenti nell'ambito della stessa minoranza, giá accolti neíl'Accordo del '46 e quindi riaffermati nello stesso pacchetto, il complesso di queste misure si ispira al principio del separatismo lingüístico: con tali termini si definisce genéricamente una particolare forma di tutela delle minoranze etnico-linguistiche che risiedono in aree «mistilingui», forma che tende a conservare i caratteri distintivi del gruppo minoritario preservan-dolo da eventuali «contaminazioni» prima ancora che dalla capacita «assimila-trice» del gruppo o dei gruppi dominanti nell'ordinamento di appartenenza, fino ad implicare una vera e propria separazione' dei gruppi residenti nella stessa área per tutti gli aspetti della vita associativa. Questa forma di tutela viene in genere contrapposta alie forme che si ispirano al principio del bilingüismo totale, il quale tende invece a favorire la piena e completa integra-zione dei gruppi eventualmente residenti nell'ambito dell'area di diffusione della minoranza, tanto da risultare preferibile nei casi in cui i contrasti fra la minoranza e i gruppi coesistenti siano nulli o comunque scarsamente in-fluenti.

Questa seconda forma di tutela é quella che, nel nostro ordinamento, é stata accolta per la minoranza di lingua francese della Valle d'Aosta in virtüPage 123 di quanto disposto dallo statuto (speciale) di tale regione di cui alia Iegge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4; anche per il gruppo linguistico fran-cese, in sostanza, il riconoscimento di speciali situazioni giurídiche soggettive a carattere collettivo in favore degli appartenenti alia minoranza si accom-pagna dunque al riconoscimento di un'ampia autonomia politico-amministra-tiva su base territoriale alia minoranza stessa. Quali siano le conseguenze e le implicazioni delle due diverse e per molti aspetti opposte forme di protezione si puó comprendere as sai bene mediante un sintético esame comparativo degli istituti realizzati nell'ambito dei due ordinamenti speciali consideran, con particolare riferimento al corpo di disposizioni concernenti quelli che si sonó in precedenza definid i «diritti linguistici».

Per quanto concerne Vórdinamento scolastico, ad esempio, l'adozione del principio del bilingüismo implica che nell'ambito del medesimo sistema scolastico sia dedicata parí quántitá di tempo all'insegnamento della lingua della minoranza e della lingua italiana (cfr. art. 39 St. V. d'Aosta), mentre l'altro principio comporta Tistituzíone di due distinti sistemi scolastici (dagli «asili» sino alie secondarie superiori), in ciascuno dei quali una soltanto delle due lingue «ufficiali» (nel caso specifico, tedesca e italiana) svolge la funzione di lingua «veicolare»,87 e l'altro idioma viene insegnato soltanto quale «seronda lingua». Per quanto riguarda invece l'uso delle lingue nei rapporti con i pub-Page 124 blici uffici, il principio accolto nelTordinamento della V. d'Aosta comporta che ciascun cittadino possa rivolgersi alia p.a. sia in lingua italiana che in lingua francese, ma anche il pubblico impiegato é libero di usare, nella rispo-sta, l'una o I'altra lingua; viceversa, il sistema vigente in Sudtirolo riconosce ai cittadini di lingua tedesca il diritto di rivolgersi in tale lingua ai pubblici funzionari, ma riconosce altresl il diritto di ciascuno di rice veré risposta nella propria lingua materna (cfr. art. 100 St. T.A.A.): il principio del separatismo sí rísolve dunque nella necessitá di assicurare per tutti i pubblici funzionari una condizione di bilingüismo atuvo, e non solo passivo come nel caso della V. d'Aosta.

Ma l'accoglimento dell'una o dell'altra forma di protezione finisce per ri-percuotersi -benché il collegamento non sia poi cosí meccanico come tal-volta si vuol far credere- su molteplici aspetti della protezione giuridica delle varié minoranze. Un esempio assai efficace é offerto dalla diversa appli-cazione che nei due ordinamenti considerati riceve il principio del «diritto di accesso su basi di paritá alie cariche e agli uffici pubblici» degÜ appartenen-ti alia minoranza, con particolare riferimento alie amministrazioni statali de-céntrate:88 in Valle d'Aosta, infatti, vige il principio per cui le amministrazioni statali della Valle devono «possibilmente» assumere in servizío funzionari originan della regione o che conoscano la lingua francese.89 Viceversa, in provincia di Bolzano, la stessa finalitá di assicurare alie minoranze il controllo dei pubblici uffici dell'area ove essa risiede viene realizzata mediante l'istituto della c.d. proporzionale étnica: nella sua forma più rígida, vale a diré per quanto riguarda i soli uffici statali situati nella provincia (per gli altri uffici pubblici, regionali e provinciali, il principio é applicato in forma più elástica), tale istituto comporta che, accertata preventivamente la consistenza del grup-pi linguistici -il che awiene decennalmente mediante apposite dichiarazioni rilasciate dai residenti in sede di censimento della popolazione-, i ruoli degli uffici interessati vengono proporzionalmente rípartiti tra i gruppi (italiano, tedesco e ladino), ed a ciascuno dei ruoli cosí determinad possono accederé soltanto coloro che, al censimento, si sonó dichiarati appartenenti a quel certo gruppo; si tratta, come é facile intuiré, di un meccanismo dalla applicazione abbastanza complessa, la quale, sotto molteplici aspetti, costi-Page 125 tuisce uno dei maggiori motivi di tensione tra i gruppi linguistici residenti in provincia di Bolzano, e, più o meno direttamente, tra i rappresentanti della minoranza e il governo.91

Anche talune misure di tutela previste in favore degli sloveni -ma solo per quelli cui risulta applicabile la protezione di cui alio Statuto speciale allegato al Memorándum di Londra del '54, vale a diré i residenti nell'ex Zona A del Territorio libero di Trieste, corrispondente oggi alia omonima provincia- risultano ispirate al principio del separatismo lingüístico: ed in base a tale forma di protezione é stato effettivamente istituito nelle province di Trieste e Gorizia un completo sistema scolastico nel quale l'insegnamento é impartito in lingua slovena. Tuttavia, vuoi perché non é stato ancora attuato l'impegno assunto dall'Italia col trattato italo-jugoslavo di Osimo del 10 no-vembre 1975, ratificato con legge 14 marzo 1977, n. 73, a prowedere mediante apposite norme interne alia protezione «globale» della minoranza, vuoi perché non é mai stato adeguatamente sfruttato a livello di legislazione regio-nale il principio di tutela disposto all'art. 3 dello St. speciale del F.V.G. (cfr. legge cost. 31/1/1963, n. 1), in virtü del quale «nella regione é rico-nosciuta paritá di diritti e di trattamento a tutti i cittadini, qualunque sia il gruppo lingüístico al quale appartengono, con la- salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali», ü gruppo sloveno risulta oggi godere di una tutela assai precaria, che neppure la giá ricordata recente sentenza interpretativa della Corte Costituzionale é riuscita a razionalizzare;92 tale tutela, oltretutto, si presenta assai differenziata e talvolta assai carente a seconda che si guardi agli sloveni residenti in provincia di Trieste, a quelli della provincia di Gorizia e, infine, a quelli residenti in provincia di Udine.93Page 126

7. La «riscoperta» delle minoranze linguistiche «non riconosciute» e le prospettive di ulteriore attuazione dell'art 6 della Costituzione. Minoranze e regioni: un rapporto difficile

Peraltro, a mettere in crisi l'indirizzo volto ad attuare il principio di tutela delle minoranze linguistiche di cui all'att. 6 Cost. mediante l'adozione di prowedimenti legislativi statali differenziati per ciascuna situazíone minoritaria non sonó state tanto la consapevolezza della insufficienza delle poche misure generali adottate ai fini della tutela delle minoranze linguistiche «non riconosciute» e la diíficoltá di effettivo funzionamento dei singoli regimi spe-ciali realizzati giá a partiré dall'immediato dopoguerra, quanto alcuni nuovi fattori, imprevisti e imprevedibili da parte dei costituenti, che hanno profon-damente modificato i presupposti sociali e politico-istituzionali del predetto indirizzo.

Se a taluni motivi di ordine genérale si é giá accennato nella prima parte di questo scritto in riferimento alia «dimensione europea» della «riscoperta» dei fenomeni minoritari, prima di affron tare gli aspetti giuridico-istituzionali della tutela delle minoranze linguistiche «non riconosciute» occorre soffer-mare brevemente l'attenzione su alcuni caratteri specifici che tale processo di «riscoperta» ha assunto nel nostro ordinamento.

Un primo fattore specifico di cui tenere contó per comprendere i presupposti e le implicazioni del mutamento di indirizzo o quantomeno della mag-gior sensibilitá nei confronti delle rivendicazioni delle minoranze linguistiche -per lungo tempo piuttosto deboli e raramente ascoltate- va senz'altro ricercato nel processo di rinnovamento e di trasformazione in senso democrático che ha investito l'intera societá italiana a partiré dalla fine degli anni '60. Non é il caso, in questa sede, di soffermarsi a tracciare un bÜancio degli effetti e delle contraddizioni innescate sul piano cultúrale da tale processo;94 certo e, comunque, che la progressiva affermazione di una concezione non elitaria ed idealistica della cultura ne ha messo in luce la natura di fonda-mentale strumento di progresso civile, individúale e collettivo, ed ha con-sentito la realizzazione di una política volta, assai più che in passato, ad esal-tarne i contenuti e i valori sociali. Questo processo non puó ancora dirsi concluso; tuttavia, saldandosi alie nuove prospettive di intervento dei pubbli-Page 127 ci poteri -lo stato, ma soprattutto le regioni e gli enti locali- in tale ámbito, esso ha non poco contribuito alia riscoperta e alia rivalutazione delle culture popolari e locali, quali si presentano le culture delle minoranze liti-guistiche «non riconosciute».

Ma se la rivalutazione delle lingue e delle culture minoritarie si inserisce in questo più vasto processo di rinnovamento delTintera vita cultúrale del paese- a sua volta riflesso dei complessi mutamenti strutturali e politici vis-suti dalla societá italiana nell'ultimo ventennio--, é vero altresi. che un fon-damentale apporto alia conoscenza delle realtá linguistiche minoritarie (e dia-lettali) é stato fornito dal grande sviluppo che contemporáneamente hanno avuto in tale direzione gli. studi di lingüistica, sociolinguistica e antropología.95 Non spetta certo ad un giurista svolgere un'analisi onnicomprensiva e artico-Iata degli orientamenti emersi in tali studi: é tuttavia necessario ricordare, in questa sede, alcuni dei risultati cui essi hanno consentito di pervenire. Innan-zitutto, essi hanno posto in luce la necessitá di valorizzare e tutelare adeguata-mente la pluralitá di tradizioni culturali e idiomatiche esistenti nella nostra penisola al fine di garantiré l'eguaglianza lingüistica sostanziale -e non solo fórmale, come si ha ove ci si limiti alia mera negazione di ogni realtá Iin-guistico-culturale non riconducibile ai canoni dell'italiano standard- di tutti i cittadini. D'altro lato, questo nuovo approccio ha contribuito ad individuare nelle forme linguistiche diverse dell'italiano standard e nelle conseguenti situa-zioni di bilingüismo e di diglossia non più un fattore di arretratezza o addi-rittura una minaccia per l'(ideale) unitá «lingüistica» dello stato, ma, ove adeguatamente valorizzate, un fattore di arricchimento cultúrale e sociale po-tenzialmente fruibile per tutti i cittadini. Sulla base di tali acquisizioni si é sviluppata un'intensa attivitá di studio, di ricerca e soprattutto di sperimen-tazione pratica, che ha contribuito utilmente ad allargare il dibattito su tali tematiche aprendolo ai contributi, in qualche caso risultati decisivi, degli stessi «operatori culturali», in primo luogo gli insegnanti (maestri elementan, pro-fessori di scuola, docenti universitari), che si sonó sobbarcati spontaneamente l'onere di proficue esperienze didattiche e organizzative, le quali hanno a loro volta non poco contribuito a chiarire i termini concreti del problema. In questo senso, assai significative sonó state alcune esperienze di «educazione plurilinguistica» e di «bilingüismo precoce» condotte in vía sperimen-tale a Iivello di scuola dell'obbligo: muovendo dal presupposto per cui il linguaggio costituisce un elemento indispensabile per la partecipazione coscien-te alie più diverse realtá sociali, queste esperienze si sonó dirette alia speri-mentazione di una educazione lingüistica «integrata» italiano/dialetto/lingua straniera, ottenendo risultati assai interessanti. In sostanza, queste esperienze didattiche intendono fornire ai discenti la piena padronanza dei codici lin-guistico-culturali che corrispondono ai tre livelli fondamentali in cui si esprime e si articola l'odierna realtá sociale: familiareJocale (= dialetto), nazio-Page 128 nale (= italiano) e internazionale (= una lingua straniera fra le più diffuse), in modo che I'apprendimento e lo sviluppo di ciascuna competenza lingüistica non vada a detrimento o negazione delle altre, ma contribuisca ad arricchire il bagaglío cultúrale del discente e ne faciliti l'inserirriento e la partecipazione attiva ad ogni livello della vita associativa e di relazione.96

Parimenti assai significatíve risultano le esperienze condotte, in qualche caso grazie alie capacita di autorganizzazione «spontanea» degli interessati, al-trove anche con il contributo più o meno diretto degli stessi poteri locali,97 in ordine all'insegnaraento delle lingue minoritarie; una notevole quantítá di dati e di conoscenze é poi ricavabile dalle esperienze «ufficiali» concernenti gli ordinamenti scolastici del Sudtirolo, delle province di Trieste e Gorizia e della Valle d'Aosta.98

Altrettanto decisiva é risultata, negli ultimi anni, l'attenzione a questa problemática manifestata dal sindacato CGIL-scuola:99 tale attenzione appare tanto più rilevante ove si consideri che essa non si esaurisce in un genérico appoggio alie rivendicazioni minoritarie e nella rifles sione sull'azione del sindacato dinanzi alie realtá scolastíche del Trentino-Sudtirolo, della Valle d'Aosta e del Friuli-Venezia Giulia, ma tende a prospettare un intervento ben più profondo e generalizzato nell'ambito dei rapporti cultura/lingua/processi edu-cativi e formativi. Come si é gia rilevato in sede di premessa genérale, l'at-teggiamento del sindacato neí confronti del problema della tutela lingüistica delle minoranze non riconosciute risulta infatti particolarmente significativoPage 129 proprio in quanto, partendo dall'analisi dei problemi specifici delle minoranze linguistiche non riconosciute -e identificato nella Iegge genérale un indila-zionabile ed opportuno strumento di tutela-, giunge a prospettare la neces-sitá di riconsiderare il complesso panorama sociolinguistico italiano al fine di tenere contó anche di tutti coloro che sonó tradizionalmente legati all'uso di paríate dialettali italoromanze, le quali sonó altrettanto divergenti dall'ita-Iiano standard delle altre Hngue alloglotte paríate da più o meno forti nudei di popolazione, quali appunto Talbanese, il grecánico, il ladino, il francopto-venzale e l'occitano.

Il giá sottolineato «ribaltamento» di prospettive che tale impostazione induce risulta a questo punto evidente: se i suddetti fenomeni si considerano in rapporto ai processi educativi e formativi e ai concüzionamenti che essi subiscono ad opera delle competenze linguistiche dei discenti, le situazioni del secondo tipo assumono una rilevanza quantitativamente ben superiore alie situazioni minoritarie in senso stretto, e, tenuto contó della circostanza che secondo i più recenti dati ISTAT ben il 50 % del totale della forza lavoro occu-pata e priva del diploma di scuola media inferiore, sorgono seri dubbi sulla effettiva «produttivitá» del nostro sistema scolastico-educativo. É chiaro, in-fatti, che un sistema di scuole delPobbligo che non tenga contó di questa realtá finisce per produrre, proprio a carico delle fasce di popolazione con basso livello di scolarizzazione, fenomeni quali l'analfabetismo di ritorno, la perdita di identitá cultúrale, una sensibile diminuzione delle competenze lin-guitiche acquisite in pochi anni di scuola, con tutte le conseguenze che si possono fácilmente immaginare. Si determinano cosí, per molti cittadini, forme di discriminazione del tutto analoghe a quelle che in genere caratterizzano la situazione delle c.d. minoranze linguistiche «non riconosciute», anche se in tal caso non si puo certo parlare di minoranze volontarie»: né a questi fenomeni pongono rimedio, se non in modo del tutto distorto ed altrettanto peri-coloso, fattori quali la crescita della mobilita interna dovuta ai flussi migratori e all'inurbamento, o la sempre maggior diffusione dei mezzi radiotelevisivi, la cui funzione di «omogeneizzazione cultúrale» e di strumento di crescita delle competenze linguistiche della popolazione é quasi del tutto inutilizzata.100

Da qui la necessitá di modificare profundamente, soprattutto nella scuola deU'obbíigo, il rapporto tra italiano standard e paríate dialettali/alloglotte, attualmente caratterizzato dal pressoché totale rifiuto di queste ultime: se é fuori discussione che obbiettivo principale e fondamentale dell'istruzione deve rimanere Papprendimento della ningua standard, la cui padronanza costituisce un insostituibile strumento di crescita cultúrale e sociale, ció non deve andaré a detrimento e tantomeno escludere il contemporáneo sviluppo del códice linguistico originario, italoromanzo o alloglotta che sia: quest'ultimo rappre-Page 130 senta infatti un altrettanto fundaméntale fattore di identificazione cultúrale, e la sua consapevole padronanza puó rappresentare, anche ín caso di bassi livelli di scolarizzazione, un ulteriore, uíilissimo strumento per l'acquisizione più stabile e completa dello stesso italiano standard)101

Se questo «lungo cammino» -qui solo schematicamente delineato- della questione lingüistica, da problema, quasi ignóralo, di pochi, a problema, ancora irrisolto, di rnolti, anzi, potenzialmente almeno, di tutti i cittadini, tanto da sollecitare l'attenzione e l'iniziativa di uno dei maggiori organismi sindacali della scuola, da la misura di quanto mutato sia l'atteggiamento della comunitá scientifica e di parte almeno dei soggetti politici nei confronti del problema delle minoranze linguistiche, é vero anche che una spinta altrettanto decisiva e di grande utilitá per la soluzione dei problemi minorítari si é sviluppata, verso la meta degli anni 70, a seguito della istituzione delle regioni a statuto ordinario, in relazione all'attenzione che tali enti hanno saputo manifestare nei confronti delle rivendicazioni avánzate dalle minoranze linguistiche «non ri-conosciute» esistenti nel rispettivo territorio, e, ancor più, in relazione ai problemi giuridico-istituzionali che i pur «tiepidi» e cauti interventi regionali hanno sollevato.

Si é giá avuto modo di osservare in sede di premesse generali che, a dif-ferenza di quanto nell'ultimo quindicennio é accaduto in molti ordinamenti europei, nel nostro ordinamento il processo di «riscoperta» della problemática minoritaria -e la problemática istituzionale concernente le corrispondenti rivendicazioni di tutela- non si é saldato, se non in misura minima e comun-que insufficiente, al quasi coevo processo di riforma e di riorganizzaztone delle autonomie locali conseguente alia istituzione delle regioni a statuto ordinario. Le ragioni principali di questa iniziale mancata o carente «saldatura» sonó due: da una parte c'é senz'altro una ragione di ordine politico-istituzionale, consistente nella scelta, giá evidente in fase costituente e, se possibile, vieppiù accentuata sul finiré degli anni '60 (e cioé nel momento decisivo della riforma regionale), di escludere che l'istituzione dei nuovi enti avesse come prindpale presupposto l'esigenza di valorizzare le dis tinte caratteristiche storico-culturali ed in molti casi linguistiche delle varié popolazioni regionali;102 dall'altra, vi é tuttavia anche la circostanza obbiettiva che le minoranze «non riconosciute»Page 131 continuano a costituire, pur considérate in rappoito alia sola popolazione della regione di residenza, una «minoranza» di ciascuna popolazione regionale, quan-do addirittura -é per l'appunto il caso degli albanofoni- un núcleo di alio-glotti che complessivamente presenta una cecta consistenza risulta geográficamente e istituzionalmente diviso in ben sette diverse regioni; ma é certo che, anche per le minoranze per le quali il problema della diffusione geografico-politka si pone in termini molto diversi -e il caso dei sardi e dei ladini friulani- il rapporto rivendicazioni minoritarie/autonomia regionale, in que-sti ultimi due casi di carattere speciale, si é sempre posto in termíni assai contraddittori, mentre solo di recente ha iniziato a diffondersi la consapevo-lezza della «globalitá» del problema della tutela lingüistica e della necessitá di risolvere in termini generali -e quindi sia con riguardo agli alloglotti che ai parlanti dialetti italoromanzi- la questione dell'educazione lingüistica almeno nelTambíto dei processi educativi e formativi.

Il rapporto minoranze «non riconosciute»/autonomie regionali si é in effetti configúralo, sin'ora, in termini alquanto contraddittori. Per quanto concerne gli aspetti positivi delPintervento regionale, occorre riconoscere che mentre a livello di apparato statale céntrale gli organi legislativi e di governo e del resto le stesse forze politiche hanno in genere manifestato un atteggia-mento decisamente ostile nei confronti delle rivendicazioni minoritarie (anche rispetto a quelle che, ai più, sembravano del tutto prive di effetti dirompenti sui consolidad equilibri politico-sociali delle aree interessate), l'attenzione a tali problematiche manifestatasi a livello regionale, concretizzandosi in alcune iniziative legislative, ha avuto l'indubbio mérito di «sbloccare» una situazione di stallo che perdurava da tempo, ed ha innescato un processo che, dopo varíe traversie, dovrebbe comunque concludersi con I'approvazione della tanto aus-picata ed attesa legge genérale sulle minoranze. Quasi del tutto negato a livello «istituzionale» se non fosse per gli scarni richiami alia problemática minoritaria contenuti in alcuni statuti, il rapporto regioni a statuto ordinario/mino-ranze «non riconosciute» si é dunque inizialmente risolto in un apporto del tutto indiretto delle prime a beneficio delle seconde, nella misura in cui l'av-vento della riforma regionale ha significato una genérale rivitalizzazione delle autonomie locali ed una maggiore attenzione (soprattutto da parte delle forze politiche) ai problemi della cultura, delle tradizioni e della storia lócale.

É pur vero, tuttavia, che sin dalla fine della prima legislatura regionale -e dunque prima ancora che il d.p.r. n. 616 del '77, peraltro recependo i-stanze assai diffuse ed incontrovertibili, realizzasse un sostanziale ampliamento delle competenze regionali e locali al riguardo-, le regioni hanno a più ri-prese tentato di operare un significativo ampliamento delle proprie competenzePage 132 nel settore dei «servÍ2Í culturali», con l'adozione di prowedimentí che hanno interessato direttamente e indirettamente anche alcune minoranze linguistíche in precedenza «non riconosciute». Ed é in effetti proptio di questo periodo il prowedimento che pu£> essere considérate il «modello» e il «prototipo» de-gli interventi legislativi regional! di «difesa» delle minoranze Iinguistiche re-sidenti sul proprio territorio: si tratta della legge véneta del Io agosto 1974, n. 40, la quale prevede, tra l'altro, la concessione di contributi finanziari per gli enti pubblici e privati che svolgano attivitá di studio, ricerca, divulgazione e conservazíone del patrimonio etnográfico e cultúrale del Véneto, con parti-colare riguardo alie «espressioni Iinguistiche delle (sue) singóle comunitá»; i criteri per la distribuzione dei finanziamenti e l'individuazione delle comunitá Iinguistiche interessate (ladina, tedesca, véneta), definite sulla base delle rela-tive aree di diffusione, sonó stati successivamente meglio precisad dalla legge regionale 18 maggio 1979, n. 38.

Ma e soprattutto nel corso della seconda legislatura regionale, ed in particolare a seguito della emanazione del d.p.r. n. 616 del 77, nonostante l'impostazione abbastanza riduttiva -rispetto alie proposte e alie aspettative regionali- delle funzioni attribuite alie regioni in tema di «beni (o servizi) culturali»,103 che più o meno tutte le regioni ordinarie interessate da problemi di tutela di minoranze Iinguistiche «non riconosciute», seguendo l'esempio véneto, hanno assunto iniziative di análoga portata e finalitá;104 il tentativo di ampliare le forme di tutela lingüistica -riconducibili alie competenze re-Page 133 gionali relative al proprio «patrimonio etnográfico e linguistico»- mediante espliciti riferimenti alie «minoranze lingusitiche» e la privisione di corsi facol-tativi di educazione lingüistica e di corsi di preparazione alTinsegnamento de-gli idioaii dei piccoli gruppi alloglotti residenti nei rispettivi territori regionali -si osservi che, se si eccettua la legge piemontese, tutti gli altri provvedi-menti indicad alia ultima nota al testo interessano più o meno grandi nuclei di italo-albanesi -ha peraltro suscitato la reazione del governo che ha ope-rato il rinvio -o l'impugnazione, nel caso siciliano -di tali provvedimenti per violazione dell'art, 117 Cost.

Si avrá modo di soffermare tra breve l'attenzione sui motivi giuridici, assaí discutibili, delTatteggiamento in genere assunto dal governo nei confronti delle iniziative regionali: all'atto pratico, di esse si sonó «sálvate» solo quelle fa-centi soltanto indiretto riferimento alie rispettive minoranze linguistiche, e volte, formalmente almeno, alia tutela degli idiomi minoritari in quanto parte integrante del «patrimonio cultúrale» regionale, «bene» oggetto di specifica menzione all'art. 9 Cost., e in ordine alia cui devoluzione alia competenza legislativa regionale sussistono meno problemi -nonostante le numeróse pole-miche- di quanto non accada per la «materia» tutela delle minoranze linguis-tiche.

Sta di fatto che, nel quadro dell'assunzione da parte dei poteri locali di sempre più rilevanti compiti nell'ámbito delle attivitá e delle iniziative, lato sensu, «culturali»,105 queste iniziative costituiscono un Índice della «saldatura» tra istanze delle minoranze linguistiche «non riconosciute» e gli enti regionali, e spingono ad individuare in questi ültimi, nonostante le numeróse incertez-ze e contraddizioni, gli effettivi «enti esponenziali» delle numeróse comunitá linguistiche alloglotte residenti nel nostro paese. In questo senso, dunque, considerati i vari ostacoli giuridico-istituzionali che le regioni hanno dovuto affrontare, segnalata la circostanza che le appena indicate iniziative costituiscono in ogni caso una prima (parziale) risposta delle istituzioni alie legittime aspettatíve delle minoranze linguistiche «non riconosciute» a vedere attuato anche nei loro confronti il disposto dell'art. 6 Cost., e che, bene o male, le leggi regionali che hanno superato il rinvio governativo impíícano pur sempre un riconoscimento «ufficiale» di alcune minoranze linguistiche alloglotte, queste iniziative regionali non possono non essere che valutate positivamente.

Questa valutazione non esime tuttavia dallo svolgere qualche considerazio-he più critica nei confronti degli enti regionali. Innanzitutto, si puó notare -ed é in effetti assai evidente- che tali provvedimenti legislarivi, assai po-sitivi in linea di principio per le ragioni più volte ricordate, appaiono alFatto pratico di portata assai ridotta, tanto da costituire meri palÜativi rispetto agli interventi effettivamente necessari; ma la necessitá di operare -al fine di ren-dere più efficaci le iniziative di tutela provenienti dalle regioni- alcuni inter-Page 134 venti riformatori in «materie» o settori di intervento che rientrano certamen-te nel novero delle competenze statali -e sui quali non possono incidere che in misura mínima le iniziative regionali, come ad esempio accade per l'ordi-namento scolastico- costituisce appunto una delle principali ragioni che ren-dono indispensabile un prowedimento statale volto ad affermare alcuni prin-cipi general! e per successivi interventi statali di settore e per la stessa legis-lazione regionale. L'atteggiamento ostile del governo nei confronti di alcune iniziative regionali non deve poi impediré di rilevare alcune responsabilitá specifiche delle regioni in ordine alia mancata o carente tutela giuridica di alcune minoranze linguistiche «non riconosciute».

