Limba sarda comuna: prima storia, spirito politico e forma futura

AutorGiuseppe Corongiu
CargoConsulente Attività Linguistiche. Regione Autonoma Sardegna
Páginas13-28

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La Giunta regionale della Sardegna con una recente deliberazione del 18 aprile 2006 ha adottato una norma standard ufficiale per la lingua sarda con il nome di «Limba Sarda Comuna».1 La decisione del governo di centro-sinistra dell’isola mediterranea, presa di concerto tra il presidente Renato Soru e l’assessore della Pubblica Istruzione Elisabetta Pilia, ha chiuso un lungo, aspro e dibattuto processo di standardizzazione cominciato all’indomani dell’approvazione delle leggi linguistiche n° 26 del 1997 regionale e n° 482 del 1999 statale.2

La Regione Autonoma della Sardegna aveva già elaborato delle norme comuni di riferimento nel 2001 attraverso il pronunciamento di una commissione che aveva proposto una «Limba Sarda Unificata»3 che però, in seguito a polemiche e disconoscimenti sul suo presunto sbilanciamento a favore dei dialetti centro-settentrionali, non era stata mai adottata ufficialmente dall’ese-Page 14cutivo regionale, mentre era stata sperimentata da alcuni enti locali quali la Provincia di Nuoro negli anni dal 2003 al 2005. In seguito alle critiche e allo scontro emerso all’interno del movimento di promozione de «sa limba», nel 2004, un comitato composto da tre autorevoli associazioni di attivisti e studiosi (Sòtziu Limba Sarda, Fondazione Sardinia e Istituto Cammillo Bellieni), aveva lanciato l’idea di uno standard basato sulla «Limba de Mesania», ovvero la rimodulazione di una varietà linguistica «centrale» rispetto ai dialetti del Nord e del Sud, basata sul modello della lingua usata dalla regina Eleonora d’Arborea (eroina della sovranità sarda contro l’espansionismo catalano nel XIV secolo) per scrivere le leggi dello stato indipendente sardo distrutto poi da Martino il Giovane, figlio di Martino l’Umano.4

La «Limba sarda comuna» adottata dalla Regione Sardegna, alla fine, sembra essere il giusto ed equilibrato compromesso tra queste due proposte di unificazione linguistica atteso che una commissione di esperti5 aveva dibattuto per circa un anno intorno alla problematica ed aveva concluso che lo standard ufficiale della Regione avrebbe dovuto essere: «una varietà linguistica naturale che costituisca un punto di mediazione tra le parlate più comuni e diffuse e aperta ad alcune integrazioni volte a valorizzare la distintività del sardo e ad assicurare la sovramunicipalità e la semplicità del codice linguistico. Sulla base di questo mandato, la Commissione, dopo ampia discussione e costruttivo confronto di opinioni, è giunta all’unanimità ad una scelta condivisa.»6

Il testo ufficializzato sette mesi dopo dal governo regionale, intimamente legato alle risultanze del lavoro della commissione, è stato approvato contestualmente all’emanazione della prima delibera tradotta in lingua sarda (ovviamente redatta in Limba sarda comuna) della Regione Autonoma della Sardegna dal 1948, anno della sua costituzione a oggi.

Nonostante questo sia stato un atto con forte valenza politica autonomistica, la linea dichiarata del governo sardo è comunque prudente e moderata nell’applicazione di un piano strategico effettivo per la normalizza-Page 15zione della lingua sarda. Nella delibera del 18 aprile 2006 si legge, infatti, che le norme di riferimento adottate sono «sperimentali» e solo «in uscita». Ovvero l’Amministrazione Regionale conferma di voler tutelare «tutte le varietà linguistiche presenti nel territorio regionale» e di impiegare la Limba sarda comuna solo «...per l’uso scritto in uscita di alcuni atti dell’Amministrazione Regionale e per la traduzione di norme e documenti particolarmente importanti...». Ogni cittadino sardo, se vorrà, potrà scrivere nella sua variante linguistica all’Amministrazione senza osservare le norme dello standard. In ogni caso, come prevede la legge statale all’articolo 8, il testo che ha valore giuridico è quello in lingua italiana.