Intanto, tenuto contó di quanto giá rilevato in sede di premesse generali relativamente alia necessitá di distinguere nell'ambito delle misure di tutela adottabili in favore di una minoranza lingüistica i provedimenti specificata-mente volti a riconoscere ai suoi appartenenti alcune situazioni giuridiche soggettive, di variabile intensitá e tipología, nell'ambito dei c.d. «diritti lin-guistid» da quelli diretti invece a realizzare la promozione e la valorizzazione delle minoranze stesse sul piano sociale ed económico, si puó notare che se a giustificare una certa inerzia regionale nel campo dei «diritti linguistki» hanno certamente non poco contribuito gli ostacoli frapposti dalle autoritá govemative, altrettanto non puo dirsi per l'altro tipo di interventi: in parti-colare, sembrano del tutto inesplorate le potenzialitá di intervento connesse ad un uso più razionale ed appropriato delle competenze regionali in settori di-versi da quello dei «beni (o servizi) cultural!», quali si presentano, dopo l'emanazione del d.p.r. n. 616 del 77, i settori organici dello «sviluppo económico» e dell'«assetto e utüizzazione del territorio», nell'ambito dei quali specifici interventi regionali in favore di alcune minoranze linguistiche sareb-bero certamente auspicabili nonché, sin d'ora, possibili senza incorrere negli «strali» dei rinvii governativi.106

Più in genérale, infine, occorre rilevare come solo alcune regioni, seppure a prezzo di un notevole «svuotamento» di contenuto dei relativi provvedi-mentí, abbiano effettivamente tentato di «forzare la mano» al governo, ride-liberando, a seguito di riesame, i provvedimenti legislativi «rinviati» dal Commissario governativo: ció é ad esempio accaduto, come si é giá ricordato, per la legge regionale piemontese, ma quante altre regioni, oltre al Piernón te, possono diré di aver fatto altrettanto pur di vedere finalmente promulgati i pur tanto discussi e «propagandati» interventi di tutela in favore delle ri-Page 135 spettive minoranze? Queste considerazioni inducono a sottolineare, ancora una volta, l'aspetto più propriamente político del problema, per rilevare come talune forze politiche abbiano sino ad oggi mantenuto al riguardo un atteg-giamento che puó essere definito quantomeno ambiguo, per cui all'innegabile contributo da esse dato alia redazione e alia approvazione di talune iniziative regionali, corrisponde un atteggiamento di netta chiusura a livello «nazionale», che si manifesta poi nei giá denunciati rinvii governativi delle leggi regionali contenenti qualsivoglia riferimento alie «minoranze linguistiche» 107

8. L'attuazione del'art 6 della Costituzione mediante una legge genérale sulle minoranze linguistiche: presupposti, funzioni e contenuti di tale provvedimento

A rafforzare l'impressione che la questione della tutela delle minoranze linguistiche «non riconosciute» sia non tanto un problema di ricerca delle possibili soluzioni quanto un problema di verifica della reale volontá política di daré piena ed eífettiva attuazione al principio di cui all'art. 6 Cost. val-gono del resto alcune considerazioni in ordine alie giustificazioni giuridiche dei vari rinvii governativi delle leggi regionali suddette; considerazioni che sem-bra a questo punto utile svüuppare prima di soffermare l'attenzione sull'esa-me dei presupposti politico-istituzionali e dei possibili contenuti di una legge genérale state sulla tutela delle minoranze linguistiche.

Gime detto, tali rinvii si fondano in genere sul rilievo del vizio di in-competenza dei citati provvedimenti regionali per violazione dell'art. 117 Cost., non essendo ricompresa la materia «tutela delle minoranze linguistiche» nella enumerazione delle materie devolute alia competenza legislativa regionale stabilita da tale articolo, e dovendosi dunque ritenere che le «apposite norme» cui l'art. 6 Cost. affida la tutela delle minoranze linguistiche siano, in mancanza di esplicita deroga negli stessi statuti regionali speciali, sempre e soltanto disposizioni di legge ordinaria statale.

Questo orientamento si richiama peraltro ad un indirizzo della giurispru-denza della Corte costituzionale sviluppatosi intorno agli anni '60, giá sotto-posto a severa critica da parte della dottrina e quindi superato, nei fatti, da taluni più recen ti indirizzi emersi nello stesso ordinamento positivo. Intomo agli anni '60, in effetti, la corte aveva avuto modo di dichiarare incostituzio-nali alcuni provvedimenti legíslativi della provincia di Bolzano e del TAA108Page 136 ed un articolo del regolamento interno del Consiglio regionale del FVG109 sulla base della discutibile argomentazione che la «materia» della tutela delle minoranze linguistkhe dovesse intendersi riservata in vía esclusiva alio Stato in ragione della sua «delicatezza», o delle speciali esigenze di «coordinamen-to» fra il principio di cui all'art. 6 Cost. e il principio della paritá di tratta-mento dei cittadini, il quale ultimo escluderebbe differenziazioni dei cittadini ad opera delle leggi regionali in ragione della loro appartenenza all'uno o al-l'altro gruppo lingüístico.

AI di lá della evidente constatazione che un simile orientamento finiva e finisce per vanificare o addirittura rovesciare la portata innovativa dell'art. 6 Cost. e dello stesso principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3.2 Cost., dal quale discende appunto il principio della áoveroúth di trattamenti dif-ferenziati in ragione delle differenti condizioni e situazioni di fatto dei gruppi di cittadini destinatari delle norme,110 la dottrina, nel criticare l'inadeguatezza e la pericolositá di tale atteggiamento, aveva puré rilevato come, a seguito della riforma dello statuto del TAA del 71-72, esso dovesse ritenersi del tutto superato: l'art. 4 dello statuto riformato definisce infatti espressamente la «tutela delle minoranze» come uno degli «interessi nazionali» la cui osser-vanza costituisce un limite per il legislatore regionale e provinciale, prospet-tando tale «tutela» non più come «materia» bensl come «principio fondamen-tale dell'ordinamento costituzionale» e dunque vinculante non solo i Iegisla-tori regionali ordinari e speciali, ma anche lo stesso legislatore statale.111 É chiaro che se tale principio costituisce un «limite» per i legíslatori regionali, il cui mancato rispetto implicherebbe l'esistenza di un vizio di mérito delle corrispondenti leggi, appare del tutto assurdo continuare a sostenere l'incom-petenza regionale in «materia» di tutela delle minoranze linguistkhe, Questo non significa affatto che le regioni, ordinarie e speciali, per assolvere alie esigenze poste da tale tutela, siano a questo punto libere di «invádete» a proprío piacimento la sfera di competenza dello stato, come appunto accadrebbe se la tutela delle minoranze costituisse una «materia» di competenza regionale, non oggettivamente ma findisticamente determinata;112 significa invece che laPage 137 tutela delle minoranze linguistiche costituisce, come si é giá più volte ricor-dato, un principio costituzionale fundaméntale del nostro ordinamento, alia cui realizzazione e attuazione devono prowedere, nell'ambito delle rispettive competenze legislative e amministrative, sia lo stato che le regioni.

Stanti le indicazioni in tal senso desumíbili dal diritto positivo, e l'ormai consolidato indirizzo deUa non impugnazione delle leggi provinciali di Bol-zano e della Valle d'Aosta contenenti espliciti -e necessari- riferimenti alia tutela delle minoranze linguistiche, l'atteggiamento di chiusura di recente as-sunto dal governo nei confronti di alcuni -si badi bene, non di tutti- i prov-vedimenti legislativi delle regioni ordinarie contenenti qualche riferimento alie minoranze linguistiche residenti nel rispettivo territorio roa in «materie» -la protezione e valorizzazione del corrispondente patrimonio cultúrale- certa-mente rientranti nella competenza regionale sembra a questo punto motivato da ragioni esclusivamente «politiche».

Sarebbe dunque assai opportuno sollecitare -ma ci ópuó fare soltanto una regione, insistendo nel rideliberare in sede di riesame di un provvedi-mento legislativo rinviato dal Commissario di governo per le ragioni sud-dette- una nuova pronuncia della corte costituzionale che chiarisca definitivamente i termini della questione. Tanto più che, negli ultimi anni, la Corte costituzionale ha manifestato una certa maggior sensibilitá alie istanze delle minoranze linguistiche: come si é rilevato nel quinto parágrafo, giá nella sen-tenza n. 28 del 1982, che puré non é indenne da una certa qual contraddit-torietá,113 la corte si era preoccupata di precisare Yoperativitá mínima del ri-conoscimento della minoranza lingüistica slovena della provincia di Trieste, precisando che, in attesa delle misure di tutela di diritto interno che I1 Italia si é impegnata ad adottare con la ratifica del trattato di Osimo, questo rico-noscimento comporta, quantomeno, l'esclusione di qualsiasi sanzione diretta a colpire Tuso della lingua materna e la facoltá di usare «pubblicamente» lo slo-veno, indipendentemente dalla conoscenza della lingua italiana:114 affermazioniPage 138 queste che una ventina di anni fa, come testimonia la giurisprudenza della corte in precedenza richiamata, sembravano dawero inconcepibili.

Ma se la sentenza n. 28 del 1982, per quanto possa considerara sintomática del mutato atteggiamento della corte in tema di minoranze linguistiche, e pur sempre interessante solo dal punto di vista di un particolare gruppo lingüístico, diversa e più ampia portata sembrano assumere le considerazioni svolte dalla corte nella motivazione di una più recente pronuncia, la sentenza n, 312 del 1983, che dichiara infondate le questioni di costituzionalitá solle-vate dal Consiglio di Stato relativamente all'art. 1 della legge provinciale di Bolzano 3 settembre 1979, n. 12 -che estende al personale sanitario anche convenzionato il requisito della conoscenza delle lingue italiana e tedesca di cui al d.p.r. 26 luglio 1976, n. 752- e risolve conseguentemente il conflitto di attribuzioni promosso dal governo contro la provincia di Bolzano concernente l'esercizio dei corrispondenti poteri amministrativi.115 In particolare, la corte, conformandosi alie tesi ripetutamente affermate in dottrina e poco sopra richia-mate,116 ha rilevato come le modifiche apportate alio statuto del TAA nel '71-'72 al vecchio testo dell'art. 84 del medesimo non consentono più, attual-mente, di ritenere la «materia» della tutela delle minoranze linguistiche «ri-servata» (in via esclusiva) alia competenza legislativa statale, consentendo a qualsiasi legislatore (statale, regionale, provinciale) di dettare le opportune disposizioni aventi tali finalitá nell'ambito delle rispettive competenze ma-teriali: il riconoscimento di tale elementare -ma non altrettanto scontato- principio da parte della corte, rovesciando la giá richiatnata giurisprudenza degli anni '60 relativa ad alcune leggi provinciali e regionali del TAA ed al regolamento interno del Consiglio regionale del FVG, dovrebbe dunque es-cludere qualsiasi fondamento giuridico ai rinvii governativi di leggi delle re-gioni ordinarie contenenti disposizioni volte alia tutela delle rispettive minoranze linguistiche motivati sulla base della spettanza in via esclusiva alio stato del potere di emanare disposizioni aventi tale finalitá.

Questi più recenti sviluppi della problemática giuridico-istituzionale concernente la tutela delle minoranze linguistiche non comportano affatto, tutta-via, la sopravvenuta superfluita di una legge genérale statale sulla tutela delle minoranze, ma ne costituiscono anzi il presupposto immediato e diretto. In tal senso, é forse utile fornire un breve quadro riassuntivo delle ragioni tecnico-giuridiche e politico-istituzionali che costituiscono il presupposto di tale legge.

L'idea -principio su cui fonda tale provvedimento é che tutti i pubblici poteri- dallo stato alie regioni, agli altri poteri Iocali -debbano concorrere, ciascuno nell'ambito delle funzioni che gli sonó proprie in relazione alie disposizioni che ripartiscono le competenze legislad ve e amministrative, alia tutela delle minoranze linguistiche, dando piena attuazione e realizzazione alPage 139 disposto dell'art. 6 cost. sulla base delle specifiche esigenze e necessitá dei vari gruppi linguistici minoritari. Ma il riconoscimento (anche) in capo alie regioni di un simile potere di intervento, per quanto significativo ed importante, non puó certamente essere considerato decisivo ai fini della soluzione dei problemi di tutela delle minoranze «non riconosciute»: i più recenti indi-rizzi di poli tica legislativa in materia, sui qualí si e avuto giá modo di soffer-mare l'attenzione in sede di premesse generali, indicano infatti quale «terreno» privílegiato per la realizzazione di adeguate forme di protezione delle minoranze linguistiche tutta una serie di settori dell'ordinamento giuridico nei qUalí -alio stato attuale della ripartizione delle competenze normative e am-ministrative- i poteri di intervento delle regioni risultano all'atto pratico minimi o scarsamente incidenti. Basti pensare, ad esempio, nelT ámbito dei c.d. «diritti linguistici», alia disciplina dell'uso e dell'insegnamento delle lin-gue (e dei «dialetti») nei processi educativi e formativi pur se non necessa-riamente con le conseguenze di maggior rilievo che conseguono al riconoscimento dei diritti linguistici nella accezione più ampia, come invece é previsto per la minoranza di lingua tedesca residente nei Sudtirolo. Ma ció vale anche per altri settori dell'ordinamento in cui tradizionalmente si esplica il riconoscimento di situazioni giuridiche soggettive inerenti i c.d. diritti linguistici, come accade, ad esempio, per Tuso delle lingue nei rapporti con gli uffici pubblici (statali) e negli atti giuridici, oppure per la disciplina di eventuali pro-grammi particolari nell'ambto de servizi pubblici radiotelevisivi, destinatari agli appartenenti ad una minoranza; diversamente, invece, nell'ambito dei rispetti-vi poteri regolamentari -ma nei rispetto delle disposizioni generali sulla forma degli atti- le assemble elettive degli enti regionali e locali forse giá potrebbero adottare disposizioni in favore degli appartenenti alie minoranze, ad esempio consentendo la formazione di gruppi consiliari anche al di sotto del numero di consiglieri all'uopo generalmente richiesto per favorire la loro rappresentanza, owero disciplinando l'uso delle lingue nei corso dei dibattiti consiliari ecc. ecc.

La principale finalitá di una legge genérale statale di attuazione dell'art. 6 Cost., configurabile come un vero e proprio «statuto delle minoranze linguistiche»,117 é dunque quella id stabilire alcuni principi generali di tutela, de-Page 140 stinati e valere per tutti i gruppi minoritari esistenti attualmente (ed eventual-mente in futuro) nel nostro paese, con particolare riferimento a settori di competenza statale (Pordinamento scolastico, Tuso delle lingue negli atti pub-blici, i servizi radiotelevisivi ecc), a prescindere dal grado di intensitá della tutela «lingüistica» che si intende accordare ai singoli gruppi, la cui precisa-zione puo formare oggetto di successivi provvedimenti, anche amministrativi, deílo stato o delle regioni. Dal punto di vista giuridico-istituzionale tali prin-cipi costituirebbero una prima forma orgánica di attuazione, mediante dispo-sizioní di carattere genérale, del principio fundaméntale di tutela affermato all'art. 6 Cosí, e consentirebbero alie stesse autoritá amministrative statali -ad esempio quelle scolastiche- di adottare alcuni significativi provvedimenti volti ad adeguare l'ordinamento, nel senso più volte auspicato, alie esi-genze della tutela delle minoranze linguistiche; ma, ove si tenga presente l'at-tuale conforma2ione delle relazioni tra stato e regioni, i suddetti principi costituirebbero, contemporáneamente, «principi generali» della legislazione statale per la stessa legislazione regionale (delle regioni sia ad autonomía spe-ciale che ordinaria) volta ad attuare -nei rispettivi ambiti di competenza- lo stesso art. 6, nonché -secondo la soluzione che parrebbe più funzionale alia necessítá di adeguare la legislazione di tutela alie esigenze dei singoli gruppi minoritari- dei criteri direttivi e degli indirizzi per la delega delle funzioni aventi tale finalita alie regioni stesse. Inoltre, tali principi, in quanto «principi fondamentali delTordinamento dello Stato» varrebbero altresi quale limite per la legislazione delle regioni speciali costituite anche in funzione della tutela di talune minoranze, ed offrirebbero una protezione più efficace per taluni gruppi minoritari residenti in tale tipo di regioni non adeguatamente tutelati (é il caso, ad esempio, dei ladini trentini e degli sloveni del FVG). Dal punto di vista regionale, una legge siffatta, che potrebbe essere qua-lificata come legge «quadro» o «cornice» ed insieme di delega alie regioni delle funzioni statali in ordine alia tutela delle minoranze, non costituirebbePage 141 affatto un ostacolo o un freno agli interventi regionali aventi tali finalitá, ma anzi, oltre ad assicurare una certa uniformitá di trattamento, essa consentireb-be alie regioni di esercitare finalmente un ruólo dawero «trainante» -cío che oggi non é giuridicamente, prima ancora che politicamente, possibile- in ordine alia tutela delle minoranze linguistiche, lasciando d'altronde aperta la possibilitá di ulteriori e più ampi interventi riformatori statali in settori -quello dell'educazione lingüistica nelTambito dei processi educativi e for-mativi ne é il principale esempio- la cui rilevanza va probabilmente ben al di la del problema della tutela delle minoranze linguistiche; mentre rimarreb-be comunque affidato alie regioni il compito di individuare i gruppi minoritari destinatari delle misure di tutela e di graduare e adattare alie esigenze speci-fiche dei singoli gruppi le disposizioni di principio stabilite dalla legge genérale.

Lo scopo di una simile legge genérale delle minoranze non si esaurirebbe tuttavia in questa opera di fissazione di principa: a garanzia della effettivitá delle misure di tutela previste, essa dovrebbe altresi disciplinare e prefigurare una serie di procedure volte sia ad attivare le regioni affinché adottino i ne-cessari prowedimenti (riconoscendo dunque opportuni poteri d'iniziativa ad associazioni costituite ad hoc owero agli stessi enti locali), sia, per alcune misure almeno, a riconoscere agli enti locali determinad poteri deliberativi «sostitutivi» o «anticipatori» rispetto all'eventualmente mancante intervento regionale.

Non si tratta di «sfiducia» nei confronti della capacita delle regioni di adottare in tempi e termini ragionevoli i prowedimenti ad esse demandati, quanto piuttosto della necessitá di tenere contó della volontá -essendo pur sempre le minoranze linguistiche «minoranze volontarie»-118 degli stessi ap-partenenti ai gruppi linguistici da tutelare, e della contemporánea esigenza di verificare -seppure secondo una prospettiva del tutto diversa da queüa della discussa legge austriaca, che (come giá rilevato) subordina e «gradualizza» l'applicazione delle misure in essa previste al preventivo accertamento della consistenza dei vari gruppi, sia mediante censimenti che in base ad altre rile-vazioni statistiche svolte a cura dell'atnministrazione (cfr. art. 2.2 Volksgrup-pengesetz del 1976)- l'esistenza di queü'animus comunitario che, per i mo-tivi più volte sottolineati, dovrebbe costituire il presupposto soggettivo per l'adozione delle misure di tutela giuridica; nonché per altro verso, di impostare in termini realistici il problema dei rapporti tra minoranze linguistiche «non riconosciute» e autonomie regionali e locali. Infatti, se sembra inoppor-tuna la creazione di «consulte» delle minoranze sul genere di quelle previste dalia più volte citata legge austriaca (cfr. artt. 3-7 Volksgruppengesetz), e ap-pare invece auspicabile Ü maggior coinvolgimento possibile dei poteri locali e regionali nella attivitá di tutela delle minoranze linguistiche, occorre purPage 142 sempre tenere contó della oggettiva «incompiutezza» del rapporto tra tali poteri e le minoranze linguistiche, le cu i aree di dif fusione solo occasional-mente (e raramente) coincidono con i confini politico-amministrativi, mentre, a parte il caso «anómalo» della Sardegna, le minoranze tendono a rimanere tali anche all'interno dei confini regionali.

Quanto al contenuto specifico e alia portata dei «diritti linguistici» non c'é dubbio che, tenuto contó di quanto giá rilevato in ordine al complesso panorama sociolinguistico italiano e alia necessitá di impostare in termini di-versi dagli attuali il rapporto lingua/cultura/processi educativi e formativi, essi dovrebbero differire assai da quelli che sonó stati accolti nel caso delle minoranze di lingua tedesca del Sudtirolo, della minoranza di lingua francese della Val d'Aosta, e in definitiva della stessa (poco e mal tutelata) minoranza slovena del FVG: in tali casi, infatti, la principale finalitá delle misure di tutela adottate -a prescindere dalle conseguenze degli itnpegni internazionali al riguardo assunti- era quella di garantiré íl più possibile alcuni gruppi linguistici ben determinad e dotati ciascuno di una precisa identitá linguistico-culturale daH'altrimenti inevitabile e progressiva assimilazione da parte della «etnia» italofona dominante e a ció si prowide -per lo meno nel caso dei francofoni valdostani e dei sudtirolesi di lingua tedesca- non solo mediante il riconoscimento di «diritti linguistici» in forma assai ampia (accogliendo il principio della coufficialitá degli idiomi minoritari) ma anche -e soprattutto- mediante altrettanto ampie forme di «autonomía territoriale» delle minoranze stesse; posto che simile compito di dif esa dall'assimilazione é più o meno accentuatamente ínsito in tutte le forme di protezione delle minoranze lin-guistiche, la principale finalitá dei provvedimenti di tutela diretti a proteggere e valorizzare le c.d. minoranze «non riconosciute» non e certo quella di restituiré dignitá «politica» a idiomi che tale rango hanno avuto solo in un Ion-tanissimo passato o, peggio ancora, di elevare artificiosamente al rango di «lingue ufficiali» gli idiomi o i dialetti minoritari, ma quella di favorire e promuovere Yintegrazione dei gruppi Unguisiici minoritari nella comunita na-zionale in modo che tale integrazione non implichi, come sino ad oggi é pre-valentemente accaduto, perdita dell'identitá cultúrale d'origine, o, addirittura, emarginazioni e discriminazioni sociali nei confronti sía dei singoli cittadini appartenenti .al gruppo minoritario che del gruppo stesso complessivamente considerato. Se dunque la principale finalitá di queste misure giuridiche deve essere quella di attenuare piuttosto che incrementare la «separatezza» delle lingue e delle culture minoritarie (e, implícitamente, di eliminare l'emargina-zione cui sonó soggetti gli appartenenti alie minoranze) rispetto alia lingua e alia cultura «dominanti», quanto aí contenuti concreti dei «diritti linguistici» la legge genérale di tutela dovrebbe, da un lato, evitare l'adozione di provvedimenti ispirati al principio del separatismo lingüístico, principio che risulta palesemente in contrasto con queste finalitá, e, daU'aítro, optare senz'altro per la forma di protezione che, all'interno della lógica del «doppio livello» diPage 143 tutela, si é in precedenza definíta di grado «ridotto»; forma che, privilegiando il momento dell'educazione lingüistica nell'ambito dei processi educativi e formativi e lo sviluppo dei c.d. servizi culturali, appare assai più funzionale ed adeguata alie suddette finalitá rispetto alie misure volte a «parifícate» gli idiomi minoritari all'italiano standard.

9. La tutela giuridica della minoranza albanese nella prospettiva di ulteriore attuazione dell'art 6 Cost. I progetti di legge statale e regionale concer-nenti tale minoranza

Tenuto contó delle osservazioni svolte nei saggi concernenti i profili sto-rico-letterari e quelli socio-antropologici e di quanto appena tilevato in ordine alie prospettive di attuazione dell'art. 6 Cost. mediante una legge di carattete genérale, si puó ritenere che i problemi di tutela giuridica della minoranza albanese di Calabria perdano buona parte della loro «specificitá» e si stem-perino in quelli, più generali, di definizione e concretizzazione delle misure di ulteriore attuazione dell'art. 6 stesso.

In questo senso, proprio in riferimento alie esigenze di tutela del gruppo linguistico albanese -ma si trattava, nella specie, degli albanesi di Sicilia- é stato autorevolmente affermato che tali esigenze dovrebbero trovare adeguata risposta in un provvedimento di carattere genérale, e quindi destinato a trovare applicazione per tutte le minoranze non riconosciute, il cui conté-ñuto consista «... nella previsione dell'uso delle lingue minoritarie nella scuo-la materna ed elementare, quantomeno come strumento di insegnamento; nel-l'insegnamento della lingua e della cultura delle minoranze come materia facol-tativa nella scuola elementare e media; nell'utilizzazione del bilingüismo nella toponomástica e negli annunci ufficiali, in misura opportunamente graduata alie effettive necessitá; nella liberta di usare la lingue minoritarie nelle adunan-ze degli organi collegiali, con adeguate garanzie per coloro che non le compren-dono; nell'istituzione presso gli uffici pubblici di sportelli cui sia addetto per-sonale bilingüe (anche qui con opportuna gradualitá); nel riconoscimento che le spese necessarie per realizzare queste forme di tutela costituiscono spese obbligatorie per i comuni e per gli altri enti locali».119

A fronte di tali misure generali, i problemi specifici connessi a condizioní particolari ed esigenze proprie della minoranza albanese si pongono sopratut-to a causa della circostanza che tale minoranza risiede in zone tra loro non contigue e che, dal punto di vista politico-amministrativo, appartengono a varié regioni,120 nonché in ragione del fatto che i gruppi di lingua albanese con-Page 144 vivono, in rapporto variabile -e cioe in modo tale da costituire, su base co-munale, la totalitá, la maggioranza o la minoranza della popolazione residente- con gruppi italofoni a loro volta interessati da problemi linguistíci consi-stenti nell'uso prevalente, in rapporto di diglossia con l'italiano standard, di vari dialetti regionali. In altre parole, una volta definid i principi generalí di tutela, i maggiori problemi specifici relativi alia minoranza albanese che do-vrebbero essere affrontati a livello lócale (regionale, provinciale e comunale) riguardano soprattutto, da un lato, l'esigenza di garantiré un minimo di coor-dínamento e di omogeneitá fra i prowedimenti da adottarsi da parte di stato, regioni e altri enti locali in favore dei vari nuclei più o meno consistenti di italoalbanesi e, dall'altro, la necessitá di elaborare -con particolare riguardo alie misure organízzativamente più complesse, come quelle concernenti l'ambito scolastico, e cioé l'uso e l'insegnamento della lingua minoritaria- forme di intervento suficientemente articolate e flessibili da risultare fácilmente adat-tabili alie diverse esigenze che sorgono a seconda che gli appartenenti alia minoranza costituiscano la totalitá ovvero una parte soltanto della popolazione interessata alie misure di tutela. Come si avrá modo di precisare meglio tra breve, gli indirizzi al momento prevalenti in sede di elaborazione della legge genérale sembrano per certi aspetti «mortificare», il ruólo che in tale ámbito potrebbero svolgere gli enti regionali e locali; vi sonó tuttavia fondati motivi per ritenere che le conseguenze della scarsa attenzione sin'ora dedicata a que-sta problemática possano essere ragionevolmente supérate grazi ad un deciso intervento regionale in tale direzione.