Siamo in altre parole ancora su un piano simbolico dell’uso della lingua, non certo comunicativo e tantomeno «normale». Allo stesso tempo però il Governo Sardo dichiara che lo strumento linguistico così approvato consente «...di avviare un processo graduale mirante all’elaborazione di una Limba Sarda Comuna...» vera e propria, e che la Lsc «...intende rappresentare una «lingua bandiera», uno strumento per potenziare la nostra identità collettiva, nel rispetto della multiforme ricchezza delle varietà locali...». Così come poche righe sopra la Giunta Regionale soppesava la scelta nella valutazione dell’«opportunità di adottare una lingua anche per creare le premesse di una rappresentanza regionale, come espressione di una lingua minoritaria, nel Parlamento europeo».7

Per la Regione Autonoma della Sardegna la lingua è dunque un simbolo, una bandiera, (termine curiosamente ed etimologicamente legato nel significato a quello di «standard»), ma rappresenta un problema dal punto di vista comunicativo per la concorrenza della lingua statale italiana e per l’apparente frammentazione della realtà linguistica sarda.

Questo atteggiamento quasi schizofrenico del Governo sardo, poco spiegabile con la moderna dottrina della pianificazione linguistica e dell’uso dello standard, si spiega in realtà con la necessità di venire a patti con la complessa situazione politico-culturale dell’isola che in questi anni, pur prendendo coscienza della sua diversità identitaria all’interno dell’Italia, stenta ad intravedere nella questione linguistica la forza motrice principale della sua vocazione autonomistica.8

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In realtà, l’intellettualità sarda è profondamente divisa sul problema della lingua che, in declino da parecchi decenni, nonostante una florida e giovane stagione di produzione letteraria, sta subendo un processo di sostituzione linguistica che è ormai quasi completato nelle grandi città. Resiste invece, minata però nel prestigio sociale, nelle aree interne dell’isola, pur con una situazione complessa, influenzata da fattori di mancata trasmissione generazionale, non omogenea e a «macchia di leopardo».9

Nonostante le leggi regionali e statali, l’insegnamento del sardo non è praticato con regolarità nelle scuole e le nuove generazioni tendono a non usarlo. Le Università di Cagliari e Sassari sembrano privilegiare ancora un approccio «storico» alla valorizzazione della lingua promuovendo la filologia, la glottologia, la storia della letteratura e lo studio delle etimologie piuttosto che la pianificazione linguistica moderna della didattica, della terminologia o della comunicazione. I linguisti accademici sardi, nella stragrande maggioranza dei casi, non parlano la lingua sarda, o non la vogliono usare. Forse temono anche che nasca una corrente di studi «sardistica» che li vedrebbe emarginati e sacrificano così per egoismo il destino della lingua sarda per non rischiare di vedere ribaltate le gerarchie accademiche.

I mass media, situati perlopiù in zone urbane, discriminano l’uso della lingua (salvo lodevoli eccezioni) e contribuiscono con la pubblicazione di articoli «ideologici» alla confusione, all’inquinamento propagandistico e all’avvolgimento del dibattito politico-linguistico su sé stesso. Si tende a dare un’immagine degli attivisti-linguisti come litiganti che non concludono mai il loro lavoro, e che la questione dell’unità della lingua è troppo difficile da realizzare. Si tende inoltre a ospitare qualsiasi intervento polemico, senza soppesare la competenza di chi scrive, piuttosto che occuparsi dei problemi con scientificità e politicità. Gli articoli in «limba sarda» sono banditi dalle pagine, spesso anche da quelle delle opinioni dei lettori.