Vale piuttosto la pena di sottolineare il fatto -peraltro ben evidenziato dai saggi che precedono queste note- che, dinanzi alie prospettive di tutela offerte dalla legge genérale in via di emanazione, la minoranza albanese di Calabria parte certamente da una posizione di «vantaggio» rispetto ad altre mi-noranze «non riconosciute»: grazie alia capacita di autorganizzazione «sponta-nea» degli appartenenti alia minoranza, all'attivitá di istituzioni come la giá ricordata «Lega di Difesa della Minoranza Albanese», alia collaborazione pre-stata ad alcune iniziative di tutela da parte degli stessi enti locali e di altre istituzioni pubbliche e prívate si é potuto infatti costituire, pur fra varié difficoltá, un cospicuo e prezioso patrimonio di studi, ricerche e concrete es-perienze di funzionamento di alcune misure di tutela -soprattutto per quanto concerne l'insegnamento della lingua-, la cui esistenza lascia ben sperare circa la realizzabilitá e la «percorribilitá» delle misure di tutela astrattamente e genéricamente definite dall'auspicato provvedimento legislativo di carattere genérale.

L'utilitá di questo complesso di studi e di esperienze risulta del tutto evidente qualora si consideri la tanto attesa e discussa legge genérale non tanto quale punto di arrivo del processo di «riscoperta» delle minoranze linguisti-che, ma soprattutto quale punto di paríeriza per la concreta realizzazione di misure di tutela, protezione e valorizzazione dei singoli gruppi minoritari: al proposito occorre infatti ricordare che proprio in riferimento a misure di tu-Page 145 tela che appaiono di enunciazione e definizione quanto mai «semplice» ma di attuazione pratica assai complessa, come accade, ad esempio, per la disciplina dell'uso delle lingue minoritarie nelle scuole (almeno in quella dell'obbligo) quale oggetto e veicolo d'insegnamento, l'ordinamento italiano presenta un rícco e vasto campionario, giá ampiamente consolídate, di concrete esperienze, costituito dagli ordínamenti scolastici speciali relativi alie scuole della Valle d'Aosta, della Provincia di Bolzano e delle Province di Trieste e Gorizia in relazione alTattuazione delle misure di tutela previste in favore rispettivamen-te delle minoranze di lingua francese, tedesca, ladina e slovena ivi residen-ti;121 non c'é dubbio che il complesso delle soluzioni al riguardo adottate, in-sieme alie esperienze realizzate, ancorché in via non ufficiale o solo sperimen-tale, nelle stesse zone di residenza della comunita albanese dovrebbero offrire un utile quadro di riferimento per avviare il dibattito e la «progettazione» delle misure riguardanti la minoranza albanese da parte sia delle organizzazio-ni «private» o «semiprivate» che da tempo si muovono in tale dírezione, sia degli stessi enti locali che, direttamente o indirettamente, saranno chiamati a fornire i supporti organizzativi e finanziari per la loro realizzazione pratica, al di la deí problemi di titolarita giuridica delle corrispondenti competenze. Come si é accennato e si vedrá meglio tra breve esaminando la bozza della legge genérale, gli indirizzi attualmente prevalenti sembrano, per certi aspetti, lasciare aperta la strada ad un'utile collaborazione fra autoritá pubbliche stataii e locali e organismi «privad» o associazioni in qualche modo rappresentative della minoranza, ma, proprio in riferimento alie misure di tutela incidenti sull'ordinamento scolastico, risultano abbastanza riduttivi circa l'entitá degli apporti delle forze locali anche solo in funzione progettuale ed elaborativa.

Tuttavia, prima di entrare nel mérito del contenuto del progetto di legge genérale approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera al fine di valutame l'influenza sulle prospettive di tutela della minoranza albanese, sembra opportuno soffermarsi brevemente ad analizzare altri testi norma-tivi per ricavare utili indícazioni in riferimento a tale problemática. Una prima serie di atti normativi, rimasti peraltro tutti alio stato progettuale, cui pare opportuno dedicare qualche cenno é costituita da vari progetti di legge statale e regionale contenenti misure di tutela riguardanti la minoranza albanese avanzati nel corso della seconda meta degli anni '70, in un momento in cui, come si é giá avuto modo di rilevare, anche per l'esempio offerto da altre regioni sembrava che le iniziative regionali potessero costituire, in mancanza di interventi stataii (specifici e generali), una prima seria risposta alie esigenze di tutela delle numeróse minoranze c.d. non riconosciute.

Senza alcuna pretesa di completezza e di esaustivita, trattandosi di un esame condotto a fini meramente esemplificativi, occorre innanzitutto conside-Page 146 rare alcuni progetti di legge statale ordinaria aventi per oggetto la tutela giuri-dica della sola minorarla di lingua albanese. Fra questi merita di essere ri-cordata la proposta di legge presentata alia Camera il 10 febbraio 1977 da un gruppo di parlamentan democrisüani;122 dal punto di vista politico essa ap-pare assai ambiziosa, poiché assumeva come obbiettivo l'istituzione di corsi di insegnamento di lingua albanese nelle scuole elementan e medie di tutu i comuni in cui risiedono gruppi albanofoni, dei quali la relazione di accom-pagnamento fornisce un preciso elenco, sparsi in 9 province (Avellino, Cam-pobasso, Cosenza, Catanzaro, Foggia, Palermo, Potenza, Taranto, Pescara) e, conseguentemente, in ben 7 diverse regioni. Ció che fa apparire del tutto singolare tale proposta é la circostanza che, ignorando il dibattito che contemporáneamente veniva svolgendosi a lívello regionale (quantomeno in Calabria, Molise e Sicilia) in ordine a varié proposte di legge regionale aventi análoga finalitá, nonché qualsiasi esigenza di decentramento e di partecipazio-ne delle popolazioni e degli enti locali direttamente interés sati cosí come dei corrispondenti organi collegiali della scuola, essa atribuisce al Ministero della Pubblica Istruzione, mediante ordinanze da questo emanate sentite commissio-ni di esperti da lui stesso nominate, il potere di individuare i comuni interes-sati, determinare i programmi, fissare le modalitá di svolgimento dei corsi e di reclutamento degli insegnanti abilitati a tenerli. La proposta non venne ripresentata nella successiva legislatura.

Una nuova proposta di legge statale riguardante la «tutela della lingua e della cultura della popolazione calabrese di origine albanese» venne pero presentata dal senatore Zito e da altri parlamentari socialisti nel corso del-rVIII legislatura:123 si tratta, per la veritá, di un disegno assai più articolato del precedente, volto ad istituire l'insegnamento della lingua albanese nelle scuole elementan (3 ore settimanali) e nelle scuole medie (4 ore settima-nali) dei comuni albanesi di Calabria espressamente individuati all'art. 4 della proposta: a tal fine essa prevede che l'insegnamento, attivato qualora ne fac-ciano richiesta almeno 20 allievi (e cioé genitori) anche di classi e corsi diver-si, debba essere preferenzialmente impartito nelle ore di lavoro straordinario (per le scuole elementan) o di completamente di orario (per le scuole medie) da parte degli insegnanti che ne facciano richiesta, ma é prevista altresl la possibilitá che vengano istituiti posti di insegnamento specifici (art. 1). La formulazione dei programmi e l'accertamento della conoscenza della lingua da parte degli insegnanti sonó stabiliti su base lócale da parte di apposite Commissioni di esperti costituite presso i Proweditorati agli studi di Cosenza e Catanzaro (art. 2); la proposta non dimentica infine di assicurare la rap-Page 147 presentanza obbligatoria del gruppo lingüístico albanese nei Consigli scolastici ¿elle due province interessate, mediante elezioni dei medesimi rappresentanti da parte dei relativi Consigli provinciali (art. 4).

Se tali proposte non sonó mai state oggetto di approfonditi dibattiti parlamentan, ben più ampio ed esteso risulta il dibattito che si é sviluppato a Iivello regionale durante tutta la seconda legislatura in ordine alie possibilita di intervento della stessa regione Calabria ai fini della tutela delle minoranze linguistiché in essa residenti, e quindi con riguardo non solo alia minoranza albanese, ma anche alie minoranze grecánica e occitaníca: tale dibattito, infat-ti, sviluppatosi a seguito della presentazione di alcune proposte di legge regionale «deposítate» all'inizio della seconda legislatura,124 ha condotto alia elaborazione da parte della IV Commissione consiliare di un progetto di legge unificato il quale, come giá ricordato, e stato approvato dal Consiglio regionale il 17 dicembre 1979 come legge di «tutela e valorizzazione del patrimonio storico, cultúrale ed artístico delle comunitá di origine albanese, grecánica e occitanica». A seguito di un primo rinvio governativo, il prowedimento, am-piamente emendato e «impoverito», é stato rideliberato dal Consiglio regionale come legge di «tutela e valorizzazione del patrimonio linguistico e cultúrale della Calabria», ma i pur larghi riaggiustamenti cui la legge é stata sot-toposta ad opera della IV Commissione consiliare non sonó stati suffieienti a far ottenere il visto dell'organo governativo di contrallo; la fine della seconda legislatura regionale, nei maggio del 1980, ha posto fine alia vicenda senza che alcun provvedimento regionale vedesse definitivamente la luce, sicché, come puré si e giá avuto modo di ricordare, le prospettive di tutela della minoranza albanese di Calabria e delle altre minoranze linguistiché che vivono in tale regione risultano ormai esclusivamente affidate agli interventi direttamente o indirettamente disposti dalla più volte ricordata legge genérale in via di ema-nazione.

Relativamente a tali vicende si deve ripetere quanto si é giá rilevato, in viá genérale, in ordine al contraddittorio «rapporto» tra minoranze linguistiché non riconosciute e regioni;125 a prescindere dall'esame del mérito degli indirizzi di tutela prospettati dal provvedimento regionale calabrese oggetto di duplice rinvio governativo, dal punto di vista giuridico la princípale motivazione di tali rinvii -vale a diré la pretesa lesione della esclusiva competenza statale in «materia» di tutela delle minoranze- appare infatti, anche nei caso dei provvedimenti della regione Calabria, del tutto pretestuosa in linea di prin-Page 148 cipio e affatto corrispondente agli indirizzi accolti nello stesso ordinamento positivo, ad iniziare dal giá ricordato art. 4 del testo riformato dello statuto speciale del TAA; questo asserito motivo «genérale» di illegittiinitá finisce del resto per assorbire il problema -assai meno pretestuoso- della legitti-mita della previsione di corsi di insegnamento della lingua minoritaria conte-nuta nella legge calabrese come in provvedimenti di análoga portata emanati da altre regioni -e parimenti rinviati dal governo-, nella misura in cui tale previsione, a seconda delle modalitá di organizzazione e di svolgimento di questi corsi, potrebbe «interferiré» con le competenze statali in tema di ordinamento scolastico e, più in genérale, di ordinamento degli studi delle scuole pubbliche.

Sempre sotto il profilo giuridico, il risultato pratico delTatteggiamento del governo appare del tutto assurdo perché, a prescindere dalle «interferenze» con le competenze statali in tema di ordinamento scolastico, esso e valso a blocca-re le iniziative regionali in questione anche sotto il più limitato profilo del-l'attivitá (regionale e lócale) di promozione e valorizzazione cultúrale; vale a diré di un tipo di attivitá che in talune regioni, considerando le lingue mino-ritatie come bene cultúrale oggetto di specifici interventi protettivi ai sensi dell'art. 9 Cost., e fondandosi, nel caso della Calabria, su un'espressa previsione statutaria -quella di cui all'art. 56 Iettera r) del relativo statuto-, nonché sul disposto dell'art. 49 del d.p.r. n. 616 del '77 in tema di «attivitá di promozione educativa e cultúrale», si é giustamente ritenuto opportuno finalizzare anche alia protezione delle minoranze linguisticbe residenti nel ri-spettivo territorio. Con l'assurda conseguenza che, mentre hanno ottenuto il «visto» governativo provvedimenti aventi tale finalitá di promozione cultúrale emanati da regioni in cui non esistono problemi di tutela minoritaria,126 esso é stato negato, almeno in sede di primo esame, alie leggi regionali di análogo contenuto approvate dal Piemonte, dal Molise e, appunto, dalla Calabria, il cui secondo provvedimento impúgnate si caratterizza quale «mera» legge regionale di attuazione -pur in mancanza delle corrispondenti leggi «quadro» statali- del disposto di cui all'art. 49 del d.p.r. n. 616 del 77.127

Dal punto di vista più propriamente político sorgono invece, anche per quanto riguarda i provvedimenti legislativi calabresi, i dubbi che si é avuto modo di sollevare in via genérale in ordine alia reale volontá politica delle regioni di «forzare la mano» al governo, giungendo eventualmente, a seguito di specifica riapprovazione dei provvedimenti contestati, ad un giudizio di le-Page 149 gittimitá dinanzi alia corte costituzionale; il che, come é noto, non si é mai verificato per questo genere di provvedimenti.

D'altra parte, l'importanza di un atteggiamento di maggior decisione nei confronti del qui censúrate orientamento governativo da parte del «fronte» regionale si apprezza meglio qualora si consideri il contenuto concreto dei provvedimenti regionali in questione e lo si raffronti sia con gli indirizzi ac-colti dalle proposte di legge statali aventi análoga finalita sia con gli indirizzi al momento prevalenti in sede di elaborazione della più volte ricordata legge genérale: in effetti, oggi che non sembra più in discussione l'opportunitá di tutelare le minoranze c.d. non riconosciute mediante misure che implicano specifici interventi di adeguamento del rispettivo corpo normativo sia da parte dello stato che delle regioni, non si puó affatto ritenere cessata la «materia del contendere» tra stato e regioni in ordine alia portata dei rispettivi ambiti di competenza, laddove per la concreta realizzazione di molte misure di tutela, ed in particolare per quelle concernenti l'educazione lingüistica, l'insegnamen-to della Iingua e della cultura minoritaria e Tuso degli idiomi minoritari stessi quali veicoli d'insegnamento risulta ancora tutto da stabilire il quantum del-I'intervento dei poteri centrali e locali, nonché le modalitá della necessaria collaborazione di entrambi i livelli di governo alia precisazione delle misure stesse.

Un efficace esempio delle implicazioni proprie di ciascuna delle due dif-ferenti impostazioni possibili, tendenti a privilegiare l'uno o l'altro dei due livelli di governo, si ha appunto ove si confrontino gli indirizzi al riguardo accolti nei tes ti dei progetti di legge statale e di legge regionale concernenti le misure di tutela in favore della minoranza albanese di Calabria: come gia rileváto, i progetti di legge statale, ed in particolare quelli presentati dalla DC (cui puré occorre riconoscere il mérito di prospettare una tutela «globale» per tutu i gruppi albanofoni in Italia), tendono ad investiré il Ministero della pubblica istruzione di tutti i compiti relativi alia organizzazione dei corsi di insegnamento della Iingua albanese; ma lo stesso disegno di legge statale di iniziativa socialista sembra muoversi in un'ottica non dissimile, dal momento che la realizzazione delle misure di tutela «lingüistica» da esso previste é inte-ramente affidata ad un órgano statale decentrato quale il proweditorato agli srudi, senza alcun cenno al ruólo che utilmente potrebbero svolgere gli or-gani collegiali scolastici e, più in genérale, i poteri locali interessati, cui, in un modo o nell'altro, rimane pur sempre affidata la rappresentanza politica della comunitá alloglotta.

A prescindere dal problema della titolaritá -statale o decentrata- dei poteri decisori che entraño in gioco, ben diversa appare l'impostazione accolta nei testo di legge deliberato dal Consiglio regionale della Calabria il 17 dicem-bre '79, poi rinviato dall'organo di contrallo governativo, tutto volto a va-lorizzare il ruólo degli enti locali -soprattutto dei comuni- nella organizzazione delle varíe misure di tutela, ivi cómprese quelle in qualche modo inci-denti suITordinamento scolastico. Desta peraltro qualche perplessitá la moti-Page 150 vazione addotta a sostegno di questa scelta dalla relazione di accompagnamen-to a tale progetto,128 secondo la quale la scelta in questione risulta «la via più praticabile» in mancanza di «competenze specifiche in materia» da parte delle stesse regíoni; il che, come giá più volte rilevato, certamente non é. Rimane comunque pienamente condivisibile ed opportuno rindirízzo ivi accolto secondo cui, riservati alie regioni i compiti di finanziamento e di programmazio-ne genérale, la realizzazione delle misure di tutela concernenti Porcunamente scolastico risulta il frutto di inte se tra i provveditorati agli studi, i comuni -e, se del caso, le province-, i consigli di circolo e di istituto. Ed é appunto secondo tali modalitá che il citato testo prevedeva l'istituzione di corsi facol-tativi di lingua nelle scuole dell'obbligo, come puré Tuso della lingúa materna nelle scuole per l'infanzia organizzate dai comuni (art. 2); per la definizio-ne dei programmi e delle concrete modalitá di svolgimento dei corsi, in atiesa della costituzione del Centro di studi e ricerche previsto dalla stessa legge per la «conservazione, valorizzazione, sviluppo del patrimonio etnográfico, fol-kloristico, cultúrale, storico-linguistico degli albanesi di Calabria» (art. 7), il progetto prevedeva l'istituzione di un'apposita Commissione, nominata dal Presidente della giunta regionale, nella quale era riservata ampia rappresen-tanza ai sindaci dei comuni albanesi (art. 5); ampio spazio ai comuni era altresl riconosciuto ai fini della costituzione del Centro di studi suddetto, cosí come per la costituzione dei Centri studi delle minoranze grecánica e occitanica (art. 8).

Questa contrapposizione di indirizzi non deve affatto meravigliare poiché, come ben sanno gli studiosi di diritto pubblico, la questione della allocazione dei poteri tra Iivello céntrale e livelli locali di governo risulta essere il nodo céntrale e costante di tutte le riforme istituzionali delTultimo quindicennio nell'incerto andamento dei rapporti tra stato, regioni ed en ti locali; tanto che, frequentemente, la questione «istituzionale» finisce per constituiré Túnico vero nodo da sciogliere in sede di elaborazione legislativa, facendo perderé di vista l'indicazione di precise soluzioni circa il problema concreto cui si riferis-cono i poteri decisori oggetto del contendere tra centro e periferia. Detto in altre parole, se é indubitabile che dato un determinato «oggetto» di disciplina giuridica si ponga il problema di stabilire quali tra le funzioni normative e amministrative inerenti tale oggetto debbono essere esercitate da organi statali e quali altre dalle regioni ovvero dagli enti locali, la necessitá di risolvere pre-liminarmente tale questione finisce troppo spesso per relegare in secondo piano la definizione delle soluzioni ai problemi reali e per nascondere, dietro al gioco degli inevitabili compromessi, la effettiva titolaritá della potes ta de-cisorie e delle connesse responsabilitá. Nel caso in esame, la questione della ripartízione dei compiti tra organi statali (centrali e decentrati), regioni ed enti locali -in ordine alia quale, come detto, e salvo quanto si avrá modoPage 151 di precisare ulteriormente, gli indirÍ2zi prevalenti in sede di legge genérale appaiono un po' «punitivi» nei confronti di questi ultimi nonché delle stesse regioni- non é d'altra parte soltanto una questione di «allocazione» dei poteri o di técnica legislativa, ma nasconde una problemática sostanziale al-quanto complessa.

Dal punto di vista istituzionale, infatti, si puó rilevare che la fin troppo evidente volontá della proposta regionale calabrese (e di analoghe proposte di altre regioni) di valorizzare pet quanto possibile il ruólo dei poteri locali ed in particolare dei comuni ai finí della concretizzazione di alcune misure, ad iniziare proprio da quelle più o meno direttamente incidenti suU'ordinamento scolastico, risponde soprattutto ad un orientamento che trova la sua prima ragion d'essere nella polémica nei confronti di un «potere céntrale» del tutto sordo, talvolta anche decisamente os tile, alie più elementan e «tninime» ri-chieste di tutela minoritaria avánzate su base lócale; é chiaro, tuttavia, che nei momento in cui lo stato ríconosce ed istituzionalizza tali esigenze -il che dovrebbe avvenire mediante la più volte ricordata legge genérale-, buona parte di questa pur giustificata polémica non ha più ragione d'essere e si ricreano le condizioni oggettive perché gli apparati istituzionali statali, centra-li e decentrati vengano pienamente investiti di tutte le funzioni e le respon-sabilitá che loro competono. II problema diventa allora quello di garantiré, mediante adeguati strumenti procedimentali, che agli stessi appartenenti alie minoranze interessate, rappresentati dagli enti locati in quanto unici possibili -in ragione del particolare tipo di diffusione delle minoranze non riconosciu-te- enti a fini politici «esponenziali» di tali comunitá, ovvero dagli altri organi di democrazia partecipativa, quali ad esempio, gli organi collegiali della scuola, sia riconosciuta sufficiente «voce in capitolo» in ordine alia definizione concreta delle misure di tutela; tanto più che se esperienze pratiche, dibattiti, studi e ricerche sonó state effettivamente svolte ció lo si de ve soprattutto od esclusivamente all'iniziativa e al supporto dei poteri locali, mentre il contributo della burocrazia ministeriak b stato, come é noto, alquanto limitato. Quanto agli strumenti giuridko-istituzionali mediante cui questa «voce in capitolo» puó trovare corpo, il «diritto delle relazioni tra stato, regioni ed enti locali» offre un illimitato campionario: ma anche ove la legge genérale e più ancora i provvedimenti destinad ad attuarla omettessero -e sarebbe una grave lacuna- di definiré tali strumenti prevedendo opportune intese, accordi, paren obbligatori e facoltativi ecc, le regioni, cui la legge genérale sembra riconoscere ampi poteri di iniziativa, potrebbero certamente costituire un valido tramite tra gli enti locali «esponenziali» delle comunitá alloglotte interessate e i competenti organi statali centrali e decentrati.

Dal punto di vista sostanziale, peraltro, il profilo di cui si parla pare nascondere alcune incertezze di ordine più genérale, sulle quali sembra utile soffermare brevemente l'attenzione richiamando quanto giá si é avuto modoPage 152 di rilevare nei precedenti paragrafi in ordine alia «doppia natura» del problema della tutela minoritaria, di volta in volta prospettabile quale insieme dei problemi specifici dei cittadini appartenenti ai vari gruppi alloglotti sparsi nel nostro paese ovvero quale riflesso del più genérale problema della intro-duzione di una più corretta educazione lingüistica di tutti i cittadini nell'am-bito dei processi educativi e formativi.

Proprio a tale doppia natura del problema minoritario, con particolare riguardo alie misure di tutela incidenti suJTordinamento scolastico, e quindi sui processi educativi e formativi, sembra in definitiva possible ricondurre le incertezze in ordine alia ripartizione dei corrispondenti compiti di intervento tra «centro» e «periferia». Non v'e dubbio, infatti, che la valorizzazione del ruólo dei poteri Iocali anche in ordine a tale specifica forma di tutela risponda attualmente soprattutto all'esigenza di differenziare e adattare alcuni genera-lissimi principi alie esigenze, alie aspettative e alie eventuali giá reanzzate esperienze «spontanee» di tutela «lingüística» dei singoli gruppi; mentre la tendenza -recepita nel testo della Iegge genérale in vía di elaborazione- ad investiré dei compiti di precisazione delle concrete modalitá di organizza-zione e disciplina di tale misure direttamente il ministero della pubblica i-struzione -a prescindere dal rilievo che potranno assumere i pareri delle re-gioni, delle «istituzioni anche di natura associativa» e degli organi collegiali della scuola- sembrerebbe tutto sommato più funzionale alia seconda pro-spettiva d'intervento, per cui l'azione svolta in relazione alie esigenze di tutela dei gruppi linguistici alloglotti costituírebbe il primo passo verso una ben più incisiva e generalizzata riforma dei processi educativi e formativi con particolare riferimento all'educazione lingüistica di tutti i cittadini. É chiaro, tuttavia, che questa seconda prospettiva, per quanto affascinante possa risultare, rimane ancora tutta da scoprire e verificare e di essa sarebbe forse ingiusto fare carico ad un provvedimento di più ridotta portata, quale la Iegge genérale sulle minoranze Iinguistíche.

10. Gli indirizzi di tutela delle minoranze linguistiche accolti nel diritto internazionale e la rholuzione del Parlamento Europeo del 16 ottobre 1981

Una seconda serie di atti normativi dai quali é possibile ricavare, su tutt'altro piano rispctto a quello considerato nel parágrafo precedente, utili indicazioni per la precisazione degli indirizzi di tutela concernenti la mino-ranza albanese e le altre minoranze c.d. non riconosciute esistenti nell'ordina-mentó italiano é costituita dagli atti normativi di diritto internazionale con-venzionale e particolare concernenti la definizione dei principi di tutela delle minoranze linguistiche.

Per quanto concerne il diritto internazionale convenzionale occorre in verita rilevare súbito come le indicazioni da esso ricavabili ai fini che quiPage 153 interessano risultino, tutto sommato, assai limítate, e come una coerente attuazione dei principi generali accolti nel nostro ordinamento costituzionale consenta la realizzazione di forme di tutela assai più intense e compiute di quelle prefigurabili sulla base delle disposizioni generali in questione. II discorso meriterebbe senz'altro un maggior approfondimento che tuttavia lo porterebbe assai lontano dalle sue più limitate finalitá; per l'approfondimento di questo particolare profilo si rinvia dunque alie indicazioni bibliografiche forníte nelle note che seguono. Molto sintéticamente si puo comunque osser-vare come nel quadro del complesso dei Patti sui diritti dell'uomo adottati nelTambito delTONU non si sia mai giunti all'approvazione di una «dichiara-zione» specificamente dedicata ad enunciare le misure da adottare da parte degli stati aderenti all'organizzazione ai fini della tutela delle minoranze etni-co-linguistiche, nonostante gli ampi e approfonditi studi in tal senso condot-tim e nonostante la elaborazione, da parte di qualificati esperti, di diversi progetti di dicbiarazione;130 le ragioni dell'insucesso di tali progetti sonó del resto evidenti e vanno ricefcate soprattutto nella oggettiva difficoltá di rias-sumere orgánicamente e coerentemente una serie di principi giuridici capad di offrire adeguate risposte su scala mondiale alie molteplici esigenze e ai conflíggenti interessi politici dei numerosissimi gruppi etnico-linguistici mi-noritari esistenti nei vari continenti e in ordinamenti retti dai più diversi regimi politici.

Le stesse ragioni, che, peraltro, rendono non poco difficoltosa la redazione di simili atti anche su base politico-geografica più limitata (come, ad esempio, alio stesso livello europeo), hanno contribuito a rendere scarsamente coerenti ed anzi per certi aspetti abbastanza contraddittori i pochi e generalissimi principi concernenti la tutela delle minoranze etnicolinguistiche enunciati nei vari Patti menzionati e nella stessa Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: infatti, considerando la Dichiarazione e i diversi Patti successivamen-Page 154 te adottati come partí di un disegno unitario/31 é stato autorevolmente sotto-Iineato come l'indirizzo accolto nella Dichiarazione universale (art, 1) e in varié disposizioni dei successivi Patti volto a risolvere la tutela delle minoranze nello sviluppo dei diritti individuali fondamentali, mediante l'afferma-2ione del principio di eguaglianza di tutti gli índividui e del divieto di discri-minazione per motivi di lingua, di razza o di «origine nazionale», si ponga più o meno manifestamente in conflitto con la previsione di cui all'art. 27 del Paito dei diritti civtli e politici, adottato nel suo complesso nel '66, se-condo la quale la tutela delle minoranze linguistiche presuppone anche l'ado-zione di misure di car atiere «positivo», nel senso che giá si é avuto modo di precisare, e cíoé volte a consentiré che «le persone appartenenti alie minoran-ze» non possano «essere private del diritto di avere, in comune con gli altri membri del proprio gruppo, la propria vita cultúrale ... o di impiegare la propria lingua».132

Le altre disposizioni contenute nei Patti sui diritti dell'uomo adottati dall'ONU, rilevanti ai finí della precisazione delle misure di tutela delle minoranze linguistiche, appaiono cosi riconducibili all'uno o all'altro dei due indirizzi e risulta spesso tutt'altro che agevole ricostruire un quadro normativo coerente: portando alie estreme conseguenze l'indirizzo tendente a risolvere la tutela delle minoranze nello sviluppo dei diritti individuali di liberta e nel divieto di discriminazione per motivi di lingua, infatti, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale adottata dal-l'Assemblea delTONU nel '65, ed oggi in vigore, afferma all'art. 1.4 che non costituiscono misure discriminatorie le misure speciali prese per assicurare il progresso di determinad gruppi razziali o etnici al fine di garantiré l'egua-glianza nel godimento dei diritti dell'uomo, purché tuttavia non ne derivi il mantenimento di «diritti distinti» per gruppi razziali diversi e purché le misure speciali stesse non restino in vigore dopo aver raggiunto gli obbiettivi che si proponevano;133 viceversa, conformemente alTindirizzo accolto all'art. 27 del Paito dei diritti civtli e politici, la Convenzione dell'UNESCO sulla lottaPage 155 contro la discriminazione nel campo dell'insegnamento, del 1960, sancisce espressamente il riconoscimento di misure di tutela «positiva» delle minoranze linguistiche ispirate al principio del «separatismo lingüístico», prevedendo il diritto degli appartenenti alie minoranze linguistiche di esercitare proprie at-tivitá educative, compreso l'uso e Pinsegnamento della propria lingua (art. 5.1 c) e, più in genérale, il riconoscimento della possibilitá che «per motivi di ordine religioso o lingüístico» siano créate istituzioni scolastiche sepárate, purché facoltative (art. 2 b).

La difficoltá di armonizzare plenamente le indicazioni ricavabili da tali atti normativi spiega dunque perché la dottrina abbia potuto rilevare come i principi generali dell'ordinamento costituzionale italiano e le stesse soluzioni accolte nell'ordinamento positivo in favore di alcuni gruppi consentano la realizzazione di forme di tutela assai più intense ed efficaci di quelle prefigu-rabüi in base a tali atti internazionali.134 Tanto che nel nostro ordinamento, proprio in relazione al particolare sviluppo che hanno ricevuto anche in re-lazione alia tutela cklle minoranze linguistiche i principi del pluralismo isti-tuzionale e della valorizzazione delle formazioni sociali, non mancano neppure esempi di forme di tutela volte a riconoscere situazioni giuridiche attive ai gruppi minoritari in quanto tali piuttosto che ai singoli individui appartenenti al gruppo minoritario; indirizzo puré sostenuto, de jure condendo, a livello di diritto internazionale (ad esempio dalla citata proposta di Dichiarazione presentata all'ONU dalla Jugoslavia) ma che tuttavia sembra fino á questo momento aver trovato un consenso assai limitato.135

Mentie piuttosto ridotta appare l'incidenza in materia della Convenxione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, la quale merita peraltro di essere segnalata in quanto, nel riaffermare il divieto di discriminazione per motivi, tra gli altri, cü lingua e di razza, si riferisce espressamente agli appartenenti alie minoranze linguistiche,136 l'atto internazionale di maggiore inte-resse -sebbene di portata più limitata dei precedenti fin qui chati sia sulPage 156 piano giuridico che per l'ambito territoriale- é senz'altro costituito dalla risoluzione votata dal Parlamento Europeo il 16 ottobre 1981 su una «Carta comunitaria delle litigue e culture regionali e una Carta dei áiritti delle minoranze etniche»: tale risoluzione sembra infatti essere Púnico documento ufficiale nel quale ha trovato pieno riconoscimento quella tendenza alia sal-datura tra il processo di riscoperta delle minoranze linguistiche ed il processo di sviluppo delle autonomie regionali e locali in ordine alia quale si é avuto a lungo modo di soffermare l'attenzione sottolineando la c.d. dímensione europea dei fenomeni minoritari e la sua particolare rilevanza ai finí delle prospet-tive di tutela delle minoranze non riconosciute esistenti nel nostro paese.137 Se gia si é detto del ruólo potenzialmente assai incisivo che le autonomie regionali e locali possono svolgere ai fini della tutela di tali gruppi, per comprendere meglio l'importanza del riconoscimento ufficiale di tale ruólo ope-rato -si dirá tra breve in quali termini- dalla cítata risoluzione é sufficiente ricordare come i vari documenti della Conferenza delle autorita regionali e locali del Consiglio d'Europa, fino alia nota Dicbiarazione di Bordeaux del 1978,138 definendo la regione quale comunitá umana «caratterizzata da orno-geneitá storica, cultúrale, geográfica o económica, o dalla combinazione di esse, che conferisce alia popolazione unitá nel perseguimento di fini ed interessi cotnuni», seppure con molía cautela hanno da tempo proposto di individuare le regioni quali enti politici titolari delle responsabilitá in ordine alia tutela delle minoranze linguistiche.139Page 157

In effetti, a prescindere dalla sua limitata rilevanza giuridica, oltre che per il fatto di costituire uno dei pochi atti internazionali multilaterali orgánicamente dedicati al problema deÜa tutela giuridica delle minoranze, la riso-luzione costituisce un evento di particolare rilievo politico per due ordini di ragioni. In primo luogo, se é vero che il Parlamento Europeo non ha il po-tere di legiferare al di sopra deí parlamenti nazionali, il suo alto grado di rappresentativitá conferisce alie direttive da esso emanate un'autoritá política che non puo essere in alcun modo trascurata né daglí altri organi comunitari né dagli stessi parlamenti degli stati membri: frutto di un intenso ed appas-sionato dibattito, la risoluzione, rivolgendosi alie istituzioni comunitarie, ai governi nazionali e ai poteri regionali e locali, non vuole infatti rimanere soltanto una dichiarazione di principi, per pregevoli che questi siano, ma in-tende costituire il principale strumento di una política comunitaria di tutela e di valorizzazione delle lingue e delle culture minoritarie e locali.

L'altra circostanza degna di attenzione sta proprio nel realismo politico che ispira il contenuto della risoluzione: il Parlamento Europeo é plenamente consapevole della grande varietá di situazioni e di modelli di organizzazione delle autonomie regionali e locali esistenti nelT ámbito della comunitá; a fronte di questa varieta, la risoluzione si limita a proporre una serie di obbiettivi concreti e realistici per una política di difesa e valorizzazione delle culture e delle lingue locali, dando nel contempo alcune indicazioni di massima sugli strumenti istituzionali per la sua realizzazione.

Tra i primi, vengono indicati, nel campo deü'istruzione, l'insegnamento delle culture regionali e, ove tale esigenza sia espressa dalla popolazione, l'jn-segnamento nelle lingue regionali; nel settore dei meizi di comunicazione diPage 158 massa, l'accesso alia radio e alie Tv Iocali e la concessione di aiuti organizzativi e finanziari per la realizzazione di manifestazioni culturali in misura propor-zionale a quella di cui fruiscono le maggioranze; nel campo della vita pubblka e delle relazioni sociali, la possibilitá di esprimersi nella lingua regionale con i rappresentanti dello stato e dinanzi agli organi giudiziari, Riguardo agli strumenti, la risoluzione chiede innanzitutto che i poteri Iocali vengano inve-stití della «responsabilitá diretta» in tali materie, e che contemporáneamente, per quanto possibile3 si favorisca la corrispondenza fra tegioni culturali e disegno geográfico dei poteri Iocali.

Rifiutando ogni tentazione ideologistica, micronazionalistica, o, peggio ancora, di matrice razzista, la risoluzione si muove insomma nella direzione di quel pluralismo linguistico-culturale che, come si é giá più volte affermato, pare costituire Túnica forma di difesa e valorizzazione delle culture minori-tarie corrispondenti ai principi di liberta e democrazia, in forza dell'idea che ogni espressione linguistico-culturale debba essere difesa non in quanto fattore di contrapposizione dei gruppi sociali, ma, mediante un comune sforzo di comprensione reciproca, quale strumento di arricchimento delle singóle comu-nitá nazionali e dell'intera collettivitá europea.

11. Il lungo iter di elaborazione della legge genérale sulle minoranze lin-guistiche: dalle prime proposte al testo unifícalo di progetto approvato dalla Commissione affari costüuzionaii della Camera Una conclusione «aperta», con un po' di ottimismo

Il lettore che abbia avuto la pazienza di seguiré il tortuoso cammino del discorso sin qui svolto -tortuoso, d'altronde, quanto contraddittorie e con-torte risultano le vicende connesse alia realizzazione del principio di tutela delle minoranze Knguistiche- certamente non faticherá ad immaginare le ragioni per cui un provvedimento la cui «doverositá» e la cui «logicitá» ap-paiono in via teórica del tutto evidenti e pacifiche abbia avuto ed abbia tutto-ra una gestazione tanto faticosa e difficile; e se la circostanza che a qualche anno dalla «formalizzazione» parlamentare dei primi progetti di legge gene-rale sulle minoranze Iinguistiche in sede di Commissione affari costituzionali della Camera, dopo una lunga e approfondita discussione si sía riusciti ad otte-nere il consenso di massima delle principali forze politíche intorno ad un testo sicuramente perfezionabile ma comunque accettabile autorizza qualche considerazione ottimistica sulle prospettive di attuazione dell'art. 6 Cost. in favore di tutte le minoranze non riconosciute, la prudenza consiglia di svol-gere tali considerazioni assai sotnmessamente e con molta cautela, quasi ad esorcizzare il timore che nuove diffidenze e ostacoli imprevísti vanifichino i risultati finora raggiunti.

In ordine alie motivazioni, alie finalitá e alia struttura giuridica del provvedimento si é avuto più volte l'occasione di soffermare I'attenzione; né sem-Page 159 bra di qualche utilitá tentare di ricostruire -posto che sia possibile- la «paternita» política e ideológica del provvedimento. La sua genesi, databile nella seconda meta degli anni '70, appare effettivamente il frutto della con-vergenza di studi, proposte e circostanze tutt'altro che occasionali: occorre infatti rilevare che tali studi e tali proposte, pur prospettando soluzioni concrete e relativi strumenti giuridici di attuazione anche assai divergenti, muo-vevano tutti dallo stesso presupposto ístituzionale, e cioé dalla necessitá di sbloccare la situazione per cui, a fronte di una crescente «domanda» di rico-noscimento giuridico da parte di alguni gruppi linguistici minoritari, sembra-vano del tutto privi di «credibilitá» política i ricorrenti quanto vaghi progetti di legge statale concernenti questo o quel gruppo, mentre incontravano la dichiarata ostilitá governativa i più realistici progetti di legge regionale sui quali si era nel frattempo concentrata l'attenzione del movimento d'opinione favorevole ad attuare il disposto dell'art. 6 anche in favore di tali gruppi. In questo senso, benché nella attuale struttura giuridica del provvedimento non sia difficile riconoscere la matrice propria di una delle prime proposte, ed in particolare di una delle bozze iniziaU della proposta comunista (la meglio strutturata dal punto di vista tecnico-giuridico) si puó certamente diré che il «mérito» dell'iniziativa va ripartito in parti uguali tra tutti coloro che hanno in qualche modo contribuito, mediante studi, ricerche, proposte, dibattiti, ecc, a creare le condizioni oggettive -e i presupposti di partenza erano certa-mente poco favorevoli- perché essa potesse a mano a mano concretizzarsi.140 Quanto al vero e proprio iter parlamentare della legge, esso ha avuto inizio nel corso della VII legislatura, quando Ton. De Carneri si fece promotore di alcune ricerche preliminari, cúrate poi dalTUfficio studi della Camera, in or-dine alie prospettive di attuazione dell'art. 6 Cost.: nell'ambito di tali ricerche furono commissionati ad alcuni esperti due studi, uno, redatto poi da G. B. Pellegríni e T. De Mauro, sugli aspetti linguistici, e l'altro, redatto da A. Piz-zorusso, sui proiili giuridico istituzionali, nel quaíe veniva appunto per la prima volta prospettata l'ipotesi di una legge genérale configurabile quaíePage 160 «statuto delle minoranze»;141 alia fine del '76 venne ínoltre formalizzata alia Camera una prima proposta di «legge genérale» ad iniziativa di Mellíni e altri (P.R.) per la «Tutela dei cittadini della Repubblica di lingua diversa da quella italiana e delle minoranze linguistiche»,142 mentre non ebbero alcun seguito parlamentare un progetto di legge elaborato dalla AIDLCM per la «Tutela delle minoranze linguistiche delTItalia nord oriéntale tedesca, slovena e friu-lana», nonché un progeíto dell'on. Lizzero tendente a riconoscere alie regioni competenza legislativa e amministrativa in materia di tutela delle minoranze linguistiche.143

Sciolto il Parlamento nel 79, nel corso della VIII legislatura furono preséntate alia Camera ben tre proposte di legge genérale: una, di iniziativa di Pannella e altri deputati (P.R.), la n. 107 del '79, abbastanza simile alia precedente; una di iniziativa di Sacconi e altri (PSI), la n. 2068 del '79, del tutto nuova; e una, infine, di iniziativa di Spagnoli e altri (PCI), la n. 2318 del 1981, che riprendeva il testo di varié bozze elabórate sin dal '79 da alcuni esperti e parlamentan di tale partito. É interessante osservare che i testi in questione, a parte alcune differenze relativamente alie modalitá di attuazione delle varié misure e ai criteri di identificazione dei gruppi minoritarí destina-tari delle medesime, presenta vano una notevole omogeneitá circa i contenuti e le finalitá della tutela, il che lasciava ben sperare per l'immediato futuro. In particolare, il progetto socialista propendeva per l'identificazíone nomínale delle situazioni minoritarie, definite «comunitá di lingua non italiana d'origine tedesca, francese, catalana, slovena, serbocroata, albanese, greca, occitano pro-venzale, ladina e ladina friulana» considérate «nelle rispettive zone di inse-diamento tradizionale»: ai cittadini appartenenti a tali comunitá erano quindi riconosciute le consuete misure di protezione (diritto all'uso della «lingua d'origine», diritto all'insegnamento di tale lingua ecc.) secondo criteri analo-ghi a quelli seguiti dagli altri due progetti. II progetto radicale prevedeva invece due forme di tutela differenziata: la prima (limitata al riconoscimento del diritto all'uso della «lingua d'origine» nei rapporti con i pubblici uffici, del diritto di prestare il servizio militare di leva in reparti dove potesse essere utilizzata la rispettiva lingua d'origine, e del diritto alia riacquisizione del cognome originario in precedenza italianizzato) era riconosciuta ad ogni citta-diño di «lingua diversa da quella italiana» nei luoghi ove «l'uso di tale lingua é usuale anche se non prevalente»; a tal fine veniva fomito anche un elenco delle lingue considérate comunque minoritarie (si trattava in pratica delle stesse indícate nel progetto socialista, con la sola aggiunta del sardo). L'appli-cazione della seconda forma di tutela, di carattere più ampio, era invece su-Page 161 bordinata all'attivazione di comuni, province e regioni, le quali ultime dove-vano determinare le zone in cui é «abituale anche se non prevalente Tuso di lingue diverse da quella italiana» ai fini dell'applicazione di un ulteriore pac-chetto di misure, comprendente il bilingüismo nella toponomástica e negli atti della pubblica amministrazione e l'istituzione di scuole che avrebbero utiliz-zato la lingua minoritaria come strumento di insegnamento.

Ancor più articolato il progetto comunista: esso si presentava ínfatti alio stesso tempo come legge di adegu amento della normativa statale vigente (con partícolare riferimento all'ordinamento scolastico) e come legge cornice e legge delega rispetto agli ulteriori interventi legislativi delle regioni ordinarie; le sue disposizioni costituivano inoltre dei principi general! dell'ordinamento e, come tali, un limite alia potestá legislativa primaria delle regioni a statuto speciale. Il progetto non escludeva infatti che queste ultime emanassero ulteriori misure di tutela minoritaria; viceversa, le disposizioni della legge gene-rale si sarebbero applicate anche ai gruppi línguistici giá formalmente tutelan qualora avessero previsto trattamenti ad essi più favorevoli.

L'aspetto più interessante del progetto consisteva pero nei particolari pro-cedimenti mediante i quali i gruppi minoritari, rappresentati dagli organi dei comuni e delle circoscrizioni o da associazioni appositamente costituite, avrebbero adito i vari organi statali o locali competenti a prowedere circa l'attua-zione delle misure di tutela. Talí tipi di procedimenti mirano infatti á garantiré sia Teíficacia e la rapiditá d'attuazione dei prowedimenti, sia l'attivazione degli enti locali interessati, e permettono altresl ai gruppi minoritari di manifestare quelTanimus comunitario che costituisce uno dei presupposti fonda-mentali della loro tutela.

Questa oggettiva convergenza di posizioni -almeno da parte di alcune forze politiche- consentiva dunque alia Commissione affari costituzionali della Camera di iniziare finalmente la discussione dei vari progetti concernenti la tutela delle minoranze, vale a diré i tre progetti sopra menzionati, più tutu quelli concernenti singoli gruppi che nel frattempo si erano «accumulati» in commissione. Le scelte di quest'ultima in mérito all'ordine dei la vori si sonó in effetti rivelate felici: in prática, i commissari decisero di stralciare ed esa-minare separatamente le varié proposte di legge costituzionale (in quanto implican modificazioni agli statuti speciali del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia) concernenti i ladini ed i friulani, di attendere le deci-sioni del Senato relativamente alie numeróse proposte riguardanti gli sloveni, e di costituire nelTámbito della commissione stessa un comitato ristretto con il compito di elaborare un testo unificato di progetto per tutte le altre proposte, alio scopo di ottenere il consenso del maggior numero possibile di partiti. In pratica, stando alie dichiarazioni del relatore Fortuna, giá verso la fine del 1982 era stato raggiunto un accordo di massima intorno alia solu-zione della legge genérale e a buona parte del suo contenuto.144

La fine ariticipata della legislatura non consentí al comitato ristretto di portare a termine la propria attivitá ma, grazie alia presenza nella commissio-ne di nuova nomina di alcuni promotori della precedente iniziativa, nel no-vembre del 1983 il lavoro poté praticamente essere ripreso al punto in cui si era interrotto con lo scioglimento dell'VIII legislatura.

Il processo di elaborazione del testo unificato in sede di Comitato ristretto non é stato, tuttavia, né particolarmente rápido né senza contrasti, come era del resto facile prevedere; la prima bozza predisposta dal relatóte Fortuna nella primavera del 1984, assai cauta e certamente «riduttiva» rispetto alie «aperture» contenute nelle originarie proposte di Iegge genérale, fu tra l'altro oggetto di numeróse critiche da parte delle stesse più autorevoli associazioni di difesa dellá minoranza albanese di Calabria, la giá ricordata Lega Italiana ¿i difesa della Minoranza Albanese e YAssociazione Insegnanti Albanesi d'I-taita (A.I.A.D.I.). In un documento congiunto,145 infatti, le due associazioni stigmatízzaronó innanzitutto la stessa lógica del provvedimento, volto a «isti-tuzionalizzare» il.ruólo «subalterno» e «complementare» in cui si tendeva ad esaurire la tutela degli idiomi minoritari attribuendo a tali idiomi una fun-zione di mero «arricchimento» della lingua e della cultura «superiori»; quanto alie concrete soluzioni prospettate dalla proposta, le due associazioni censu-ravano soprattutto la scelta di subordinare l'applicazione delle misure di tutela al preventivo assenso degli interessati (art. 3 della bozza), le disposizioni concernenti Tuso veicolare delTidioma minoritario nelle scuole delTobbligo -subordinato all'assenso preventivo dei genitori laddove tale uso strumen-tale era giá largamente utñizzato spontaneamente da tutti gli insegnanti che conoscono l'albanese-, la mancata previsione in vía obbligatoria dell'insegna-mento della lingua minoritaria anche attraverso lo «studio compárate con la lingua italiana», e, infine, la circostanza che la citata bozza non sembrava tener contó che, in base al d.m. 20 luglio 1983 istitutivo delle classi a «tera-po prolungato», le materie «integrative» devono essere impartite dagli stessi docenti titolari delle materie curricolari, rendendosi dunque necessaria l'isti-tuzione di corsi di insegnamento della lingua minoritaria da parte dei docenti appositamente abilitati.

Tuttavia, a parte tali non trascurabili rilievi, dettati anche dalla circostanza più volte sottolineata che la minoranza di lingua albanese in Calabria aveva giá potuto sperimentare con un certo successo concrete esperienze di tutela organizzate in via spontanea, delle quali il provvedimento in questione non sembrava tenere debito contó, si puó diré che la fase più critica del processoPage 163 di elaborazione del progetto di legge si é avuta al momento del passaggio della discussione del testo unificato dalla sede del comitato ristretto a quella della stessa commissione, in quanto, a seguito dei vari emendamenti presentad al nuovo testo approvato dal comitato il 31 luglio 1984, il relatore on. Fortuna aveva sottoposto aU'esame della commissione un ulteriore testo, da lui stesso predisposto, che accoglieva parcialmente alcuni emendamenti «riduttivi» di varié misure di tutela presentad nel frattempo dal governo e sostenuti da DC, PLI, PRI e PSDIj suscitando le proteste dei sostenítori del testo concordato in sede di comitato, ed in particolare dei comunisti. Per quanto si puó desuniere dai documenti disponibili,146 sembraj in sostanza, che il testo elaborato dal comitato ristretto nel luglio '84 fosse dbvuto soprattutto alia convergenza delle posizíoni di socialisti e comunisti -i cui progetti originan erano, come giá rilevato, abbastanza vicini-, mentre i rappresentanti degli altri partiti, pur concordando in linea di massima sul suo contenuto, avevano manifestato riserve e perplessitá in ordine a talune soluzioni; queste riserve sonó riemerse sotto forma di emendamenti, presentad dallo stesso ministro per gli affari regionali Vizzini e da altri esponenti di alcuni partiti di governo in commissione, ed hanno indotto il relatore Fortuna a tentare una soluzione di cotn-promesso, tendente a salvare l'ampio accordo iniziale. Principale oggetto della protesta comunista nei confronti del c.d. testo-Fortuna, del gennaio '85, era la nuova redazione delle disposizioni relative all'«apprendimento e all'uso della lingua lócale» nelle scuole dell'obbligo, che venivano in pratica subordinad al preventivo assenso del 20 % degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni interessati (art. 2, secondo cotnma del testo), nonché ad apposita richiesta dei genitori dell'alunno all'atto dell'iscrizione dei figli alie scuole (art. 3, u.c, del medesimo progetto); altre soluzioni «riduttive» rispetto al testo piedisposto dal comitato (secondo il quale l'insegnamento e l'uso della lingua lócale dovevano essere attuati automáticamente in tutti i comuni preventivamente identificad dalle regioni come zone di residenza della minoran-za) riguardavano l'uso órale della lingua minoritaria nei rapporti con l'ammi-nistrazione -notevolmente limitato dal testo-Fortuna- e nella toponomástica -limitato alia sola segnaletíca comunale-.

La situazione che si era venuta a creare imponeva dunque la riapertura della discussione sull'intero progetto unificato, ad iniziare dallo stesso «titolo» del provvedimento, discussione che impegnava i lavori della commissione per numeróse sedute nei mesi di febbraio, marzo e aprile di quest'anno, fino alia emanazione dell'attuale testo, del quale si cercherá di illustrare sintéticamente il contenuto.Page 164

Tenuto contó delle oggettive difficoltá, del complesso delle vicende isti-tuzionali concernen ti l'attuazione dell'art. 6 Cost., delle chiusure governative nei confronti delle iniziatíve regionali, del contraddittorio atteggiamento assun-to da alcune forze politiche, il giudizio cotnplessivo sul testo finale approvato dalla commissione -e fatte dunque salve le modifiche che potranno essere apportate in sede di votazione del prowedimento in assemblea e quindi al Senato- non pu5 che essere positivo; e se é vero che talune critiche a suo tempo avánzate dai xappresentanti della minoranza albanese e, più di recente, dai deputati comunisti delusi dal c.d. testo-Fortuna non hanno trovato piena accoglienza, é pur vero che fin dallo stesso titolo -ritórnalo ad essere quello originariamente accolto nella proposta comunista, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche», in luogo del più riduttivo «Norme in materia di eguaglianza dei diritti linguistici»- il nuovo testo sembra voler decisá-mente respingere ogni più o meno manifesta tendenza a limitare l'effettiva por tata del prowedimento.

Il nuovo testo si apre con l'indicazione, desunta dai primi tre progetti di legge genérale, dei gruppi minorüari cui sonó destínate le misare di tutela previste dal prowedimento, vale a diré le popolazioni «di origine» albanese, catalana, germánica, greca, slava e zingara, quelle «parlanti» il ladino, il fran-co-provenzale e l'occitano (art. 1, primo comma) e con Pindicazione, quale oggetto di tutela, della «lingua e della cultura delle popolazioni friulane e sarde» (art. 1, serondo comma): occorre al riguardo notare che la differenzia-zione in tre gruppi delle minoranze destinatarie del prowedimento non ha particolari conseguenze giuridiche, ma discende piuttosto dal necessario rife-rimento ai testi dei vari progetti unifican nell'attuale proposta, alcuni dei quali erano specitlcainente volti alia tutela dei friulani e dei sardi; nonostante le riserve sollevate dalle regioni interessate -soprattutto dalla Sardegna-, la commissione ba ritenuto opportuno includere nella legge genérale anche le suddette popolazioni. A completamente del quadro dei gruppi minoritari desti-natari delle misure di tutela, I'art. 18, primo e secondo comma, dispone che le misure previste dalla legge non si applichino ai gruppi linguistici tutelati dagli statuti speciali del Tren tino Alto Adige e della Valle d'Aosta, ma, acco-gliendo in parte la soluzione prospettata da una delle prime bozze di legge genérale, dispone altresl che le «eventuali disposizioni più favorevoli» si applichino anche a questi ultimi «nei modi previsti dagli statuti speciali» stessi; ció che puó risultare di notevole interesse per la comunitá Walser della Valle d'Aosta e per i ladini della provincia di Trento. Corrisponde invece ad una espressa richiesta dei rappresentanti della minoranza l'esplicita esclusione degli sloveni di cui all'art. 18, terzo comma; per questi, infatti, come si e giá ricordato é attualmente in discussione al Senato un apposito prowedimento di tutela «globale» (in conformitá a quanto previsto dall'art. 8 del Trattato di Osimo, ratificato con legge 14 marzo 1977, n. 79), la cui appro-vazione sembra peral tro né pacifica né imminen te.Page 165

Ma ai fini della individuazione dei destinatari delle misure di tutela, la vera e propria «norma chiave» del provvedimento é senza dubbio costituita dall'art. 2 nel cui primo comma, troncando di netto ogni discussione in ordine alTutilitá e all'opportunitá di predisporre in via genérale appositi procedimen-ti per verificare in via preventiva il c.d. animus comunitario degli appartenenti a ciascun gruppo minoritario, si dispone che «l'ambito territoriale» in cui trovano applicazione le misure di tutela previste «é delimitato con decreto del Presidente della giunta regionale, previa deliberazione della giunta stessa».

Assai opportun amenté, proprio al fine di consentiré seppure in forma in-diretta la verifica di tale volonta, l'art. 2 secondo comma stabilisce tuttavia che siano le regioni interessate, con propria legge, a disciplinare il procedi-mento per l'adozione del decreto, prevedendo in ogni caso che: a) esso sia promosso dai cittadim iscritti nelle liste elettorali dei comuni interessati; b) che in ordine a tale delimitazione sia sentito il parere dei comuni; c) che il provvedimento debba essere adottato qualora sussistano le condizioni mi-nime previste dalla legge. Questa disposizione pone drásticamente fine al contenzioso stato-regioni ordinarie (e speciali) circa la tutela delle rispettive minoranze línguistiche ed investe le regioni di una funzione -pur attribuen-dogliene anche altre, come si vedrá, tutt'altro che trascurabili- che risulta di capitale importanza. Vale inoltre la pena di sottolíneare come la soluzione accolta nel secondo comma dell'art. 2 sembri costituire un equilibra to com-promeso tra l'indirizzo volto a subordinare l'attuazione delle misure di tutela alia verifica preventiva della volonta degli appartenenti alia minoranza e l'indirizzo tendente -a fini di garanzia dell'effettivitá della tutela stessa- ad «automatizzare» per quanto possibUe l'attuazione delle misure: infatti, posto che, come si e avuto modo di rilevare,147 adeguate forme di verifica del c.d. animus comunitario risultano del tutto coerenti con i principi fondamentali accolti nel nostro ordinamento costituzionale, pare altrettanto coerente con tali principi che siano le regioni ad individuare, con riferimento alie esigenze, alia consistenza e al tipo di diffusione proprio di ciascun gruppo, gli oppor-tuni strumenti procedimentali e le modalitá di svolgimento di tale verifica.