La politica di unificazione e normalizzazione della lingua è resa difficoltosa comunque dalla oggettiva e complessa stratificazione linguistica della Sardegna. Nell’isola, infatti, lingua e territorio regionale non coincidono: oltre a «sa limba» propriamente detta sono presenti infatti altre varietà e parlate di origine alloglotta quali il catalano di Alghero, il galluresePage 17 e il sassarese (che sono considerate varietà-ponte con la Corsica e sostanzialmente sono idiomi di tipo corso-italico con un lessico influenzato dal sardo settentrionale) e il tabarchino, dialetto di origine genovese parlato a Carloforte dai discendenti di coloni liguri provenienti dall’isola di Tabarca (Tunisia) e ospitati nell’isola di San Pietro dai Savoia verso la fine del Settecento.

Oltre a ciò, all’interno della lingua sarda propriamente detta, lingua di identità e continuità storico-nazionale dell’isola, si distinguono numerose varianti e pronunce sulle quali i linguisti e gli storici dei fenomeni linguistici da tempo cercano di mettere ordine. L’orientamento tradizionale dei linguisti è quello di individuare due macro-aree di dialetti, una centro-settentrionale (semplificata in «logudorese») e l’altra meridionale (semplificata in «campidanese») che si suddividono a loro volta (a seconda della scuola di studi) in diverse aree sottostanti (come quella barbaricina centrale, o baroniese, o sulcitana e quella «di confine» arborense, barbaricino meridionale e ogliastrina). In realtà queste classificazioni sono convenzionali (e anche piuttosto antiquate) e ogni paese parla la sua varietà locale.

La realtà è che le isoglosse per identificare varietà e macro-varietà sono diventate ormai in Sardegna un terreno di scontro politico che crea o rafforza luoghi comuni con lo scopo di impedire al sardo di svilupparsi come lingua unitaria e moderna. Gli avversari della pianificazione e normalizzazione linguistica tendono, infatti, ad enfatizzare le differenze tra il Sud e il Nord sostenendo che sia necessario creare due standard per due lingue. Tale possibilità (che è in ogni caso una forzatura scientifica e non rende giustizia alle differenze interne alle due presunte macro-aree) renderebbe, però inutilizzabile il sardo quale strumento di rivendicazione politica per le posizioni autonomiste della Regione, nazionaliste o indipendentiste di altre forze, in quanto si sancirebbe di diritto la divisione dei sardi in due entità etno-linguistische (che si aggiungerebbero alle altre presenti nel territorio regionale). E si tratta, infatti, di un’ipotesi perdente che non è stata presa in considerazione dalla Regione pur essendo stata proposta da alcuni esponenti della commissione incaricata, e pur avendo influenzato le determinazioni del potere regionale.10

La competizione tra Centro-Nord e Sud è stata viziata e causata anche dal fatto che negli anni si è fortificata la tendenza all’accoglimento inconsapevole di una mitologia esterna all’isola con rimandi a dei luoghi comuni ri-Page 18correnti e destabilizzanti che hanno minato l’unità e l’autostima del popolo sardo. Si è trattato di «topoi» pseudoscientifici funzionali all’assoggettamento delle coscienze dei sardi prima ancora che al loro asservimento politico e culturale. Secondo questa visione, l’isola è sempre, da parte dei suoi dominatori di turno, ricettacolo di una «strana barbarie» come osserva la stessa Grazia Deledda, notissima per la conquista del premio Nobel della letteratura,11 è «arcaica» e conserva tradizioni e usanze misteriose e arcane. La lingua sarda è stata vista sempre in quest’ottica della presunta arretratezza e nell’arcaicità. Per confermare questa tendenza, la lingua d’identità storica della Sardegna è stata oggetto di particolari attenzioni sociologiche, antropologiche, glottologiche e filologiche il più delle volte interessate a farne un caso tipologico di «vicinanza» al latino, buono per sfruttare spazi accademici rimasti liberi e favorire carriere scientifiche. Per fare ciò era necessario far risaltare l’aspetto «arcaico» della lingua, in particolare delle sue varietà centro-settentrionali, e rimarcare la sua «purezza» e la sua «esoticità non contaminata».12