Negli art. 3-6 il progetto disciplina quindi l'uso e l'insegnamento ¿elle lingue minoritarie nelV ámbito dei processi educativi e formativi, anche in questo caso realizzando una sorta di compromesso -che pare in veritá assai «aperto» e comunque accettabile- tra gli indirizzi «estensivi» e quelli più «riduttivi» espressi nei vari progetti originan e nelle precedenti formulazioni dello stesso testo unificato di progetto.

In particolare, l'art 3, primo comma, stabilisce che «Nelle scuole máteme ed elementan dei comuni indicati ... l'educazione lingüistica prevede Pappren-Page 166 dimento della lingua lócale e Puso della stessa in via strumentale, al fine della migliore cognizione delle materie, nonché Finsegnamento delle forme espres-sive dell'infanzia, la lettura e le esetcitazioni relative agli argomenti concernenti gli usi, i costumi e le tradÍ2Íoni delle comunitá locali»; al secondo com-ma si aggiunge che «Nelle scuole medie dell'obbligo degli stessi comuni é previsto l'insegnamento della lingua lócale a richiesta degli interessati». Secondo un orientamento che risulta del tutto coerente con la natura di Iegge statale del provvedimento e con l'attuale assetto della ripartizione delle com-petenze tra stato e regioni, lo stesso art. 3, al terzo comma, dispone che «I programmi e gli orari relativi alia educazione lingüistica saranno fissati con decreto del ministro della pubblica istruzione, sen tito il consiglio nazionale della pubblica istruzione e tenuto contó dei criteri di gradualitá in relázione alia disponibilitá di personale insegnante e di materiale didattico»; in virtü dell'art. 3, quinto comma, lo stesso decreto provvede a disciplinare forme e modalitá per Tesonero degli alunni dalle misure concernenti l'apprendimento e l'uso della lingua lócale (nelle scuole elementan, ove esse sonó altrimenti obbligatorie), ovvero per la richiesta di tali misure (nelle scuole medie, ove esse sonó invece attuate a richiesta). II decreto provvede altresl a definiré i requisiti di nomina degli insegnanti «i quali, ove necessario, possono essere incaricati in sede lócale anche in deroga alie norme generali sul conferimento degli incarichi di insegnamento» (art. 3, ultimo comma); l'art. 6 dispone comunque che i vari I.R.R.S.A.E. competenti provvedano, con appositi corsi e con la collaborazione delle universitá, alia formazione e alTaggiornamento degli insegnanti.

A parte quest'ultima disposizione, risulta evidente la completa «stataliz-zazione» della disciplina dell'uso e delTinsegnamento delle lingue nell'ambito dei processi educativi e formativi, conformemente -lo si é più volte rileva-to- all'attuale assetto delle competenze statali e regionali in materia scolasti-ca: se ció puó apparire «punitivo» nei confronti delle esperienze di tutela giá realizzate con l'apporto degli enti regionali e locali in via più o meno «spontanea» -ed é quésto certamente il caso di alcuni comuni albanesi di Calabria- occorre rilevare che lo stesso art, 3, quarto comma, stabilisce che il decreto ministeriale sia adottato previa consultazione: a) delle regioni; b) delle «istituzioni, anche di natura associativa, interessate alia valorizzazione della lingua e della cultura da tutelare»; c) degli organi collégiali della scuola bperanti negli ambiti territoriali interessati.

A completamente del quadro normativo concernente Yeducazione lingüistica, si deve ancora ricordare che nei comuni interessati, secondo l'art. 1 del progetto, «la cultura e le tradizioni locali costituiscono materia di insegnamento obbligatorio nell'ambito degli insegnamenti di storia, geografía, educazione musicale, artística e técnica» impartiti nelle scuole dell'obbligo, nei corsi serali per lavoratori e nei corsi di educazione permanente secondo programmi e orari stabiliti da apposito decreto ministeriale adottato secondo le predette modalitá; iniziative circa lo studio delle lingue minoritarie possonoPage 167 essere inoltre adottate nell'ambito della c.d. «sperimentazióne» didattica (art. 5).

La disciplina concemente I'uso delle litigue minoritarie é contenuta agli artt. 7-11 della "legge secondo modalitá che, nel complesso, appaiono del tutto soddisfacenti e corrispondono pienamente a quella lógica del «doppio livello» di tutela su cui si é giá avuto a lungo modo di soffermare l'atterizione,148 senza risultare in qualche modo limitative delle giuste aspirazioni delle popolazioni interessate. In particolare, l'art. 7 consente Tuso della lingua minoritaria nello svolgimento delle attivita degli organi comunali, circoscrizionali e collegiali della scuola nei comuni interessati, prevedendo tuttavia che, non potendosi disporre di un servizio di traduzione, «sonó prive di effetti giuridici le di-chiarazioni che non siano espresse anche in lingua italiana»; peraltro, i con-sigli comunali, in virtü di quanto dispone l'art. 8 del progetto, possono deliberare di provvedere, a proprie spese, alia pubblicazione nella lingua minoritaria -fermo restando il valore légale dei testi redatti in lingua italiana- degli atti ufflciali di stato, regioni, comuni ed enti pubblid non territoriali (art. 8). Nei comuni interessati -ma, a quanto pare, in riferimento a tutti gli uffici pubblici e non solo a quelli comunali- «al fine di agevolare íl rap-porto coi cittadini» l'art. 9 consente Tuso órale della lingua minoritaria negli uffici della pubblica amministrazione.

Ancora in tema di uso della lingua, ma questa volta con riguardo alia toponomástica, i consigli comunali possono deliberare l'adozione di «toponimi conformi alie tradizioni e agli usi locali»; poiché la toponomástica costituisce materia attribuita alia competenza legislativa regionale, Fart. 10 prevede opportunamente che le modalitá di attuazione di tale misura siano stabilite con legge regionale. Un adeguamento della normativa statale in tema di uso della lingua, con riferimento ai cognomi, é previsto dall'art. 11, il quale disciplina le modalitá secondo cui, mediante procedura semplificata e gratuita, gli' appartenenti alie minoranze i cui cognomi o nomi siano stati in passato italianizzati possono ottenere, sulla base di adeguata documentazione, il prov-vedimento della Corte d'appello ripristinante la forma originaria di cognomi e nomi.

In tema di mezzi di comunicazione di massa, l'art. 12 prevede che nell'ambito del servizio pubblico radiotelevisívo gestito dalla RAI-TV siano incluse trasmissioni destínate alie popolazioni minoritarie: tali programmi saranno determinati mediante convenzioni fra il suddetto ente e le regioni interessate, in base alie modalitá stabilite dalla Commissione bicamerale per i servizi radiotelevisivi. Per quanto concerne invece i mezzi di comunicazione privati, l'art. 14 dispone che le regioni possano destinare -come giá del resto an> piamente fanno- «in base a criteri oggettivi» contributi per gli organi diPage 168 stampa e per le emittenti prívate che «utilizzino una delle lingue ammesse a tutela».

Altre competente regiondi sonó poí previste agli artt. 13 e 16 del pro-getto: nel primo di essi, recependo un indirizzo delineato dai primi tre pro-getti di legge genérale, si stabilisce che le disposizioni dettate dalla legge genérale costituiscano «norme di principio» ai finí dell'adeguamento della le-gislazione regionale (naturalmente sia delle regioni a statuto ordinario che a statuto speciale) nelle materie di propria competenza; tale disposizione, per quanto scontata, appare di notevole rilevanza poiché apre la strada alia utiliz-zazione di tutte le compéleme regionali, comprese dunque quelle relative alio sviluppo económico, all'assetto e uso del territorio, alia organizzazione degli uffici e via dicendo, in funzione della tutela minoritaria, secondo un indirizzo ripetutamente suggerito dalla più autorevole domina,149 ma finora alquanto trascurato anche dalle regioni che hanno mostrato di avere più a cuore la sorte delle proprie minoranze linguistiche. L'art. ló dispone poí, quasi a le-gittimare a posteriori le iniziative giá da tempo assunte -e fortemente avver-sate dal governo, come si é visto- da alcune regioni, la creazione da parte di queste ultime di «appositi istituti per la tutela delle tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni interessate» o «la costituzione di sezioni auto-nome delle istituzioni culturali locali giá esistenti».

Una señe di disposizioni organizzathe e finanziarie completa, infine, il denso contenuto del progetto. In particolare, l'art. 17 dispone che i prowedi-menti regolamentari previsti dalla legge -e ció sembra riferirsi a quelli di competenza sia ministeriale che regionale, con la conseguenza che, essendo i due atti strettamente correlati, la disposizione dovrebbe concernere anche la legge regionale di cui all'art. 2 del progetto- siano emanati nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge, «sentite le regioni interessate». L'art. 15 stabilisce invece che le spese effettuate dai comuni per l'assolvi-mento degli obblighi derivanti dalla legge vengano rimborsate dallo stato, secondo le modalitá stabilite nei due commi successivr, nella misura del 75 % degli importi erogati; alia copertura finanziaria -in veritá abbastanza esigua--dei relativi oneri provvede poi l'art. 19, che chiude il testo del progetto.

Anche a seguito del più approfondíto esame sin qui condotto, rimane, in sostanza, l'impressione che questo testo costituisca quanto di meglio sia rea-listicamente possibile prospettare in funzione dell'attuazione dell'art. 6 Cost, in favore delle minoranze c.d. non riconosciute. Tale impressione é awalorata, tra l'altro, dalla circostanza che, al di lá dell'apparente «analiticitá» delle sue disposizioni, la legge si configura técnicamente quale vera e propria legge diPage 169 principi e lascia dunque ampio spazio alia ulteriore attivitá normativa sia degli organi statali -in primo luogo il ministero della pubblica istruzione- che delle stesse regioni: la suddetta configurazione dovrebbe in effetti consentiré di graduare notevolmente I'intensitá e la pottata delle misure di tutela; nulla vieta, ad esempio, che, in tema di uso e insegnamento della lingua, il ministro della P.I. e la regione interessata si accordino perché, in un primo momento, sia attuato soltanto il dísposto dell'art. 4 quale forma di intervento immediato che non ríchiede una troppo laboriosa attivitá preparatoria, e solo in un secondo momento, una volta approntati gli indispensabili e più com-plessi supporti organizzativi, si proweda all'attuazione delle misure previste all'art. 3; e ció nonostante che, nella ratio della legge, tali due tipi di misure appaiano strettamente correlati e non sembrino perianto preludere ad un sistema di interventi di tutela differenziati per intensitá.

In questo senso si puó quindi rilevare che la notevole elasticitá del testo approvato in commissione dovrebbe, per un verso, non turbare troppo i sonni di chi teme la natura «eversiva» di un siffatto provvedimento, e, alio stesso tempo, far apparire la legge un ottimo punto di partenza per tutti coloro che, all'apposto, ritengono opportuna e doverosa l'íntroduzione delle misure di tutela da essa previste.

Il discotso -e non poteva essere diversamente visto quanto si é avuto più volte modo di rilevare ín ordine alia natura ormai essenzialmente politica del problema della tutela giurídica delle minoranze «non riconosciute»- si sposta dunque sulle possibilitá, o, se si preferisce, sulle probabilitá che il provvedimento in questione venga effettivamente e in tempi brevi approvato in via definitiva dal parlamento. Certo e che se si tengono presentí I'incoeren-za e la contraddittorietá delle posizioni assunte da qualche forza politica -di attivo appoggio alie rivendicazioni minoritarie in «periferia», ma di più o meno velato ostruzionismo nei confronti della legge genérale al «centro»- e gli espliciti «attacchi» alia legge stessa di qualche più o meno anónimo uomo poli tico,150 l'ottimismo poco sopra manifestato puo rápidamente trasfor-marsi in scetticismo: I'impressione é che, come in passato, si possa contare più sull'aiuto e la forza trainante in senso «orizzontale», all'interno dei rispet-tivi gruppi, di tutti quei parlamentan che sin dall'inizio hanno creduto nella doverositá del provvedimento, che sull'iniziativa di qualche gruppo parlamentare del suo complesso, di maggioranza o di opposizione che sia. Salvo poi scoprire improvvisamente imprevisti quanto autorevolissimi fautori della legge, ed é questo il caso, di recente, del Presidente Cossiga, il quale, nel suo messaggio di «insediamento», non ha certo lesinato il suo personale appoggio alia causa della legge genérale sulle minoranze linguistiche.

Sembra peraltro lógico pensare che pressioni decisíve al fine dell'appro-vazione della legge provengano proprio dalle regioni, le quali, ad un esame più approfondíto del testo unificato di progetto, risultano certamente i soggettiPage 170 politico-istituzionali «privilegiad» dal tipo di rípartizione delle competenze in esso prefigurata. E se é vero che il provvedimento riguarda una parte sol-tanto di tali enti, dalle regioni che nel passato più si sonó adoperate in favore delle rispettive minoranze linguistiche (come Véneto, Piemonte, Molise, Calabria, Sicilia) o che più frequentemente sonó state chiamate in causa da qualche proposta di Iegge statale o regionale (come il Friuli e la Sardegna) e lecito attendersi un contributo non indifferente.

Discorso análogo vale pero anche per le iniziative che potranno essere adottate in tale direzione a Iivello lócale, nelle stesse aree di diffusione delle minoranze interessate dal provvedimento, da parte dei comuni, intesi appunto quali enti esponenziali «naturali» dei vari gruppi linguistici, e daglí organismi a carattere associativo che hanno assunto quale principale finalitá la difesa e la protezione dei gruppi linguistici minoritari «non riconosciuti». É vero che l'attuale testo del provvedimento puó apparire per certi aspetti «riduttivo» circa il ruólo di questi ultirni «soggetti» ai fini della definizione e della realiz-zazione delle varié misure di tutela, e non c'é dubbio che sotto questo profilo -benché, come si é ricordato, a tali soggeti siano giá riconosciuti non trascu-rabili poteri consultivi- il provvedimento possa essere senz'altro migliorato; ma é anche vero che solo una decina di anni fa, per quanto approfonditamen-te giá se ne discutesse in sede scientifica, un simile provvedimento sembrava ancora appartenere al «regno di utopia», e che le circostanze che anualmente potrebbero favorire l'approvazione della Iegge -ad iniziare proprio dall'esi-stenza di questo progetto- costituiscono un'occasione non fácilmente ripe-tibile in futuro. Sembra allora auspicabile che, superando diffidenze e riserve, tutti gli enti locali e le associazioni in qualche modo interessate all'attuazione dell'art. 6 Cost. in favore delle minoranze linguistiche «non riconosciute» o non suficientemente tutélate esercitino, ora più che mai, una forte pressione nei confronti del parlamento perché la Iegge, possibilmente senza troppe mo-difiche ai contenuti sin qui concordati, venga quanto prima approvata definitivamente.

Con questo augurio, e con la speranza che i fatti non debbano tra qualche tempo smentire le ottimistiche -ancorché interlocutorie- considerazioni sin qui svolte, pare dunque opportuno concludere il discorso; in definitiva, a dífferenza di qualche anno fa, gli appartenenti alie minoranze e i soggetti politici e istituzionali appena richiamati hanno finalmente, anche a Iivello statale, ben precisi interlocutori, e un testo di progetto da discutere e da far approvare: non sará moltissimo, ma, onestamente, sembra giá un deciso passo avanti.Page 171

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[1] É pratícamente impossibile, ín questa sede, daré contó, anche a livello di mere indicazioni bibliografiche, del significato e dei molteplici orientamenti scientifici prodotti da tale processo di rinnovamento: per quanto riguarda in particolare l'antropología, ampie indicazioni possono desumersi dal saggio di M. Bolognari; per quanto concerne invece l'evoluzione degli studi di lingüistica e di sociolinguistica e, più in genérale, della politica cultúrale in riferimento alie lingue minoritarie, cfr. in particolare T, De Mauro, La cultura, in Aa. Vv., Dal '68 ad oggi. Come úamo e come evaramo, Barí 1979, p. 168 sgg.; Id., Qualche premessa teórica alia nozione di cultura, in II comune democrático, 1978, p. 15 sgg.; Id., Storia lingüistica dell'Italia unita, Barí 19762; G. Berruto, ha sociolinguistica, Bologna 1975; A. Varvaro, La Iingua e la societa, Napoli 1978; F. Sabatini, Minoranze e culture regionali nella storiograjia lingüistica italiana, in Aa. Vv. (a cura della Societa Lingüistica Italiana), I dialetti e le litigue delle minoranze di fronte all'italiano, Roma 1980, I, p. 5 sgg.

[2] Sul concetto di «educazione lingüistica democrática» cfr. soprattutto T. De Mauro, Ver una educazione lingüistica democrática, in II comune democrático, 11-12, 1974, p. 75 sgg.; S. Meghnagi, Introduzione, in Aa, Vv. (a cura di S. Meghnagi), Lingua, cultura, educazione, Roma 1982, p. 9 sgg.; e, infine, gli scritti raccolti in Aa. Vv. (a cura di F. Di lorio), L'educazione plurilingüe in Italia. I quaderni di villa Falconieri - C.E.D.E., 2, 1983.

[3] Si vedano, in particolare, gli scritti di E. Zuanelli Sonino, R. Titone e M. L. Sala in Aa. Vv. (a cura di E. Zuanelli Sonino), Italiano, dialetto, lingue straniere alie elementan, Veneaa 1982.

[4] Cfr. G. Amato, Prefazione, in Aa. Vv., Lingua, cultura, educazione, cit-, p. 5 sgg.

[5] Per tale nozione cfr. soprattutto A. Pizzorusso, Le minoranze nel diritio pub-blico interno, Milano 1967, I, p. 179 sgg., sp. p. 193, laddove afferma che «per mino-ranza in senso giuridico si intende una frazione del popólo la quale costituisce un gruppo sociale, posto in condizioni di inferioritá nell'ambito della cotnunitá statale, i cui membri, legati alio stato dal rapporto di cittadinanza [,..], ricevono dalTordinamento giuridico di esso un trattamento particolare direttto ad eliminare la situazione minoritaria owero ad istituzionalízzarla e disciplinarla nell'ambito dello stato stesso». Gli scritti di carattere giuridico in tema di tutela delle minoranze etnico-linguisticrie sonó, come e facile immaginare, un numero sterminato, ed é praticamente impossibile, in questa sede, ricordare anche soltanto i più importanti: si rinvia perianto alia completa rassegna bibliográfica contenuta in Pizzorusso, op. ult. cit., II, p. 559 sgg.; a parzialissi-mo aggiornamento della quale adde T. Modern, The International Protection of National Minorities, Abo 1969; Aa. Vv. (a cura di T. Veiter), System eines internationales Volks- gruppenrechts, Wien, 1972, 2-voll.; F. CapotorTi, Study on tbe Rigbts of Persons Be-longing lo Etbnic, Religión; and Linguistic Minorities (U.N. Doc. E/CN.4/Sub.2/L.582), New York 1973; T. Veiter e F. Ermacora, Nalionalitá'tenkonflikt und Volksgruppenrecht, München 1977-78, e le ulteriori indicazioní relatíve a specifici problemi o profili fornite nelle note che seguono.

[6] Cfr., in partícolare, A. Pizzokusso, II pluralismo lingüístico tra itato nazionale e automie regionali, Pisa 1975, p. 53 sgg.

[7] Per Tésame di tali ordinamenti speciali sotto il profilo della tutela delle rispettive minoranze linguistiche sí vedano Pizzorusso, II pluralismo lingustico, cit., rispettiva-mente pp. 138 sgg., 257 sgg. e 229 sgg.; U. Pototschnig, Trentino Alto Adige, in No-vissimo digesto italiano, XIX, Tormo 1973, p. 678 sgg.; S. Bartole, La tutela del gruppo linguistico sloveno tra legislazione e amministrazione, in dita e regione, 3, 1980, p. 58 sgg.; R. Barbagallo, La regione Valle d'Aosta, Milano 1978, sp. p. 107 sgg.; cui adde, da ultimo, V. Onida, Valle d'Aosta, e S. Bartole, Friuli Venezia Giulia, entrambi in Aa. Vv. (a cura delTISAP), La regionalízzaziorte, Milano 1983, II, p. 1489 sgg. e 1553 sgg., nonché M. Bertolissi, La regione T.V.G. dalla costhuente alio slatuto, in Le regioni, 1983, p. 811 sgg., sp. p. 855 sgg.

[8] Per tali nozioni cfr. soprattutto Pizzorusso, II pluralismo lingüístico, cit., p. 42 sgg.; assai brevemente si puó diré che con il riconoscimento di situazioni giuridiche sog-gettive del primo tipo in favore degli appartenenti ad una determinata minoranza si tende a realizzare una tutela negativa, diretta soprattutto a impediré qualsiasi forma di discri-minazione di tali cittadini a causa della loro particolare condizione; mentre mediante le misure di tutela dell'altro tipo -che pertanto costituíscono una forma di protezíone più «evoluta» e comunque più intensa- si tende ad assicurare agli appartenenti alia minoranza una protezione anche positiva, al fine di consentiré loro un'autonoma organizzazione della vita di relazione, che garantisca la sopravvivenza e la valorizzazione delle caratteris-tiche distintive del gruppo. Altro problema, come si vedra, é poi quello di stabilire se, in questa seconda ipotesi, la titolaritá delle corrispondenti situazioni giuridiche soggettíve spetti sempre e comunque softanto ai singoli cittadini appartenenti alia minoranza owero anche a quest'ultima, íntesa come soggetto istituzionale in qualche modo «entificato».

[9] Nel caso della Valle d'Aosta, per la verita, più che di veré e proprie pressioni internazionali si é trattato di una scelta «interna» di opportunitá politica: sulle vicende relative alia lotta di liberazione nella Valle ed alia istituzione del relativo ordinamento speciale cfr. E, Passerin D'Entheves, La lotta per I'autonomía e la difesa dai fascismo in V. d.A., in Aa. Vv. (a cura di S. Fontana), 11 fascismo e le autonomie locali, Bologna 1973, p. 273 sgg. Sulla portata giuridica delTAccordo ítalo austríaco Degasperi-Gmber del 5 setiembre 1946 si vedano soprattutto gli scritti di A. E. Alcock, E. Ermacora, A. PlZZORUSSO e T. Veiter raccolti in Aa. Vv. (a cura del Consiglio regionale del T.A.A.), L'accordo di Parígi, Trento 1976, p. 19 sgg. Sulle complesse vicende inerenti la tutela di diritto internazionale del gruppo lingüístico sloveno cfr. invece S. Bartole, Tutela ghiridica della minoranza slovena ed esecuzione del Trattato di Osimo, in Rivista di diritto internazionale, 1977, p. 520 sgg. E. Petric, La posizione giuridica internazionale della minoranza slovena in Italia, Trestre 1981; e P. Carrozza, II prudente atteggiamento della corte in tema di «garanzie linguistiche» del processo e le sue conseguenze condizione giuridica della minoranza slovena, in II foro italiano, 1982, I, 1985 sgg.

[10] Si vedano in proposito le considerazioni svolte, da ultimo, da S. Bartole, Minoranze nazionali, in Noviss. dig. it., Appendice, V, 1985, p. 44 sgg., e da Carrozza, II prudente atteggiamento della corte, cit., e le ulteriori indicazioni ivi richiamate.

[11] Cfr. art. 4 dello statuto del Piemonte, art. 2 st. Véneto, art. 4 st. Molise, art. 5, secondo comma, st. Basilicata; per quanto concerne gli albanesi di Calabria, l'art. 56, lettera r, dello statuto di tale regione dispone che «(la regione) nel rispetto delle proprie tradizíoni, promuove te valorizzazione del patrimonio storico, cultúrale e artístico delle popolazioni di origine ülbanese e greca; favorísce rinsegnamento delle due lingue nei luoghi ove esse sano paríate».

[12] Cfr. al riguardo le considerazioni critiche svolte da A. AzzENA, Poteri della regione sarda in materia di istruzione e potesta normativa regionale, m Id., Espansione delle autonomie territoríali e specialitá dell'ordinamento sardo, Pisa 1979, p. 13 sgg.; su-lie iniziative legislative regional: e statali concernenti la minoranza sarda si veda, da ultimo, A. Pubusa, Considerazioni sulla tutela della lingua in Sardegna, in Rivista trimes-trale di diritto pubblko, 1983, p. 552 sgg., e gli ampi riferimenti bibliografía ivi offerti. Sulla problemática inerente la configurazione dei sardi come minoranza, oggetto di non poche polemiche e contrasti, cfr. invece, dal punto di vista antropológico, l'ormai classico M. Pira, La rivolta dell'oggetto, Milano, 1978, nonché L. Solé, La Sardegna come minoranza etnico-linguistica, in Citta e regione, 3, 1980, p. 132 sgg., e G. Meus, Dal sar-disma al neosardismo: crisi autonomistica e mitología lócale, in II mulino, 263 (1979), p. 418 sgg.

[13] Per un'ampia ricostruzione delle vicende relative alia istituzione della regione Sardegna e alia evoluzione del relativo ordinamento speciale anche sotto questo partico lare profilo, si vedano soprattutto A. Azze.uk e L. Palermo, Coscienza autonomista e sviluppo della specialita. Verso un rtuovo rapporto stato-regione sarda, in Aa. Vv. (a cura di G. Mori), Autonomismo meridionale: ideología, política e istituzioni, Bologna 1981, p. 195 sgg.; U. Allegretti, 11 dibattito sulla crisi e il rilando dell'autonomía sarda, in Le regioni, 1981, p. 275 sgg.; e B. Ballero, Sardegna, in Aa. Vv., La regiona-lizzazione, cic, p. 1617 sgg.

[14] Si vedano, in particolare, le sentenze della corte costituzionale n. 32 del 1960, n. 1 e n. 46 del 1961, n. 128 del 1963 e n. 14 del 1965, a commento delle quali, assai criticamente, cfr. A. Pizzorusso, Tutela delle minoranze linguistiche e competenza legislativa regionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1974, p. 1093 sgg., e ivi ulteriori indícazioni bibliogr afiche.

[15] Sulle vicende relative alie leggi regionali del Piemonte e del Molise cfr. R. In-gicco, Minoranze linguistiche: due iniziative regionali rinviate dal governo, in Le regioni, 1977, p. 971 sgg.; circa la legge siciliana 5 maggio 1981, n. 85 cfr. invece P. Carrozza, Minoranze ünguistkbe, in Atinuario 1982 delle autonomie locali, Roma 1981, p. 396.

[16] Per notizie in ordine ai due successivi rinvii cui é stato sottoposto U citato prowedimento calabrese, una prima volta nel gennaio 1980 e quíndi, dopo una notevole «riduzione» del contenuto, nel maggio dello stesso armo, oltre a quanto si avra modo di riferire infra, negli ultimi paragrafi, cfr. C. Brunetti, La condiüone giuridica delle minoranze linguistiche. Esame antologico di un diritto negato, Cosenza 1985, specie p. 140 sí.

[17] Cfr. in tal senso A. Pizzorusso, Minorante linguistiche, in Guida 1980 delle autonomie iocali, Roma 1979, p. 378 sgg.; e P. CARROZZA, Minoranze linguistiche, in Annuario 1981 delle autonomie locali, Roma 1980, p. 385 sgg.

[18] SÍ rinvia, in proposito, alie considerazioni svolte tnfra, § 5 e 7, e alie indicazioni giurisprudenziali ivi fornite in nota.

[19] Si veda, in questo scnso, Pizzorusso, 11 pluralismo lingüístico, cit., p. 33; sulla nozione di «principi supremi della costituzione materiales, per tale natura itiderogabili dalle stesse norme costituzionali formali, cfr. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1975*, I, p. 148 sgg.; V. Onida, J principi jondamentali della costituzione italiana, in Áa. Vv. (a cura di G. Amato e A. Barbera), Manuale di diritto pubblico, Bologna 1984, sp. p. 121 sgg.; A, Pizzorusso, Lezioni di diritto costituzionde, Roma 1984', p. 519 sgg., e ivi ampi riferimenti alia giurisprudenza della corte costituzionale che ha fatto applicazione di tale nozione (anche se mai, finota, in riferimento al principio di cui all'ait. 6 Cost.). Occorre aggiungere, per complétela, che la suddetta nozione é stata svi-luppata soprattutto dalla corte costítu2Íonale e dalle dottrine tedesche (per le quali cfr. in particolare O. Bachof, Verfassungswidrige V'erfassungsnormen? (1962), in Id., Wege zum Kechtsstaat, Regensburg 1979, p. 1 sgg.) e dalla corte suprema e dalla dottrina sta-tunitensi, mediante la teotia della c.d. preferred position, per la quale cfr., da ultimo, L. H. Tribe, American Constitulional Laui, N.Y. 1978, p. 564 sgg.

[20] Cfr. al riguardo soprattutto Pizzorusso, op. e toe, ult. cit.

[21] Ed in ció si riassume appunto l'evoluzione del significato complessivo della tutela giuridica delle minoranze, da principio di diritto internazionale concernente le relazoni fra i «popoli», o meglio, gli stati-nazione, a diritto o principio costituzionale di liberta degii individui all'interno di ciascun ordinamento statale: cfr. in questo senso soprattutto F. Capotorti, II problema delle minoranze nel diritto internazionale, in Aa. Vv. (a cura della Provincia di Trieste), Atti della conferenza internazionale sulle minoranze di Trieste (1044 luifio 1974), Trieste 1979, p. 117 sgg.

[22] Óltre a quanto si avrá modo di tilevare infra, § 6, si vedano A. Pizzorusso, II pluralismo linguistico, cit., p. 76 sgg.; e Carrozza, Lingue (uso delle), in Noviss. dig. it, Appendice, IV, p. 946 sgg:

[23] Si vedano in proposito le indicazioni bibliografiche fornite alia n. 2.

[24] Fra i tantí scritti in argomento, per una rápida ma completa informazione si vedano, da vari punti di vista, G. Heraud, L'Europe des ethnies, Aosta 1974, R. Pe-trella, La renaissance des cultures regionales en Europe, París 1978. Y. Meny, Crises, régions et modernisation de l'État, in Pouvotrs, 19 (1981), p. 5 sgg. S. Cassese, États régions, Europe, ivi, p. 19 sgg., E. Allardt, Le minoranze etniche uell'Europa accidentóle: una ricerca comparata, in Rivista italiana di scienza política, 1981, p. 81 sgg., A. D. Smith, The Ethnic Revival, Cambridge 1981 (trad. it., Bologna 1983), B. De Witte, La plurdité etknique et Vautonomie cultureüe, Etude comparative, in Aa. Vv. (a cura di Y. Meny), Centre et periphreries: le partage du pouvoir, Paris, 1983, p. 97 sgg.; A. Me-lucci e M. Diani, Nazioni sema stato, Torino 1985, E. Gellner, Nazioni e nazionali-smo, Roma 1985.

[25] Per un sommario ma esauriente approccio ai problemi economici «regional!», con particolare riguardo agli squilíbri dello sviluppo económico regionale nei paesi della CEE, si veda il classico S. Holland, Le regioni e lo sviluppo económico europeo, Barí 1977, sp. p. 107 sgg.; sulla connessione tra problemi economici e problemi politico-sociali a livello regionale cfr. altresl P. Romus, L'Europe et les régions, Bruxelles 1979, p. 17 sgg.

[26] Cfr. in tal senso Capotorti, op. e loe. ull. cit.; sui rapporti tra la problemática della tutela minoritaria e quella, più genérale, conteniente la realizzazione del principio pluralista si veda in particolare A. Pizzorusso, Perché tutelare le minórame?, in Minorante, 9-10 (1978), p. 39 sgg. Questo indirizzo, che trova la propria matrice storico-cul-turale nell'atteggiamento libérale ottocentesco di «tolleranza» nei confronti della «diversi-tá», conformemente a tale matrice (che ha ben radícate tradizioni nei mondo anglosasso-ne in conseguenza della problemática della liberta religiosa), tende a risolvere la tutela giuridica dei gruppi minoritari -siano essi religiosi, razziali o Ünguistici- nei riconosci-mento e nelle garanzie di effettivitl dei diritti individuali di liberta, attribuiti, cioe, ai singoli cittadini o sudditi in quanto tali; questa ímpostazione puó per certi aspetti entrare in conflitto sia con gli indirizzi, tipici della tradizione cultúrale del nazionalismo germánico ottocentesco (benché la problemática della liberta religiosa sia tutt'altro che estranea a tale cultura), volti a configurare l'appartenenza di un soggetto ad un determinato gruppo lingüístico (o anche religioso, razziale eco) come falto (invece che come effetto di una manifestazione di volontá o di una opzione ideológica ecc: cfr. al riguardo, in particola-re, F. Chabod, L'idea di nazione, Bari 1979*, sp. p. 46 sgg., e A, Pizzoeusso, Le minórame nel diritto pubblíco, cit., I, pp. 33 sgg. e 236 sgg.), e quindi, talvolta, a privilegiare la tutela del «gtuppo» rispetto a quella degli individui che lo compongono; sia con gli indirizzi, più di recente manifestatisi in alcuni ordinamenti contemporanei (come in quello italiano a partiré dal secondo dopoguerra), volti a valorizzare, accanto al pluralismo ideológico, anche -e contemporáneamente- il pluralismo htituxíonale e quindi il ruólo delle c.d. formazioni sociali intermedie, giugendo anch'essi, seppure per altra strada, a prospet-tare forme di tutela «di gruppo» piuttosto intense: cfr. al riguardo, con specífico rifen-mentó all'ordinamento italiano, A. PiZZORUSSO, Verso il riconoscimento della soggettivita delle comunita etnico4inguistiche?, in Aa. Vv., Stud't íti memoria di C. Fumo, Milano 1973, p. 741 sgg., e, più di recente, dello stesso autore, La tutela delle minoranze lingui-síiche nel processa: rapporti tra diritti individudi e diritti collettivi, Relazione al con-vegno «L'uso della lingua nel processo secondo lo statuto speciale del T.A.A. Problemi di attuazione», Bolzano, 22-23 giugno 1985, atti in corso di stampa.

[27] É questo, ad esempio, il significato che in buona parte ha assunto il problema della tutela minoritaria neU'ambito delTAtto finale della Conferenza di Helsinky del '75 [per il quale cfr. L. Coítoorelli, L'Atto finale della conferenza di Helsinky sulla sicu-rezza e la cooperazione in Europa, in E. Vitta e V. Grementieri (a cura di), Códice degli atti internaztonali mi diritti dell'uomo, Milano 1981, p. 886 sgg.], il cui § VII, «Rispetto dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali, inclusa la liberta di pensiero, coscienza, religione e credo», al quarto comma afferma che «Gli stati partecipanti nel cui territorio esistono minoranze nazionali rispettano il ditítto delle persone appartenenti a tali minoranze all'eguaglianza di fronte alia legge, offrono loro la possibilitá di godere effettivamente dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali e, in tal modo, proteg-gono i loro legittimi interessi in questo campo».

[28] Cfr. al riguardo, da ultimo, Gellner, Nazioni c nazionalismo, cit., sp. p. 125 sgg. Per una più ampia panorámica sulle tipologie di «nazionalismo», volta a compárate i di-versi significad di tale principio che le corrispondenti prassi polinche hanno assunto nelle varié epoche storiche e nei vari continenti, si veda altresl L. L. Snyder, Varieties of Na-tionalism: a Co/nparative Study, Hinsdale (III), 1976.

[29] Sulle politiche di omogeneizzazione e assimilazione Iinguistico-culturale attuatc nel corso del xix secólo in ordinamenti statuali caratterizzati da piú o meno recente unitá política ma anche da un notevole pluralismo lingüístico, ereditato dalla preesistente organizzazione agricolo-feudale della societa, cfr. a mo' di esempio, per la Francia, L. Renzi, La política lingüistica della rivolazione francese, Napoli 1981, per la Spagna, A. Ramos Oliveira, La unidad nacional y los nacionalismos españoles, México 1969, e, per quanto riguarda ¿'Italia, De Mauro, Storia lingüistica, cit., sp. p. 15 sgg.

[30] Per le vicende relative alia istituzione delle regioni italiane, cfr. S. Bartole, Le regioni, in S. Bartole, F. Mastragostino, L. Vandelli, Le autonomie territorial!, Bo-logna 1984, p. 13 sgg., L. Paladín, Diritto regionale, Padova, 1979*, p. 1 sgg., e, soprat-tutto, E. Rotelli, L'avvento della regione in Italia, Milano, 1967. Quanto all'esperienza della RFT, si puo notare che, a differenza che per la scelta regionale dei costituenti italiani, e nonostante che la dottrina costituzionale tedesca abbia poi saputo fornire adeguate «legittimazioni» politico-istituzionali (cfr., per tutti, K. Stern, Das Staatsrecht der Bundesrepublik Deutscbland, München 1977, I, p. 492 sgg., e I. Staff, Verfassungsrecbt, Badén Badén 1976, p. 10, i quali sottolineano la scelta «antiautoritaria» connessa alia articolazione territoriale del potete) e che il principio fedérale abbia avuto notevole sviluppo, tanto da essere definito «immodificabile» dallo stesso testo costituzionale (cfr. art. 79 GG), la scelta fedérale dei costituenti del '48-'49 risultava, all'atto pratico, ampiamente obbligata, in virtil sia delle circostanze di fatto -dal momento che gli alleati, airindomani della sconfitta del nazismo, avevana awiato la ricos truzione eco-nomico-politica del paese iniziando proptio dall'organizzazione dei Lander- sia dañe stesse decisioni alleate in occasione delle conferenze di Potsdam e di Londra: cfr. in proposito soprattutto J. F. Golay, The Founding of the Federal Republic of Germany, Chicago 1958; con ció non si deve affatto trascurare la tradizione federalista anteriore, in ordine alia quale cfr., in breve ma assai efficacemente, G. Wollstein, Foderalismus und Minderheiten im deutscber Kaiserreich, in Aa. Vv. (a cura di M. Garbari), Atti del con-vegno storico giuridico sulle autonomie e sulle minorante, Trento 1981, p. 59 sgg., e C. Mortati, La costituzione di Weimar, Firenze 1946, p. 7 sgg. La necessitá di tenere de-cisamente distinte tali esperienze e dibattiti dalle vicende costituzíonali contemporanemente b tuttavia ben presente nella dottrina tedesca, come giustamente ríleva G. Mor, Pro-blem'i attuali del Governo lócale nella KFT, in Aa. Vv. (a cura di P, Biscatetti di Ruffla), Problemi attuali del governo locali in alcuni stati occidentali, Milano, 1977, p. 341: cfr. al riguardo, nella dottrina tedesca, K. Hesse, Der unitorische Bundesstaat, Karlsruhe, 1962,

[31] Cfr. soprattutra, al ríguatdo, G. Kisker, Riordinamento della struttura delle compéleme iederali e ruólo del Bund e dei Lander nella pianificazione, in Problemi di amministrazione pubblica, 3, 1976, sp, p. 16 e le ulteriori indicazioni ivi offerte in ordine al federalismo quale «concetto politico e organizzativo nella moderna societá industríale».

[32] Si vedano, in genérale, M. P. Chiti, Partecipazione popolare e pubblica amministrazione, Milano, 1977, e, con particolare riferimento ai rapportí tra principio di de-mocrazia partecipativa e esperienza regionale, E. Casetta, La partecipazione democrática nell'ordinamento regionale, in Aa. Vv., Le regioni: politica o amministrazione?, Milano 1973, p. 97 sgg., U. De Siervo, Gli statuti regiortali, Milano 1974, p. 281 sgg., E. Tuc-CARi, Partecipazione popolare e ordinamento regionale, Milano 1974, p. 57 sgg., e, da ultimo, il pregevole A. Barbera, Le componenti politico-culturali del movimento autonomista negli anni '70, in Regione e governo lócale, 6, 1981, p. 41 sgg.

[33] Sulla riconducibílita del principio di tutela delle minoranze linguistiche accolto nelTordinamento italiano ai principi costituzionaü fondamentali (o supremi) di liberta, eguaglianza e pluralismo, si vedano soprattutto L. Paladín, II principio costituzionale d'eguagiianza, Milano, 1965, p. 2S1 sgg., A. Pizzorusso, sub ar:. 6, in Comntentario della Costiiuzione a cura di G. Branca. Principi fondamentaíi, Roma-Bologna 1975, p. 306 sgg., P. Barile, Diritti dell'uomo e liberta fondamentali, Bologna, 1984, p. 38 sgg., Bartule, Minoranze naziondi, cit.

[34] Ampi cenni sul contenuto dei «diritti linguistici» degli appartenenti alie minoranze linguistiche possono vedersi in A. Pizzorusso, Liberta di lingua e diritto all'uso della lingua materna nei sistema costituzionde italiano, in Rassegna di diritto pubblico, 1963, p. 298 sgg., Id., Problemi giuridici dell'uso delle lingue in Italia (con particolare riferimento alia situazione delle minoranze linguisticbe non riconosciute), in Le regioni, 1977, p. 1031 sgg., Carrozza, Lingue (uso delle), cit.i per una rassegna della disciplina accolta in altri ordinamenti europei ed extraeuropei, cfr, invece J. Falch, Contribution a l'étude du statut des langues en Europe, Québec 1973 e B. De White, The protection o) lingutstic diversity through fundamental rights (tesi dell'I.U.E.), Firenze 1985, 3 voll., in genérale, e, per quanto concetne in particolare le recenti esperienze belga e spagnola, rispettivamente C. Wiuwerth, Le statut lingüistique de la fonction publique belge, Bru-xeÜes 1980; A. Verdoodt, Les probümes des groupes linguistiques en Belgique, Louvain, 1977 e A. Milian Mas sana, La regulación constitucional del multilingüismo, in Revista española de derecho constitucional, 10 (1984), p. 123 sgg.

[35] Cfr. in proposito soprattutto Milian Massana, op. ult. cit., e Id., La ordenación estatutaria de las lenguas distintas del castellano, in Revista vasca de administración pública, 6, 1983, p. 237 sgg., e ulteriori indicazioni ivi offerte. Ci6 che é interessante osservare é che, in attuazione di tali principi, alcuiii statuti re-gionali hanno prodamato come lingua ufficiale (seppure in regime di bilingüismo con il castigliano) nella rispettiva regione il basco (art. 6.1 statuto basco), il catalano (artt. 3.2 st. catalano, 7.1 st. País valenciano, 3 st. Balean), il gallego (art. 4.2 st. Galizia); a tale pradamazione ha fatto seguito una complessa disciplina giuridica dell'uso delle lingue per tutti gli oggetti precedentemente esaminati: cfr., ad esempio, la legge basca 24 novem-bre 1982, n. 10, la legge catalana 18 aprile 1983, n. 7, la legge gallega 15 giugno 1983, n. 3 e la legge valenciana 23 novembre 1983, n. 4 sulla normalización dell'uso di tali idiomi nelle varié regioni. Per altri idiomi o lingue, invece, la tutela giuridica appare di tipo «ridotto»; forme di limitata protezione e valorizzazione sonó ad esempio previste per il bable (dialetto asturiano) all'art. 4 st. Asturie, per l'aragonese (art. 7 st. Atagona), per Varanes (dialetto guascone: art. 3.4 st. catalano); la promozione dell'andaluso (varieta del castigliano) quale strumento di affermazione della «coscienza di identita» andalusa é oggetto di una norma prograrnmatica (art. 12.3.2°) dello statuto dell'Andalusia, In cutti questi casi la protezione giuridica risulta piuttosto limitata e consiste in genere nelTinsegnamento (su base volontaria) della «lingua» nelle scuole inferiori e in alome norme «promozionali» voke a favorire la conoscenza di ciascun idioma da parte della popolazione interessata, senza mai giungere, comunque, alia loro «ufficializzazíone» giuridica ancorché limítala-mente nelle zone interessate.

[36] Qualcuno ricorderá, ad esempio, il caso delTannuncio di un voló all'aeroporto di Alghero che lo speaker lesse -polémicamente- in sardo: cfr. su tale vicenda Pretore di Alghero, 24 luglio 1978, in Foro it., 1979, I, 570; il più noto teórico di tale indirizzo «massimaiista» é certamente S. Sal vi, del quale si vedano soprattutto Le nazioni proibite. Guida a dieci colante «interne» dell'Europa accidéntale, Firenze 1973; Le lingue tagliate. Storia delle minoranze linguisticbe i» Italia, Milano 1975; Patria e matria. Dalla Cata-logna al Friuli, dal Paese basco alia Sardegna: il principio di nazior.alita nell'Europa accidéntale contemporánea, Firenze 1978; sul piano giuridico-istituzionale le considerazioni svolte da tale autore lasciano, in effetti, alquanto perplessi, ma si deve riconoscere che tali sctitti -i quali hanno avuto un discreto suecesso editotiale- hanno in qualche modo contribuito ad una certa «sensibilizzazione» di parte dell'opinione pubblica nei conftonti del problema della tutela delle minoranze «non riconosciute».

[37] Si pensi, ad esempio, alia proposta di legge statale di iniziativa regíonale popo-lare (approvata dal Consiglio regionale il 10 aprile 1981) sulla introduzione del bilingüismo in Sardegna, it cui art. 1 proclama la «parita giuridica della lingua sarda con la lingua italiana»; a commento di tale velleitaria proposta, rimasta lettera morta, e dei ben piú concreti e realistici progetti di legge regionale presentati dal PCI (prop. 1 agosto 1980, n. 126) e dalla stessa Giunta regionale su iniziativa dell'assessore alia pubblica istruzione (dis. di legge 8 ottobre 1980) cfr. Pubusa, Qonúderazioni sulla tutela della lingua in Sardegna, cit. Per un esempio di natura análoga, riguardante proposte di tutela che muovono senz'al-tro da buoni intenti ma si perdono poi in rivendicazioni (la piena patita giuridica tra «lingue minoritarie» e italiano standard) che appaiono giuridicamente piuttosto discutibili e comunque assai difficil mente realizzabili, si veda anche il progetto di legge elaborato dalla Associazione internazionale per la difesa delle lingue e culture minacciate (AIDLCM) per la «Tutela delle minoranze linguistiche dell'Italia nord-orientale tedesca, slovena e fríu-lana», in Minórame, 6-7 (1977), p. 43 sgg.

[38] Cfr. in questo senso PizzottUSSO, Problemi giuridici dell'uso della lingua in Italia, cit.; sulla problemática connessa a tale ímpostazione del problema della tutela delie minoranze linguistiche «non riconosciute» si vedano L, Coveei, 11 dialetto come bene cultúrale, in índice per i beni culturali del territorio ligure, 2, 1977, p. 10 sgg., U. Bernardi, Per un progetto di museo laboratorio della cultura lócale, in Esperienze amministraüve, 4-5, 1979, p. 9 sgg-, C. Camilli, La normaxione regionale in materia di islituzioni cultu-rali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, p. 63 sgg., A. Pagliai, La legislaziorte regionale a tutela del patrimonio lingüístico cultúrale, in Rivista italiana di diatettologia, 2 (1981-82), p. 268 sgg., C. Bodo, Rapporto sulla política cultúrale delle regioni, Milano 1982; sulla portata normativa delTart. 9 Cost. cfr. soprattutto F. Merusi, sub art, 9, in Commenta-rio della Costituzione a cura di G. Branca. Prirtcipi iondamentali, cit., p. 434 sgg., e M, S. Giannini, I beni culturali, in Riv, trim. dir. pubbl., 1976, p. 3 sgg.

[39] Questo non eselude che determinad idiomi, per qualche ragione storico política «abbandonati» o comunque non sviluppati come «lingua», non abbiano potuto essere «ri-scoperti» e gradualmente riaffermati anche sul piano político dopo più o meno lunghi periodi storici di «abbandono» dal punto di vista letterario e cultúrale simile vicenda ha avuto, ad esempio, la lingua catalana, la quale, dopo avet conosciuto una notevole fiioritu-ra e sviluppo per tutto il corso del medioevo (sia a livello letterario che in codici, docu-mentí ecc, oltre che, naturalmente, come Hngua paríala), é stata quasi del tutto abban-donata a seguito della sconfitta dei catakni nella guerra di successione spagnola, per poi essere «riscoperta» come lingua «letteraria» da alcuni intellettuali catalani verso Ja meta del xix secólo, e divertiré successivamente il principale veicolo di diffusione delle rivendi-cazioni politiche degli autonomisti catalani; fino ad ottenere pieno riconoscimento giu-ridico, dapprima, per un breve período di tempo, nel corso della seronda repubblica spagnola, e quindi, definitivamente, con l'avvento della Costituzione democrática del '78: cfr., per tali vicende, Ramos Oliveira, La unidad nacional, cit., p. 79 sgg. e A. Milian Mas-SANA, Aproximación al régimen jurídico previsto para la lengua catalana en el estatuto de autonomía de Cataluña, in Revista de administración pública, 94 (1981), p. 317 sgg. Sulle ragioni político sociali della riscoperta della lingua catalana si veda J. Solé Tura, Catalanismo y revolución burguesa, Barcellona, 1974, specie p. 35 sgg,

[40] Sunile situazione «privilegíala» si ha, ad esempio, per i subtirolesi e per i val-dostani nell'ordinamento italiano, per baschi, catalani (ivi compresi i valenciani e gli abitan ti delíe Baleari) nell'ordinamento spagnolo; la tutela di questi gruppi linguistici minoritari e particularmente intensa in quanto il riconosdinento dei «diritti linguistici» nella forma più estesa si accompagna a forme di assai ampia autonomía político amministrativa degli enti terrítoriali in cui tali gruppi costituiscono la maggioranza della popolazione. Altrettanto esteso riconosciraento dei «diritti linguistici» di singoli gruppi di popolazione si ha poi in alcuni ordinamentí europei nei quali il pluralismo lingüístico & ormai da lungo tempo istituzionalizzato, come accade in Belgio per i gruppi fiammingo e vallone e in Svizzera per i gruppi tedesco, francese e italiano; cfr. in proposito R. Senelle, El régimen lingüístico de Bélgica, e C. A. Morand, Aspectos del derecho de las lenguas en Suiza, entrambi in Aa. Vv. (a cura della Generalitat catalana), Ordenación legal del plu-Ttlingüismo en los estados contemporáneos, Barcelona 1983, p. 29 sgg. e 79 sgg. In virtíi del carattere ufficiale del pluralismo lingüístico, su base per lo più territoriale ma in qualche caso anche personale, e delíe stesse vicende concernenti la storia costituzio-nale di questi due ordinamenti, lo status di tali gruppi non appare del tutto assimilabile a quello delle veré e proprie mínoranze linguistiche. Questo status -e, peraltro, tutela giuridica assai più Htnitata- hanno invece altri e più piccoli gruppi linguistici che in tali ordinamenti risiedono, vale a diré i ladini del Giura elvetíco e i tedeschi che risiedono nelTestremitá occidentale della Vallonia belga, per la cui situazione giuridica cfr. rispetti-varaente R. Viletta, Die Rütoromanen im Kraftjeld zwischen Vielbeit und Einbeit, in Aa. Vv. (a cura delTImernationales Institut für Nationalitatenrecht und Regionalismus), Regionalismus in Europa, München 1981, p. 160 sgg., e J. U. Clauss, Die politische und verfassungsrechtliche Problematik des deutscbspracbigen Betgiens, in Aa. Vv., Deutsche als Muttersprache in Belgien, Wiesbaden 1979, p. 39 sgg.; la legge 31 dicembre 19S3 sull'organizzazione e ñ funzionamento del Consigue della comuniti tedescofona, conformemente al dettato deU'art. 59 ter (riformato il 1 giugno 1983) della Costituzione belga, ha peraltro migliorato i1 sistema di tutela della comunitá germanofona. Tutti gli altri gruppi linguistici minoritari che risiedono nei paesi dell'Europa occiden-tale hanno -se le hanno- forme di tutela giuridica assai più limítate e, in genere, i «diritti linguistici» loro riconosciuti esdudono forme di «couffidalizzazione» del loro idioma alia lingua «nazionale» degli ordinamenti di appartenenza.

[41] Sulla situazione lingüistica della Valle d'Aosta si veda in particolare T. Telmon, ha minoranza di paríala francoprovenzale, in Sociología della comunicazione, 2, 1982, p. 33 sgg. e ivi ulteriori, ampie indicazioni bibliografiche.

[42] Gó non significa tuttavia che il riconoscimento dei «diritti linguistici» Ín forma «ridotta» non possa comportare anche alcune misure che si ispirano a quelle conseguenti alia «couffitíalizzazione» degli i dio mi: non e affatto escluso, ad esempio, che si possa prowedere, almeno a livello di amministrazioni locali, alia apertura di sportelli cui gli appartenenti ad un determinato gruppo lingüístico possano rivolgersi utilizzando la propria lingua materna. Si tratta, come é facile intuiré, di misure da stabilire e sperimentare caso per caso, che non richiedono affatto né la proclamazione della lingua minoritaria come lingua coufficiale, né il riconoscimento generalizzato del diritto «collettivo» all'uso della lingua materna nei rapporti con le autoritá.

[43] I vari elenchi di minoranze linguistiche presentí nei vari progetti di legge gene-rale presentati nei corso dell'VIII e della IX legislatura traggono origine da uno studio redatto nei 1978 da G. B. Pellegrini e T. De Mauro per contó dell'Ufficio studi della Camera, nei quale si tracciava un completo panorama lingüístico del paese, fornendo l'e-lenco delle varié comunitá che usano correttamente paríate di verse dall'italiano standard o dai vari dialetti italoromanzi (vale a dice, in ordine decrescente di «divergenza» da ques-ti, comunitá slavofone, tedeseoíone, albanesi, grecofone, zingare, francoprovenzali, proven-zali-occitaniche, catalane, ladine, sarde e friulane), nonché il quadro dei rispettivi ambiti di diffusione e della loro consistenza numérica.

[44] Cfr. in tal senso soprattutto Pizzorusso, Le minorante nel diritto pubblko interno, cit, I, specie p. 228 sgg., e ivi ampie indicazioni bibliografiche, cui adde, ad ag-giornamento, P, Cakrozza, La dichiarazione di appartenenza ai gruppi linguistici in provincia di Bolzano, m Le nuove leggi civiü commentate, 1983, p. 1137 sgg., Id., Litigue (uso delle), cit., e Barile, Diritli dell'uomo e liberta fondamentali, cit., p. 40.

[45] Cft. art. 18 d.p.r. 26 luglio 1976, n. 752, art. único d.p.r. 24 marzo 1981, n. 216, nonché artt. 1 e 2 d.p.r. 3 aprile 1985, n. 108, a commento dei quali cfr. Carrozza, La dichiarazione di appartenenza ai gruppi linguistici, cit., R. Riz, Volkszahlung, Sprachgrup-penerbebuttg, Volksgruppenschutz, ín Aa. Vv., Menschenrechte, Volksgruppen, Regiona-lismus, Wien 1982, p, 229 sgg., e R, Ingicco, Censimento e dichiarazione di appartenenza al gruppo lingüístico in Sudtirolo, in Aa. Vv. Riflessioni sulle regioni (atti del convegno in memoria di F. Levi), Milano 1983, p. 247 sgg.