Il logudorese-nuorese è stato individuato quindi come tale, ovvero come sardo più arcaico, più puro e latineggiante dei barbari colonizzati isolani. Ogni contatto con le lingue forestiere era da aborrire e il «vero» sardo era ed è soprattutto quello che trovava in modalità autoctone le formule per esprimere concetti intimi, poetici o antropologici.13 Alcuni scrittori del meridione hanno reagito a questa situazione discriminatoria sviluppando però, a causa di scarsa consapevolezza politica, una sterile polemica contro il «logudorese illustre e arcaico» che, se pur giusta in termini di principio, accetta, conferma e moltiplica i fattori di divisione eterodiretti. Sarebbe necessario, invece, superare questa visione ristretta e impolitica per giungere a una vera mediazione. Il germe della divisione linguistica dei sardi, presente in questo conflitto, a parere di chi scrive, è solo per una parte dovuto all’oggettività complessità della situazione. Per il resto è dovuto alla dise-Page 19ducazione, disinformazione e attività politico-culturale di stampo italianista che tende a mortificare l’identità sarda.

Negli anni della polemica sulla prima proposta di «Limba Sarda Unificada», il processo di confronto aveva posto molto l’accento sul fatto che l’affermarsi di uno standard avrebbe ucciso le varietà linguistiche. Mentre una parte dell’opinione linguistica critica (quella che poi si è riconosciuta nella proposta di «Limba de Mesania» e successivamente nella Limba Sarda Comuna) era sinceramente convinta della necessità di un unico standard ufficiale pur rivendicando una maggiore attenzione alle varianti meridionali,14 settori della intellighenzia sarda «filo italianista» hanno strumentalizzato le tensioni «localiste» interne al movimento «pro limba», per ottenere l’impasse più totale attraverso la delegittimazione del processo di standardizzazione e unificazione. Una tattica di guerriglia giornalistica e pubblicistica (condotta anche dalle aule dell’università) che in qualche modo ha ottenuto di rallentare il processo di unificazione e di accentuare la sensibilità delle popolazioni rispetto al reale – e paradossale – pericolo di dover combattere contro la lingua ufficiale sarda per salvaguardare la loro lingua locale, minacciata, in realtà, dall’italiano presente in modo massiccio a tutti i livelli della comunicazione pubblica.15

Il Governo Sardo, nella sua politica linguistica, ha dunque dovuto tener conto pragmaticamente delle resistenze, in buona fede e strumentali, e dei localismi legati all’uso di varietà locali della lingua, o di varietà «superlocali».

Anche il tema della presunta «artificialità» o «naturalità» dello standard è entrato compattamente nel dibattito e ha influenzato notevolmente le giustificazioni politico-culturali contenute nel dispositivo dell’atto approvato dall’esecutivo isolano per l’adozione della norma linguistica. Si legge infatti nel documento che «...Le forme adottate non sono nuove creazioni, frutto di invenzione, ma forme reali, riscontrabili nell’uso orale. Ne risulta una varietà linguistica con elementi di naturalità, punto di mediazione, ma non frutto di una media artificiale, matematica. Tra un esito limba e un altro lingua, non si è trattato di inventare un ipotetico ibrido (come sarebbe *lingba), ma di scegliere un risultato linguisticamente più identitario: limba. La Limba Sarda Comuna, da utilizzarsi in via sperimentale per la redazione dei documenti della Regione sarda, rivolti a tutti i Sardi, non è una nuova lin-Page 20gua che si sostituisce alle varietà parlate, ma semplicemente una norma scritta di riferimento ad esse complementare, che propone una mediazione tra le differenze che costituiscono la irrinunciabile ricchezza e multiformità della lingua sarda, la sua base viva e naturale. Attraverso un sistema scritto che deve tendere alla uniformità, univocità e coerenza, la Limba Sarda Comuna può costituire un punto d’incontro, utile a rappresentare i sardi nell’uso ufficiale da parte della Regione...».16