[46] Si veda in proposito, oltre alia bibliografía citara alie note 44 e 45, la decisione del Pretore di Bolzano, 28 setiembre 1981, in Foro it., 1982, I, 2692, che ha sollevato questione di costituzionalitá di alcuni profili della disciplina della dichiarazione di appartenenza: su tale vicenda cfr. quanto rilevato injra, par. 6, relativamente all'atteggíamento assunto dalla Q>rte costituzionale in ordine alia «questione» sudtirolese.

[47] II principio della c.d. liberta negativa di associazione ha ricevuto, di recente, un nuovo importante riconoscímento da parte della giurisprudenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 239 del 1984 (in Foro ít., 1984, I, 2397, con nota di N. Colaianni, L'appartenza di «diritto» alie comunita israelitiche tra legge, ititesa, e statulo confes-tionalé), con la quale la Corte -pur muovendosi con una certa cautela, probabimente al fine di non «turbare» le trattative sulla nuova intesa tra Stato italiano e unione delle comunita israelitiche- ha dichiacato l'illegittímitá dell'art. 4 del r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, il quale dispone l'appartenenza di diritto alia comunita israelítica di tutti gli is-raeliti -peraltro determinati tali solo in base alia «tradizione» ebraica stessa- che risie-dono nel territorio di essa, per contrasto con gli artícoli 2, 3 e 18 Cost. In particolare, l'affermazione da parte della Corte del principio per cui la tutela statale dei diritti inviolabili delTuomo deve trovare affermazione anche aU'interno delle formazio-ni sociali «istituzionalizzate» e del principio di tutela della liberta di associazione anche in senso negativo, come diritto invíolabile di tutti i cittadini indipendentemente dalla cir-costanza che esso si riferisca ad enti che abbiano natura associativa o «istituzionale», ha spinto la dottrina a sollecitare la Corte ad applicare tali principi anche in riferimento alia appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici (tedesco, italiano e ladino) dei cittadini residenti in provincia di Bolzano attestata mediante la dichiarazione di appartenenza al gruppo lingüístico in sede di censimento: cfr. A. Pizzorusso, L'attivitá della Corte costituzionale nella sessione 1983-84, in Foro it., 1984, V, p. 323 sgg.

[48] Per una rassegna della legislazione sui «censimenti linguistici» ín Svízzera, Canadá, URSS e Austria cfr., di recente, Riz, Volkzablung, Spracbgruppenerbebung, Volks-gruppenscbutz, cit.; per quanto concerne l'esperienza belga, paese nel quale tali censimenti sonó stati «vietati», per legge, nel '61 a causa dei contrasti cui davano origine -dovuti anche al particolare sistema di variazione deU'«appartenenza» lingüistica dei vari comuni, originariamente collegata ai risultati dei censimenti, e poi abolito dalla legislazione linguistíca del '62-'66, che ha Ístitu2ionalizzato in vía definitiva i «confini» linguistici, cfr. invece Verdoodt, Les problémes des groupes linguhttques en Belgique, cit., p. 120 sgg., B. De Witte, I diritti garantili dall'Accordo Degasperi-Gruber: una eccezione divertíala normal, relazione al convegno «I rapporti di vicinato tra Italia e Austria», Trento, 21-22 giugno 1985, atti in corso di pubbHcazione, nonché gli scritti di J. Falch, B. De Witte e R. Senelle citati alie note 34 e 40.

[49] Un caso abbastanza noto é costituito dalla legislazione austriaca sui censimenti (cfr. artt. 2, 9, 10 e 17 della legge 5 luglio 1950, come modificad dalla legge n. 398/76), la quale, imponendo ai cittadini di dichiarare la propría «lingua materna» ma non anche il «gruppo di appartenenza», tende a trasformare quella che dovrebbe pur sempre apparire una dkbiarazione di volonta in una sorta di accettamento di fallo. Poiché, secando le dichiarazioni governative, all'esito del censimento del 14 novembre 1976 era chiaramente condizionata rapplicazione in favore deglí sloveni della Carinzía di alcune delle misure di tutela previste dalla legge genérale sulie minoranze del 7 luglio 1975, contro la legislazione suí censimenti fu anche proposto, peraltro senza successo, un Individual Bescbwerde (ricorso diretto di costituzíonalitá): cfr. Corte costituzionale d'Au-stria, 14 giugno 1977, in Foro il., 197S, IV, 372, con nota di A. Pizzorusso. Come si avra modo di vedere meglio in seguito, in tale occasione i risultati del censimento furono praticamente svuotati di significato dal gran numero di dichiaranti di madre lingua slovena che si ebbero in tutto il paese (soprattutto a Vienna) in segno di solida-rietá con la minoranza: su tali vicende cfr. in particolare Aa. Vv. (a cura deilo Slowe-nische Information Zentrum), Das Volksgruppengesetz. Eine losung?, Klagenfurt, 1978.

[50] Cfr. al riguardo, per tutti, J. Jeri, Venta, mezze venta e statistiche, in Aa. Vv., Passato e presente degli sloveni m Italia, Trieste 1974, p. 89 sgg.

[51] Si veda in proposito soprattutto Pizzorusso, Perché tutelare le minórame?, cit., nonché Carrozza, Minoranze linguistiche, in Cutda-Annuario delle autonomie locali, 1981 e 1982, cit.

[52] Sul problema dell'insegnamento dtü'arberesb nelle scuole e sul contributo di ri-cerca e di sperimentazione offerto dall'AIADI, cfr. M. Famiglietti, Bilingüismo e scuola in un'area albanofotia della Calabria, in Aa. Vv., I díáletti e le lingue delle minorante di fronte all'italiano, cit., II, p. 527 sgg. e R. Bruno, Riflessioni e proposte per un'edu-cazione lingüistica nelle realta ambíentali arb'éresbe, in Aa. Vv., L'educazione plurilingüe in Italia, cit., p. 117 sgg. Un elenco dei moltissimi enti, gruppi, associazioni e pubblicazioni periodiche che hanno come loro principale finalítá la promozione e la valorizzazione dei vari idiomi minoritari nonché la difesa dei diversi gruppi linguistici é contenuto in Citta e regione, 3, 1980, p. 148 sgg.

[53] Cfr. soprattutto A. Pizzorusso, II pluralismo lingüístico tra stato nazíonale e autonomie regionali, p. 7 sgg., ad aggiornamento del quale utili notizie e complete índi-cazioni bibliografiche possono vedersi nelle voci Minoranze linguisticbe in Guida-Annuario delle autonomie locali dal 1978 in poi, cúrate rispettivamente da G. Mor (1978 e 1979), A. Pizzorusso (1980) e P. Carrozza (1981, 1982, 1983 e 1984).

[54] Cfr. Pizzorusso, II pluralismo lingüístico, cit.j p. 27 sgg.

[55] Si vedano in proposito Pizzorusso, op. e loe. ult. cit., e Carrozza, La dichiara-zione di appartenenza ai gruppi linguistici, dt., specie p. 1153 sgg.

[56] Cfr. le indicazioni bibliografiche al riguatdo fornite alia nota 33.

[57] A lungo prevalente fe risultata, ad esempio, la tesi sostenuta de C. Esposito, per cui, ridotta -e rovesciata- !a portata dell'art. 3.2 Cost. ad un genérico «divieto di leggi personali», l'art. 6 assumeva il catattere di «norma derogativa» rispetto al principio di eguaglianza stabilito all'art. 3.1, in virtü del quale si dovevano ritenere giuridicamente irrilevanti le eventuali differenze di lingua -o di condizioni personali, o di razza ecc.-: cfr. C. Esposito, Eguaglianza e giustizia nell'art. 3 della Costituzione, in Id., La Costituzione italiana, Saggi, Padova, 1954, pp. 30 sgg., 49 e 62 sgg. Sull'evoluzione dell'inter-pretazione del principio di «eguaglianaa sostanziale» di cui all'art. 3.2 Cost. la bibliografía é veramente sterminata: si vedano comunque, in particolare, Paladín, II principio costituzionale di eguaglianza, cit. p. 151 sgg., A. Cerri, L'eguaglianza nella giurisprudenta della corte costituzionale, Milano 1976, p. 43 sgg., A. PizzOrusso, Che cos'é I'eguaglianza. II principio etico e la norma giuridica nella vita rede, Roma, 1983, p. 47 sgg., e, da ultimo, Barile, Diritti dell'uomo e liberta fondamentali, cit., p. 37 sgg., e ivi ulteriori, complete indicazioni bibliografiche.

[58] Si veda quanto gia rilevato dalla nota 8 e le indicazioni bibliografiche ivi offerte.

[59] Cfr, in proposito quanto rilevato infra, par. 7.

[60] Cfr, quanto osservato retro, al par. 3, in ordine al contenuto normativo dell'art. 3 della Costituzione spagnola del "78 e alia relativa normativa di attuazione, cbiaramente ispirata ai criterio del «doppio livello» di tutela.

[61] Contro tale interpretazione, ripetutamente sostenuta, tra gli alttí, dalla Corte di cassazione, cfr. giá V. Crisafulli, La Costituzione e le sue norme di principio, Milano 1952, pp. 18 sgg., 27 sgg.: la tesi volta a riconoscere piena efficacia normativa alie norme «programmatiche», quantomeno quali comandí rivolti al legislatore e dunque potenzial-mente in grado di costituire il pressuposto di una pronuncia di incostituzionalitá di un atto normativo eventualmente lesivo dei principi in esse affermati, poté, come é noto, affermarsi solo a partiré dal momento della effettiva istituzione della Cocte costituzionale, la quale, fin dalla prima sentenza (la n. 1 del '%), rilevó che la distinzione fra norme «programmatiche» e norme (immediatamente) «precettive» non rísultava determinante al fine di valutare la costituzionalita di una legge, indípendentemente dall'essere questa an-teriore o successiva alia Costituzione: su tale vicenda e per Tésame delle principali posi-zioni al riguardo cfr. in particolare V, Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Pa-dova 1984S, p. 195 sgg.

[62] Come del resto affermato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 28 del 1982 della quale si sta per riferire.

[63] Cfr. P. Calamandrei, Cenni introdutt'wi alia costituente e ai suoi lavori, in Commentario alia Costituzione a cura di P. Calamandrei e A. Levi, Firenze, 1950, p. CXXXV.

[64] Le due deftnizioni sonó, rispettívamente, ancora di P. Calamandrei, L'ostruzionismo di maggioranza, in II ponte, 1953, p. 132 e di E. Cheli, 11 ruólo della carta repub-blicana nello sviluppo delle istituzioni italiane (1977), in Id., Costituzíone e sviluppo delle istituzioni in Italia, Bologna 1978, pp. 84 e 85; per una interessante ricostruzíone del dibatcito in ordíne all'attuazione della Costituzione e alia relativa problemática istitu-zionale, si veda, da ultimo, G. Rolla, Riforma delle istituzioni e costituzione materiale, Milano 1980, p. 7 sgg.

[65] Cfr. in questo senso soprattutto Pizzorusso, Lezioni di diritto costituzionale, cit., p. 80.

[66] Cfr., da ultimo, !e considerazioni svolte in proposito da M. Dogliani, Interpre-tazioni della costituzione, Milano 1982, specie p. 29 sgg.

[67] II che, come si vedrá meglio in seguito, per il principio di tutela delle minoranze linguistiche é avvenuto solo a partiré dagli anni '70, contemporáneamente aU'awento delle regíoni a statuto ordinario.

[68] Si vedano, in genérale, su tale problemática, gli scritti raccolti in Aa. Vv., Attualita e attuazione della Costituzione, Barí 1978, e, più di recente, Tintero dibattito sulle c.d. riforme istituzionali per il quale si vedano, tra i tanti, G. Amato, Una repubblica da rijormare, Bologna 1980, C. Mezzanotte e R. Nania, Riforme e costituzione, in Demo-crazia e diritto, 6, 1982, p. 12 sgg., Aa. Vv., Verso una nuova costituzione, Milano 1983, 2 voll., F. Pizzetti, Rifarme istituzionali e sistema político (Quaderni istituzionali di Arel n. 1), Roma 1984, e per gli aspetti più «politici» del dibattito, Relazione della Com-missione parlamentare per le rifarme istituzionali (Atti parlamentan, doc. XVI bis n. 3), Roma 1985, 2 voll.

[69] Di una funzione «anticipatoria» della giurisprudenza della Corte, nei periodo a cavallo degli anni 70, ha di recente parlato P. A. Capotosti, Tendenze attuali dei rap-porti ira corte costituzionale e sistema politico-istituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1983, p. 1587 sgg. e ivi ulteriori indicazioni al riguardo; sul problema dei rapporti tra giustizia costituzionale e sviluppo dei «diritti di liberta» cfr. comiinque A. Pizzorus-SO, I sistemi di giustizia costituzionale: dai modelli alia prassi, in Quaderni costituzionali, 1982, p. 521 sgg. Sulla nozione di supplenza giudiziaria e sui suoi presupposti politi-co-istituzionali si vedano invece S. Senese, Relazione, in Aa. Vv., La magistratura italiana nei sistema político e nell'ordinamento costituzionale, Milano 1978, spede p. 69 sgg.; V. Onida, L'attuazione della costituzione tra magistratura e corte costituzionale, in Aa. Vv., Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore a C. Mortati, Milano 1976, IV, p. 501 sgg. e A. PizzoRUSSO, L'organizzazione della giustizia in Italia, To-riño 1982, p. 52 'sgg.

[70] Cfr. in tal senso, da ultimo, Pizzorusso, I sistemi di giustixia coslituzionale, cit., p. 529 e P. Carrozza, La Cour d'Arbitrage belga come corte costituzionale, Padova, 1985, p. 81 sgg.

[71] Ció é accaduto, ad esempio, con la sentenza n. 156 del '69, mediante la quale, a seguito di impugnazione da parte della Valle d'Aosta, la Corte costituzionale ha di-chiarato ¿Ilegitimo l'art. 5 della legge (statale) 5 maggio 1969, n, 119 sul riordinamento degli esami di stato, nella parte in cui tale articulo non stabiliva, per tali prove, la facoltá di utilizzare indifferentemente una delle due lingue ufficiali della regione, in con-formitá a quanto dispone l'art. 38.2 dello st. V. d'A.; il testo della sentenza puo vedersi in 11 consiglio di stato, 1969, II, p. 1209 sgg.

[72] Cfr., ad esempio, Tribunale di Trieste, ord. 9 novembre 1960 (in Foro it,, 1961, II, 153) e Corte d'Appello di Trieste, sent. 9 luglio 1963 (in Giur. cost., 1965, p. 1603 ss. con nota dissenziente di L. Paladín, Sulla legittimita costituzionale delle norme processuali in tema di uso esclusivo della lingua italiana), che hanno ritenuto manifestáñente infondata la questione di costituzionaüta delTart. 122 c.p.c. in tema di uso obbligatorio della lingua italiana nei processo civile, per contrasto con l'art. 6 Cost.; la questione di costituzionlitá dell'art. 1 del r.d.l. n. 1796 del 1925, che impose l'uso della lingua italiana in tutti gli giudiziari, fu sollevata dal Tribunale di Roma, ord. 17 maggio 1969 (in Giur. cost., 1969, p. 2091), ma la Corte, con l'ordinanza 17 febbraio 1971, n. 23 (che puó vedersi ín Giur, cost., 1971, p. 141) decise di restituiré gü atti al giudice a quo per un congruo esame della rüevanza, ritenendo (giustamente) che le disposizioni del r,dJ. del '25 fossero state tácitamente abrógate dai citati articoli dei codid di procedura. Si osservi inoltre che nei caso di cittadini sia di Iingua tedesca che slovena, la Corte di cassazione ha mantenuto un orientamento di netta chiusura in tema di uso della Iingua materna nd processo pénale, subordinando Tuso della Iingua dell'imputato alia dimostrazione della non conoscenza della Jingua italiana, e in qualche caso disponendo d'uffido I'accertamen-to della conoscenza di quest'ultima anche semplicemente sulla scorta della documentazione scolastica allegata agli atti: cfr. Corte di cassazione, I, 23 maggio 1972, in Rivista italiana di diritto e procedura pénale, 1973, p. 884 sgg., con nota critica di M. Chiavabio, Ga-ranzie linguisticbe del processo pende ed «escamotares» riduttivi, e Corte di cassazione, VI, 27 maggio 1975, massimata in Massimario della cassazione pénale, 1976, p. 1083; per ulteriori indicazioni giurisprudenziali al riguardo cfr. Carrozza, Litigue (uso delle), rit.

[73] Cfr. Tribunale di Trieste, ord. 8 marzo 1977, in Foro it., 1977, II, 363.

[74] Tanto che il giudice a quo ha deciso di díssatendere l'interpretazione -relativamente favorevole agli appartenenti alia minoranza slovena- suggerita dalla Corte: cfr. Tribunale di Trieste, sent. 3 maggio 1982, in Foro it,, 1982, II, 342 e le osservazioni critiche di A. PizzoRUSSO, Postilla in tema di tutela della minoranza slovena, in Foro it., 1982, III, 455 sgg. A commento della sentenza n. 28 del 1982, oltre al gia richiamato Carrozza, II prudente atteggiamento della corte, cit., cfr. G. Mor, L'uso ufficiale ¿ella Iingua di una «minoranza riconosciuta»: il caso della minoranza slovena, in Le regioni, 1982, p. 388 sgg., E. Palici Di Suni, Corte costituzionale e minoranze linguisticbe: la sentenza n. 28 del 1982 fra tradizione e innovazione, in Giur. cost., p. 808 sgg., e V. Mar-chianó, Uso delle lingue nei procedimenti giudiziari e principi costituzionali, in Giuri-sprudenza italiana, 1982, I, p. 1387 sgg.

[75] Cfr., ad esempio, Corte costituzionale, sentenza 19 febbraio 1976, n. 26 e n. 34, che possono vedersi in Le regioni, 1976, p. 489 sgg. con nota di A. Pizzorusso e ivi ultetiori ampie indicazioni.

[76] Due ordinanze di rimessione provengono dal Consiglio di stato e riguardano principalmente, la prima (Cons. di stato, VI, 13 gennaio 1981), l'inosservanza del termine di due anni, decorrenti dall'entrata in vigore della Iegge costituzionale n, 1 del '71 di riforma dello statuto, per l'emanazione delle norme di attuazione dello statuto stesso (cfr. art. 108 st.) da parte del d.p.r. n. 752 del '76, e, la seconda, l'art. 1 della Iegge prov. di Bolzano 3 setiembre 1979, n. 12 nella parte in cui dispone che gli aspinmti al conseguimento delTautorizzazione all'esercizio di farmacia in provincia di Bolzano de-vono essere in possesso dell'attestato di bilingüismo (i1 c.d. palentino di cui al d.p.r. n. 752 del 76 e successive modifiche): entrarobe le ordinanze possono vedersi in Foro it., 1982, III, p. 455 sgg. con nota di ríchiamo di A. Pizzorusso. Altre due provengono invece dal Pretore di Bolzano: con la prima (ord. 28 setembre 1981, cui si é gia accennato retro, nota 46) é stata sollevata questione di costituzionalitá della disciplina concernente la dichiarazione dt appartenenza al gruppo linguistico in sede di censimento relativamente alia dichiarazione dei minori figli di genitor! «mistilingui», mentre con la seconda (ord. 22 dicembre 1981, in Gazzetta ufficiale 6 ottobre 1982, n. 276, p. 7248) é stata soEevata questione di costituzionalitá dell'art. 10, lettera d, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 597 e successive modifiche nelk parte in cui eselude la deducibilita ai finí IRPEF delle spese mediche non effettuate nel territorio dello stato da parte di cittadini italiani appartenenti al gruppo linguistico tedesco della provincia di Bolzano.

[77] Nella nota di richiami alie ordinanze di rimessione del Consiglio di stato cítate alia nota precedente.

[78] II relativo testo puó vedersi in he regioni, 1984, p. 238 sgg., con nota di A. Pizzorusso, Ancora su competenza legislativa regionde (e provinciale) e tutela delle minórame linguistkbe.

[79] A commento deüe due sentenze ultime cítate, n. 151 e n. 160 del 1985, cfr. quanto rilevato da U. Pototschnig, 11 procedimento di emanazione delle disposizioni di attuazione dello statuto alia luce dei priticipi costituzionati, e da P. Carrozza, I presup-posti di diritto internazionale dello statuto di autonomía con particolare riferimento agli art. 99 e 100. Comparazione con altri ordinamenti, relazioni al gíá ricordato convegno «L'uso delle litigue nel processo secondo lo statuto di autonomía del T.A.A.», Bolzano, 22-23 giugno 1985 (atti in corso di pubblicazione); sul problema della legittimitá della specialissima fonte di normazione costituita dai decreti legislativi di attuazione dello statuto di alcune regioni a statuto speciale, cfr., con particolare riferimento alie vicende del T.A.A., A. Pizzorusso, Nota a Consigiio di stato, ord. 13 gennaio 1981, in Foro ti., 1982, III, p. 455 sgg. e ivi ulterior! ampie indicazioni bibliografiche e giurisprudenziali, ad aggiornamento delle quali adde, oltre agli scritti di U. Pototschnig e P. Carrozza appena citati, in riferimento alia sentenza della Corte n. 212 del 1984 che ha risolto una questione solo parcialmente análoga concemente la Sardegna, affennando tuttavia gia -in motivazione- il principio della legittimká delle disposizioni di attuazione emanate mediante decreti legislativi anche praeter statututn, assai criticamente, U. Allegretti, La corte ribadhce l'estraneith del parlamento all'attuazione degli statult specidi, in Le regioni, 1984, p. 1310 sgg.

[80] Cfr, in tal senso A. PiZZORUSSO, II pluralismo lingüístico, cit., e ivi un elenco delle principali disposizioni aventi tale natura.

[81] Cfr. al riguardo S. Bartole, Passato e presente delle autonomie speciali, in 11 Mtdino, 263 (1979), p. 368 sgg.; L. Paladín, Relazione di sintesi, in Aa. Vv., Il molo delle autonomie speciali nell'ordinamento regionale italiano con particolare riguardo alia potesta legislativa primaria, Padova 1979, p. 155 sgg.; S. Bartole, Regioni a statuto speciale e rapporti con lo stato, in Aa. Vv., Le autonomie regionali e il potere lócale, Roma, 1984, p. 9 sgg.; R. BarbagallO, Le peculiarita dei singoli statuti speciali con particolare riferimento alia tutela delle comunita alloglotte, in II comune democrático, A, 1984, p. 47 sgg., nonché le indicazioni bibliogtafiche giá offerte retro, nota 7.

[82] Si veda in proposito quanto rilevato retro, par. 1 e le indicazioni fornite alia nota 9.

[83] Si spiega cosí, moho banalmente, la circostanza che tutti i progetti di legge presentad sino alia fine degli anni '60 al fine di assicurare la protezione di qualche gruppo minoritario assumevano la forma di proposte di legge statale; rio, come si vedrá meglio successivamente, é accaduto del resto anche in riferimento alie minoranze linguistiche deíla Calabria e, più in genérale, per l'intera minoranza albanese d'Italia.

[84] Sulla condizione giuridica della minoranza Iadina-dolomítica si veda soprattutto Pizzorusso, II pluralismo lingüístico, cit., p. 215 sgg., ad aggiornamento del quale adde E. Palici Di Suni, La minoranza lingüistica ladina in T.A.A., in Le regioni, 1983, p, 527 sgg.; Bartule, Minorante nazionali, cit. e, per il punto di vista degli appartenenti alia minoranza, gli scritti raccolti in Aa. Vv., Prospettive per l'unificazione delle valli Indine dolomiticbe, in Ladinia, 4 (1980) e F. Chiocchetti, La minoranza ladina dolomi-tica, in Sociología della comunicazione, 2 (1982), p. 67 sgg.

[85] Per l'elenco completo cfr. Pizzorusso, Le minórame nel diritto pubblico interno, cit., I, p. 427 sgg.

[86] Su tali vicende si vedano gli scritti giá citati retro, nota 9, noncbé PizzorUSSO, II pluralismo lingüistica, cit., p. 102 sgg. e A, E. Alcock, Geschichte der Südtirolfrage, Wien 1982; R. Riz, Minoranze linguistiche e gruppi etnici: esigenza di tutela e pro-spettiva europea, relazione alia Tavola rotonda «Per la tutela delle minoranze linguistiche presentí nel territorio nazionale», Trento, 31 agosto 1981 (ciclostilato), e le ulterior! indicazioni bibliografiche ivi fornite.

[87] L'art. 19 st, T.A.A. prevede inoltre espressamente che i cittadini di lingua tedesca abbiano diritto a ricevere un insegnamento in tale idioma da insegnanti per i quali esso sia «lingua materna». SulTordinamento scolastico e sul connesso problema lingüístico nel Sudtirolo si vedano in particolare M. Cossetto, Stato e istituzioni delle minorante linguistiche: la scuola in Alto Adige -Südtirol, in Prassi e teoría, 7 (1980), p. 173 sgg.; K. Egger, II gruppo linguistico tedesco in Alto Adige, in Sociología della comunic&zia-ne, 2 (1982), p. 57 sgg.; R. Gubert, The problems of interethnic relations in T.A.A. viitb rejerence to the new demaná for bilingualism by italians, in Aa. Vv. (a cura di B. De Marchi e A. M. Boileau), Boundaries and minorities in Western Europe, Milano 1982, p. 211 sgg.; G. Freddi, Maggioranze, minoranze e plurüinguismo nella provincia di Bol-zatio, in Aa. Vv., L'educazione plurilingüe in Italia, cit., p. 35 sgg.; contro ogní tentativo di diffondere il bilingüismo precoce, a difesa del più rígido separatismo etnico-linguistico cfr. tuttavia A. Zelger, Si al bilingüismo. No ad una cultura promiscua nel Sudtirolo, Bolzano 1980, nel quale vengono analizzate le ragioni «ideologiche» che hanno condotto i dirigenti della SVP ad ostacolare -con successo- qualsiasi esperienza di «scambio cultúrale» fra gli alunni delle scuole (sepárate) di lingua tedesca e italiana. Lo sconcertante risultato di questa política di cosí accanito rifiuto di ogni forma di contatto ístituzionaliz-zato tra i giovani appartenenti ai due diversi gruppi linguistici -difficilmente spíegabile con le pur giuste esigenze di difesa del gruppo di lingua tedesca dai tentativi di «assimi-lazione»-é che, attualmente, é ben più facile che simüi scambi awengano fra gli albanesi italiani e quelli di Albania e fra alunni delle' scuole di paesi dell'est e dell'ovest (cfr. al riguatdo i punti delFAtto finale delle Conferenza di Helsinky in tema di «Cooperazione e scambi nel campo dell'educazione», in E. Vitta e V. Grementieri, Códice degli atti internazionali, cit., n. 944 sgg.) che non fra alunni delle scuole tedesche e italiane in provincia di Bolzano.

[88] Cfr. al «guardo Pizzorusso, II pluralismo lingüistica, cit,, p. 206 sgg.; Carrozza, La dicbiarazione di appartenenxa al gruppo lingüistica, cit,; O. Peterlini, Der etbmsche Proporz in Südtirol, Bozen, 1980.

[89] Cfr. art. 38.3 st. V. d'A. e, di recente, artt. 50-54 della legge n. 196 del 78 di completamente) della normativa di attuazione dello statuto, che ha finalmente risolto l'an-nosa questione della applicazione di detto principio statutario; su tale problema cfr. Car-rozza, Lingue (uso delle), cit. e F. Bassantini e V. Onida, Osservazioni suü'art. 38, teño comma, dello statuto speciale della V, d'A., in Id., Problemi di diritto regionde. Milano, 1971, II, p. 275 sgg.

[90] Si vedano in proposito le indicazioni fornite retro, note 44 e 45 e testo corri-spondente.

[91] Su tali vicende si vedano soprattutto A. Pizzorusso, La tutela delle minoranze linguisticbe in Italia: il caso sudtirolese, in Le regioni, 191%, p. 1109 sgg., e, sulle più recenti tensioni fra i gruppi, P, Cabrozza, Minoranze linguistiche, in Annuario delle aulo-nomie locali, 1981, p. 390 sgg., 1982, p. 397 sgg., 1983, p. 412 sgg. e 1984, p. 400 sgg.

[92] Ci sí riferisce alia sentenza n. 28 del 1982, della quale si e gia dato ampiamente contó retro, par. 5, nota 73 e testo corrispondente.

[93 I] l problema «minoritario» della regione F.V.G. h ben più complesso di quanto non appaia a prima vista se si considera che anche i ladini fríulani residenti nelle province di Udine e Pordenone aspirano, come é noto, ad ottenere un adeguato riconosci-mento della loro condizione di minoranza lingüística; sulla tríplice «anima» italiana, slovena e ladina-friulana della regione cfr. A. Agnelli, I molteplici diversi del F.V.G., in II Mi/lino, 263 (1980); B. De Marci, A sociology of language research in F.V.G., a mul-tilingual border área, in Aa. Vv., Boundaries and mirtorities in Western Europe, cit., p. 183 sgg. In pratica, per quanto concerne il gruppo sloveno, Túnico profilo della tutela giuridica per esso prevista dalle norme di diritto internazionale ed interno effettivamente -e in modo soddisfacente- attuato é costituito dalla legislazione scolastica di cui alia legge 19 luglio 1961 sulle scuole con lingua di insegnamento slovena -per la veritá in buona parte «ereditate» dall'amministrazione alleata di Trieste- e successive integrazioni; su tale or-dinamento scolastico particolare si veda soprattutto D: Bonamore, Disciplina giuridica delle istiluzioni scolastkhe a Trieste e Gorizia, Milano 1979. Per il resto la tutela giuri-dica del grupo lingüístico sloveno -per il quale sonó attualmente in discussione al Se-nato varié proposte di legge- e dei ladini friulani appare ancora tutta da definiré: oltre agli scritti citati retro, note 7 e 9, sulla complessa problemática della tutela gjuridica del gruppo sloveno cfr. S. Bastóle, Profili della condizione giuridica della minoronza slovena neli'ordinamento italiano, in Aa. Vv., Scritti in onore di M. üdina, Milano, 1975, II, p. 1333 sgg.

[94] Per i quali é sufficiente rinviare alie indicazioni bibliografiche fornite retro, par. 1, nota 1.

[95] Cfr. gli scrittí gíá ticordati alie note 1, 2 e 24.

[96] Si veda in particolare, in riferimento al problema dei «dialetti» E. Zuanelli Sonino, Verso una teoría dell'educazione lingüistica, in Aa. Vv. Italiano, dialetto, lingue straniere alie elementan, cit., p. 15 sgg., e più in genérale, con riferimento alie lingue minoritarie, gli scritti raccolti nel giá più volte chato Aa, Vv., L'educaztone plurilingüe in Italia.

[97] Riferendoci con tale nozione sia alie regioni -quelle che hanno adottato concrete iniziative al riguardo- che agli altri enti locali, province e comuni, i quali ultimi anche per questo genere di attivitá, conformemente ad un andamento delle relazioni stato-regioni e stato-enti locali che costituisce un «assurdo» istituzionale ma ha manifestaziord sempre più evidenti (cfr. in proposito i dati e le considerazíoni offerte da F. Pizzetti, Aspetti del sistema político amministrativo: contrazione di risorse e rapporto centro-auto-nomie, in Aa. Vv. (a cura di M. Cammelli), Le istituzioni nella recessione, Bologna 1984, p. 219 sgg.), hanno forse goduto di maggior liberta -grazie ai minori controlli «repres-sivi» da parte dello stato- che non le prime.

[98] E sui quali si é gi£ avuto modo di sorfermare F attenzione: cfr. le indicazioni fornite alie note 7, 85 e 91.

[99] Tale attenzione si é concretizzata nell'organizzazione di' un convegno (Trieste, 18-19 giugno 1982) in cuí é stata discussa la posizione del sindacato su tale problemática, nonché nella pubblícazíone del gia ricordato volume di Aa. Vv., Lingua, cultura, educa-ziorte, curato da S. Meghnagi e edito appunto dall'IRESCGIL: cfr. in proposito S. Tiella, Centralita e non rnarginalita della questione delle minoranze, in Sindicato e scuola, 25-28, 1982, p, 6 e ivi ampi riferimenti al dibattito svoltosi al citato convegno di Trieste.

[100] Si vedano gü interessanti risultati degli studi e delle ricerche pubblicate in Aa. Vv., Problemi linguistici e televiüone, fascicolo monográfico di Informazione radio-TV, 1-6, 1980, edito dal Servizio documentazione e studi della RAL

[101] Da ció díscende, come del resto si é píü volte avuto modo di sottolineare, l'intetesse pet tale problemática non solo da parte dei linguisti, ma anche di sociolinguisti, antropologi e studiosi di scienaa dell'educazione.

[102] Sul problema dei rapporti tra suddivisione política regionale e parttcolaritá linguistko-culturali delle corrispondenti popolazioni si veda, in particolare, M. Pedrazza Gorlero, Le variazioni territorial! delle regioni, Padova 1979, p. 16 sgg. e bibliografía ivi citata. Cío non ha impedito, come sí é giá avuto modo di ricordare, che più o tneno adeguatí riconoscimenti delle esigenze di tutela dei vari gruppi minoritati fossero accolti nei testi di alcuni statuti regionali: cfr. le indicazioni fomite alia nota 11, cui acide V. D'Aimmo, La tutela delle minoranze negli statuti regionali, relazione alia Tavola rotonda «Per la tutela delle minoranze linguistiche presentí nel territorio nazionale», Trento, 31 agosto 1981 (ciclostilato), e J. U. Clauss, Regional auloritbies and linguistic minori-ties in Italy, in Aa. Vv., Centre et peripberks: le partage du pouvoir, cit., p. 127 sgg.

[103] Cfr. artt. 47, 48 e 49 del d.p.r. chato, a commento dei quali si vedano C. Ca-niiUi, sub artt. 47, 48 e 49, in Aa. Vv. (a cura di E. Capaccioli e F. Satta), Commento al decreto 616, Milano 1980, p. 803 sgg.; A. Predieri, sub artt. 47 e 48, e R. Zacearía, sub art. 49, in Aa. Vv. (a cura di A. Barbera e F. Bassanini), 1 nuovi poteri delle regioni e degli enti locali, Bologna 1978, p. 304 sgg., nonché le indicazioni offerte retro, nota 38 e nel testo corrispondente.

[104] I prowedimenti legislativi regionali in questione sonó: la legge del Molise de-liberata il 28 luglio 1977, rinviata dal commissario del governo e non ripresentata (il testo pud vedersi in Cittó e regione, 3, 1980, p. 159 ss.), a commento della quale cfr. Ingicco, Minoranze Iinguistiche: due iniziative regionali rinviate dal governo, cit.; la legge regionale del Piemonte 20 giugno 1979, n. 30, gia deliberata nel 77 e sottoposta a vari rinvii da parte del comissario del governo prima di essere promulgata in gran parte svuotata del primitivo contenuto (cfr. a suo commento, e per tali vicende, R. Ingico, La legge regionale piemontese sulla tutela del patrimonio lingüístico e cultúrale, in Le regioni, 1980, p. 7 sgg.); il gia ricordato prowedimento della Calabria, deliberato il 17 dicembre 1979, e rinviato per ben due volte dal commissario governativo (cfr. le indica-zioni al riguardo gia fornite alia nota 16); della legge siciliana 6 maggio 1981, n. 85, «Prowedimenti intesi a favorire lo studio del dialetto siciliano e delle litigue delle minoranze etniche nelle scuole dell'isola», impugnato dal commissario del governo nelle parti contenenti riferimenti alie «minoranze etniche dell'isok», si é gia detto (cfr. nota 15); mentre una proposta di análogo contenuto, volta ad individuare misure in favore della minoranza albanese residente in Basilicata, é stata presentata al consiglio regionale il 2 maggio 1978, ma, a quanto consta, non e mai stata presa in esame dai consiglieri.

[105] Cfr. le indicazioni bibliografiche e documentali fornite retro, nota 38 e testo corrispondente.

[106] Suli'utilizzazione delle competenze regionali diverse da quelle relatíve ai settori dell'assistenza scolastica e della ptomozione cultúrale ai fini della tutela delle rispettive minoranze linguistiche si veda soprattutto A. Pizzorusso, L'attivita delle regioni italiane per lo sviluppo e la difesa delle culture locali, in Aa, Vv. (a cura di Y, Meny), Dix ans de régiondisation en Europe, Paris, 1982, p. 243 ss. e ivi ulteriori, ampie indicazioni bi-bliografiche,

[107] Sull'atteggiamento delle varié forze politiche in ordine aUa problemática della tutela delle minoranze «non riconosciute» si veda P. Carrozza, Minoranze linguistiche, in Annuario 1982 delle autonomie locali, cit. pp. 395 e 396, cui adde, per quanto riguarda la DC, P. G. Bressani, Intervenía, alia Tavola rotonda «Per la tutela delle minoranze linguistiche presentí sul territorio nazionale», Trente, 31 agosto 1981 (ciclostilato).

[108] Cfr. quanto giá rilevato alia nota 14; la sent. n. 32 del '60 puó vedersi in Gittr. cost., 1960, p. 537 sgg., la n. 1 e la n. 46 del '61 possono vedersi ibiáem, 1961, rispetcivamente pp. 3 sgg. e 910 sgg., la n. 128 del '63 tbidem, 1963, p. 1.411 sgg.

[109] Cfr. sent. ti. 14 del '65, in Giur. cost., 1966, p. 142 sgg., con nota critica di L. Elia, Dal conflitto di attríbuzione al conflitto di norme.

[110] Si vedano al riguardo le consíderazioní giá svolte retro, par. 5, nota 57 e testo corrispondente.

[111] Si veda il giá più volte richiamato, anche in questo senso, A. Pizzorusso, II pluralismo lingüístico, p. 237 sgg.

[112] Sulla nozione di criterio teleologico o finalistico di individuazione-definizione delle competenze degli enti decenttati neglí ordinamenti a struttura regionale e fedérale cfr. soprattutto G. Amato, II sindicato di costituziondita sulle competenze legislatwe dello stato e della regione alta luce dell'esperienza statunitense, Milano 1964, p. 300 sgg., ad aggíornamento del quale cfr. Paladín, Diritto regionale, cit., p. 77 sgg. e le ulteriori indicazioni offerte in Carrozza, La Cour d'Arbitrage belga come corte costituzionale, cit., p. 23 sgg.

[113] La quale risulta evidente ove si considerino gli spunti di notevole interesse e le «aperture» contenute nella motivazione a fronte del deludente dispositivo, con ü quale la Corte dichiara infondata -nei limiti dell'interpreta2Íone di cui alia motivazione- la questione di costituzionalitá dell'art. 1373 c.p.p, sollevata dal Tribunale di Trieste: infatti, trattandosi di una sentenza «interpretativa di rigetto» la sua «vincolativitá» é affidaca soprattutto all'«e£ficacia persuasiva» delle argomentazioni addotte dalla Corte a sostegno deU'interpretazione proposta, ma tale rimedio rischia di rivelarsi inadeguato a causa dei contrastanti orientamenti assuntí in materia dai giudici ordinari e ammini-strativi triestini nonché dalla stessa cassazione. Si vedano al riguardo gü scritti indicati retro, nota 73.

[114] Contrariamente a quanto più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, per la quale cfr. i richiami offerti alia nota 71.

[115] Si vedano le indicazioni in proposito offerte retro, nota 77.

[116] Si veda soprattutto lo scritto di A. PizzORUSSO citato alia nota 109.

[117] A pacte quanto si rileverá tnfra, negli ultimi tre paragrafi, in ordine alia genesi della attuaie proposta di legge genérale, per quanto concerne ü diritto comparara occorre ricordare che essa ha il suo principale e più immediato -ancorché poco conosciuto- precedente nella c.d. Volksgruppengesetz austríaca del 7 luglio 1976. Tale provvedimento, con il quale si intendevano disciplinare le misure di tutela previste in favore dei piccoli gruppi linguistici minoritari residenti in Austria (sloveni, croa-ti, ungheresi e cechi), ma che per i contenuti e per i procedimenti di individuazione dei gruppi destinatari delle misure differisce alquanto dalla (proposta di) legge italiana, é stato assai contéstate da alome minoranze -soprattutto sloveni e croad- sia perché, all'atto pratico, il trattamento in esso previsto risultava per certi aspetti peggiotativo rispetto al trattamento imposto alio stato austríaco dagli alleati all'art. 7 del Trattato di stato del 15 maggio 1955 (cfr. tale articolo in A. Pizzorusso, Le minoranze nel iiritto pubbli-co interno, cit,, II, p. 648), sia perché, più ín genérale, esso condiziona il riconoscimento di alcune situazioni giuridiche soggettive in favore degli appartenenti alie minoranze al preventivo accertamento della consistenza dei gruppi in base ai risultati del censimento lingüístico (cfr. soprattutto art. 2, primo e secondo cotnma della legge). Delle polemiche relative al tipo di quesiti previsti in mérito alia rílevazione del gruppo lingüístico di appartenenza dalla legislazione austríaca sui censimenti si h giá avuto modo di riferire: cfr. le informazioni e le indicazioni offerte retro, nota 49. Sui problemi connessi alia tutela della minoranza slovena ín Austria cfr. T. Veiter, Das Recbt der Volksgruppen una Sprachminderheiten in Oesterreick, Wien 1970, p. 258 sgg.; a commento della citata legge del '76 cfr. soprattutto T. Veiter, Das osterreicbiscbe Volksgruppenrecht seit dem Volksgruppeitgeselz von 1976, Wien, 1979; un giudizio piuttosto positivo, nonostante le polemiche cui ha dato luogo, é stato espresso nei confronti di tale legge da De Witte, La plurdité etbnique et l'autonomie culturelle, cit., p. 104.

[118] Per la nozione di «minoranze volontarie» cfr, soprattutto Pizzohusso, Le minoranze nel dititto pubbíico interno, cit.( I, p. 126 sgg.

[119] Cfr. A. Pizzorusso, L'attuazione del principio coslttuzionale di tutela dei gruppi linguistici in Italia, in Aa. Vv., Etttia albanese e minoranze linguistiche in Italia (Atti dell'Xl convegno internaiionsle di studi albanesi), Palermo 1982, p. 11.

[120] Pizzorusso, op. ult. di., p. 22.

[121] Cfr, le indicazioni bibliografiche relative a tali otdinamenti scolastici fotnite retro, note 7, 85 e 91.

[122] Camera dei deputati, VII legislatura, proposta di legge n. 1136 d'iniziativa dei deputati Rende e altti, «Norme per l'insegnamento della lingua albanese nelle scuole del-Tobbligo nei corauni italiani con popolazione d'origine albanese».

[123] Senato, VIII legislatura, disegno di legge n. 236 del 12 agosto 1979; il disegno di legge é stato ripresentato anche nella IX legislatura, col n. 86, il 9 agosto 1983.

[124] Prime tra tutte, a quanto consta, la proposta di legge regionale n. 4 del 7 ot-tobre 1975, d'iniziativa del gruppo consiliare del PCI, «Insegnamento della lingua albanese», e la proposta n. 57 del 13 aprile 1976, d'iniziativa del consigliere Brunetti del PDUP, «Istituzione della scuola pubblica prescolarc per l'infanzía nei comuni d'origine albanese, come premessa di una struttura sedare ebe salvaguardi la cultura albanese e fa-vorisca l'insegnamento bilingüe nella scuola elementare e nella media dell'obbügo»; a tali due proposte si aggiunsero poi altri progetti della DC e del PSI.

[125] Cfr. quanto si é più in genérale rilevato retro, par. 7,

[126] Si vedano, ad esempio, la l.r. Emilia Romagna 9 agosto 1976, n. 38, k l.r. Abruzzo 14 giugno 1977, n. 27, la l.r. Toscana 29 luglio 1977, n. 36: per un'ampia panorámica di tale tipo di interventi regionali cfr. le indicazioni gia forníte alia nota 38; per l'elenco delle leggi regionali di finalitá analoghe ma contenetiti espliciti riferimenti alie minoranze linguistiche cfr, invece la nota 102.

[127] Si vedano, su tale vicenda, le indicazioni offerte retro, nota 16.

[128] Cír. Consiglio regionale della Calabria, II legislatura, Allégate alia delíberazio-ne n. 867 del 19 dicembre 1979, p. 6.

[129] Per la cui ricostruzione cfr. soprattutto Pizzorusso, Le minoranze nel diritto pubblico interno, cit., I, p. 76 sgg.; Capotorti, II problema ¿elle minoranze nei diritto intertiazionale, cit., specie p. 129 sgg.; De Witte, The proiecüon of linguistic diversity through fundamental rights, cit., p. 112 e ivi una completa informazíone bibliográfica sulTargomento, nonché gli scritti citati alia nota 5.

[130] Cfr. ad esempio il progetto di convenzione sulla «ptotezione delle minorante nazionali ed etniche» presentato alia Commíssione per i diritti delTuotno dell'ONU nel 1979 dall'autorevole Minority Rights Group in appendice a J. Fawcett, The international protection of minorities, London 1979:, p. 16 sgg. (il progetto é stato materialmente ela-borato da un gruppo di studiosi coordinanti da F. Ermacora); per un quadro aggiornato ai più recenti sviluppi adde N. Ronzitti e A. De Guttry, Autodeterminazione, autonomía e tutela delle minoranze, relazione presentata al gia ricordato convegno di Trento «I rapporti di vicinato tra Italia e Austria», 21-22 giugno 1985 (ciclostilato), p. 25 sgg. e A. Pizzorusso, Etnismo e diritto internazionale, relazione al convegno «Dai diritti dell'uomo ai diritti dei popoli», S. Marino, 27-29 giugno 1980, ora in Etnie, 2 (1980), p. 64 sgg.

[131] Cfr. G. Gaia, I patti internazionali sui diritti economici, socidi e sui diritti civili e politici, in Vitta, Grementieri, Códice de gli atú internazionali, cit., p. 47 sgg.

[132] Cfr. ín questo senso, seppur assai cautamente, Capotorti, op. ult. cit., pp. 130 e 131.

[133] In dottrina é stata perianto avanzata l'ipotesi che íl earattere tendenzialmente transitorio delle misure di tutela aventi finalitá riparative affermato in tale atticolo com-porterebbe la necessita di applicare in forma più «elástica» di quanto non avvenga attual-mente talune misure di tutela previste in favore della minoranza di lingua tedesca del Sudtirolo cui si protebbe riconoscere tale natura, con particolare riferimento all'istituto della dichiarazione di appartenenza al gruppo lingüístico, quale espressione -nel caso in cui tale dichiarazione non abbia effetti «statistici» ma costituisca il presupposto sogget-tivo per l'accesso a detetminati impieghi e servizi- del più rigido ed esasperato «separatismo» étnico; cfr., in questo senzo, F. Saleeno, Discriminazione razziale, in Vitta, Grementieri, Códice de gli atti internazionali, cit., p. 266.

[134] Si veda, in questo senso, soprattutto Pizzorusso, 11 pluralismo lingüístico, cit., P- 89 sgg.

[135] Cft., da ultimo, Pizzorusso, La tutela ielle minórame linguistiche nel processo: rapporti tra diritti individuali e diritti collettivi, cit.; per alcuni esempi di disposizíoni aventi, almeno in parte, tale natura cfr. Id., II pluralismo lingüístico, cit., p. 61 sgg., ma tale autore (ibidem, pp. 50 e 111 sgg.) nega che in questi casi si possa parlare di vera e propría «autonomía personale della minoranza»; si vedano comunque altresl, in argo-mento, le lucide considerazioni comparatistiche svolte da De Witte, La phiralité etbnique it l'autonomie culturelle, cit. specie p. 100 sgg.

[136] Cfr., Pizzorusso, II pluralismo lingüístico, cit., p. 94; sulla forma di tutela degli appartenenti alie minoranze in tema di uso delle lingue nel processo che potrebbero derivare dall'art. 6 della Convenzione ove tale disposizione, avente carattere selj-execuüng, trovasse effettiva applícazione da parte dei giudíci italiani, cfr. M. Chiavario, La C.E.D.U. ed il suo contributo al rinnovamento del processo pende italiano, in Kivista di diritto internazionale, 1974, p. 454 sgg., specie p. 467 sgg.

[137] Sui presupposti politici e sui contenutí della risoluzione si veda soprattutto G. Arfé, La carta di Strasburgo e le culture minoritarie, in Citta e regione, 1, 1982, p. 59 sgg., nonché Id., II diritto alia differenza, in Rinascila, 5, 1985, p. 12 sgg.; il testo pub invece vedersi nella Gazzetta ufficiale delle CE. del 9 novembre 1981.

[138] Il testo della dichíarazione puó vedersi in Citta e regione, 2, 1978, p. 119 sgg.

[139] Cosí, benché la citata Dichiarazione di Bordeaux dedichí ben 12 articoli (da 25 a 36) per offrire adeguate indicazioni in mérito ai rapporti tra «regioni e cultura», in tema di minoranze linguistiche l'art. 30 si limita ad affermare che «...Le regioni costi-tuiscono un ámbito idóneo per il riconoscimento delle differenze etniche e culturali, per la valorízzazione delle lingue regionali, delle culture e delle tradizioni regionali. La delega alie istituzioni regionali di poteri che appartengono specificamente al governo é la ris-posta democrática lógica alia riaffermazione delle tradizioni etniche e culturali proprie in ogni regione», laddove non risultano del tutto chiari i motivi dell'implicito ríconosci-mento, alio stato attuale delío sviluppo dei diritti individuali e collettivi di liberta, di questa sotta di competenza «originaria» dei governi in tema di minoranze linguistiche. A parte ció, nei confronti di tale indirizzo (ma l'obbiezione vale in parte anche per la risoluzione votata dal Parlamento europeo) era stato non a torto rilevato (cfr. A. E. Alcock, Peripheral regions and divided communities in Europe. The case of Northern Ireland, in Aa. Vv., Regionalismus in Europa, cit., p. 184 sgg.) che l'identificazione regio-ni/competenze «culturali»/tutela minoritaria presuppone una coincidenza pressoché per-fetta tra aree di diffusione delle minoranze e divisioni politíco-amministrative di livello tegionale, il che, come e noto (e come del resto é nel caso considerato dalTautore, noncbé per tutte le minoranze «non riconosciute» residenti in Italia, eccetto che per i casi -del tutti particolari- dei sardi e dei ladini friulani), raramente awiene. Tale problema, ha, astrattamente, almeno due soluzioni .-escludendo a priori, per le oggettive difficolta di realizzazione, forme di «autonomía personales della minoranza (cfr. al riguardo le citazioni offerte alia nota 133)-: la prima consiste nel disegnare (o ridi-segnare) i confini dei poteri locali in modo da garantiré la maggior coincidenza possibile tta essi e le zone di diffusione delle varié minoranze: soluzione, questa, che, a causa delle note difficolta di ordine político, sembra praticabile soltanto in quei paesi in cui i pro-cessi di decentramento regionale e/o lócale sonó ancora nella fase iniziale (h questa, pe-raltro, la strada suggerita dalla risoluzione del parlamento europeo del 1981). L'aJtra so-luzíone, sulla quale sí avrá modo di rítornare tra breve, trattandosi di quella che, pur tra qualche incertezza, sembra essere stata fatta propria dalla proposta di legge genérale italiana, consiste invece nel riconoscere si, con decisione, le competenze regionali in tema di tutela delle minoranze, ma di prevedere poi che nella gestione di tali competenze sia garantito adeguato «spazio» agli enti locali minori, i quali, viste la dimensione quantitativa e le modalitá di diffusione delle minoEanze non riconosciute, costituiscono senz'altro gü unici enti in cui gü appartenenti alie minoranze rappresentano, almeno in buona parte dei casi, la maggíoranza dei residenti, e ben si prestano, dunque a costituire i «naturali» enti esponenziali di tali gruppi.

[140] Risulca praticamente impossibile, \n questa sede, daré contó di tutte le suddette iniziative, ad alcune delle quali, del resto, si é giá avuto modo di fare riferimento; tra gli scritti volti ad iIlustrare il possibile contenuto della «legge genérale» e a commentare le varíe proposte avánzate, a quelli sin qui indican nelle note al testo adde: M. Udina, Suü'attuazione dell'art. 6 della costituzione per la tutela delle minórame linguistiche, in Gitir. cost., 1974, p. 3062 sgg.; A. Pizzorusso, La tutela delle minorante linguistiche neü'ordinamento giuridico italiano, in Cittá e regione, 3, 1980, p, 34 sgg.; T. De Mauro, Un dibattito urgente; M. Pira, Lingua e etnia; A. Pizzorusso, I problemi costituvonali; A. Srussi, L'educazione lingüistica e M. Bolognari, II quadro legislativo, tutti in Qua-derni sardi di ítoria, 2 (1981), p. 3 sgg.; A. Pizzorusso, Verso l'attuazione dell'art. 6 della costituzione per la tutela delle minórame linguistiche, relazione alia Tavola rotonda «Per la tutela delle minoranze linguistiche presentí sui territorio nazionale», Tremo, 31 agosto 1981 (ciclostilato); S. Tiella, Note suüe proposte di legge per la tutela delle minoranze linguistiche, in Aa. Vv., Lingua, cultura, educazhne, cit., p. 105 sgg.

[141] Cfr. in pcoposito A. Pizzorusso, Le minórame, le lingue, le leggi, in Citth e regione, 3, 1980, p. 47 sgg.

[142] II cui testo pu6 vedersi ín Minórame, 6/7 (1977), p. 39 sgg.

[143] I relativí testi possono rispettivamente vedersi in Minoranze, 6/7 (1977), p. 39 sgg, e S (1978), p. 34.

[144] Cfr., per tali vicende, P. Cakrozza, Minorante íinguistiche, in Annuario 1983 REVISTA DE LLENGUA I DRET delle autonomie locali, cit., p. 404 sgg, e ulteriori indicazioni ivi offerte.

[145] Si veda M. Brunetti e R. Bruno (in qualitá di rappresentanti delle due cítate associazioni), Considerazioni e proposte sulla bozza di testo unifícalo elabóralo dal relatare on. Fortuna su «Norme in materia di eguaglianza dei diritti littguistiá», Lungro 1984 (ciclostilato).

[146] Cfr. Camera dei deputati, IX legislatura, I commissione in sede referente, Reso-conti sommari, sedute dal 23 novembre 1983 al 17 aprile 1985 (i resoconti sonó stati cortesemente messi a disposizione prima della pubblicazione dal Segretario della Commissione affari costituzionalí, dott. Ugo Zampetti), e A. Bakaccetti, Non voteremo il testo-Fortuna, in La repubblica, 12 febbraio 1985, p. 6.

[147] Si veda quanto rilevato in ordine al problema deU'appartenenza dei cittadini ai vari gruppi linguistici come atto e come fatto giuridico retro, S 4.

[148] Cfr. le considerazioni al riguardo giá svolte retro, § 4.

[149] Cfr. Pizzorusso, L'attivita delle regioni italiane per lo sviluppo e la difesa delle culture locali, cit., p. 243 sgg.

[150] Cfr. «Didimo», Cittadini del planeta, in La Stampa, 6 luglio 1985, p. 3, REVISTA DE LLENGUA I DRET

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