Altrove si legge della praticabilità orale di ogni variante riferita alla lingua e di un atteggiamento comunque prudente e «ultragarantista» della Giunta Regionale che prevede anche un rimaneggiamento della proposta una volta fatta la prima sperimentazione. «...L’oralità nel contatto con gli uffici è fatta salva in ogni varietà della lingua. Altri Enti o Amministrazioni pubbliche della Sardegna saranno liberi di utilizzare le presenti norme di riferimento oppure di fare in piena autonomia le scelte che riterranno opportune. Il carattere sperimentale delle norme proposte e l’opportunità di approfondire con ulteriori studi il lessico, la morfologia e un’ortografia comune a più varietà, lascia, inoltre, i più ampi margini a modifiche, integrazioni che potranno essere con il tempo elaborate e adottate...».17

In realtà il fantasma di una lingua artificiale nemica del sardo «naturale» è stato agitato più volte nelle polemiche degli anni precedenti spesso senza cognizione di causa, o anche sapendo di affermare delle millanterie a-scientifiche e a-politiche, ma in ogni caso sempre con la segreta intenzione di bloccare o rallentare il processo e di confondere le idee a un’opinione pubblica digiuna di cognizioni in materia di sociolinguistica e di pianificazione linguistica. Ogni lingua scritta invece è «artificiale» perché frutto di elaborazione concettuale e grafica. La «naturalità» della lingua sarda divisa per varianti locali è un mito. Un luogo comune da linguisti da bar funzionale alla distruzione della coscienza linguistica della massa. Diversa la posizione del gruppo di «Mesania» che criticava non tanto l’«artificialità» scrittoria quanto quella sovraordinativa ingegneristica e «imperialista» del progetto «Lsu» che peraltro era basato sul luogo comune colonizzante e da «divide et impera» delle varietà cosiddette «illustri».

Contraddittorio è anche l’atteggiamento, probabilmente influenzato dalla mistificazione degli intellettuali italianisti e dai loro amici giornalisti,Page 21 di scrittori e poeti che rifiutano lo standard in quanto sarebbe una «lingua di plastica», un lingua «di laboratorio» o addirittura un’ogm ibridato. In realtà in Sardegna ogni poeta e scrittore, come avviene di solito, crea una sua lingua personale artificiale, artefatta, o semplicemente artigianale, ibridando il suo dialetto natio con termini e parole prese un po’ qua e un po’ la e cercando di promuovere una piccola standardizzazione che però non supera mai i confini personali, locali o di variante, per limiti di natura ideologica e scientifica.

Si può affermare invece che la Giunta Regionale, nell’approvare la Limba sarda comuna ha accolto in pieno la filosofia politica pragmatica delle proposte di politica linguistica già contenute nella proposta «Limba de Mesania», pur riconoscendo il valore pionieristico e oggettivamente incentivante della Limba Sarda Unificada fortemente voluta dall’allora assessore regionale di centro-destra Pasquale Onida e dal linguista-attivista Diego Corraine. Il gruppo dei «mesanisti» sosteneva la pari dignità di «totu su sardu» e contestava, infatti, la presunta caratteristica di «illustre» data dalla storiografia linguistica di stampo esotico-colonialista ai dialetti centrosettentrionali, denunciando il fatto che riducendo i dialetti meridionali a un rango subalterno si minava l’unità nazionale del popolo sardo.

Infatti nel preambolo alle norme adotatte si recita invece che «...Ogni varietà locale, da sola, riflette e contiene tutte le caratteristiche fondamentali della lingua sarda e può candidarsi a rappresentarla a pieno titolo, ciascuna, dunque, può essere selezionata per rappresentare tutto il sardo. Nella pratica, anche alla luce dei pareri emersi all’interno della Commissione, la Regione ha ritenuto opportuno proporre delle norme scritte di riferimento che costituiscano una sorta di mediazione tra le diverse parlate...».18

E’ evidente dunque che il criterio politico vincente utilizzato dal Governo Regionale non è stato quello della presunta supremazia di una variante «illustre» su un’altra così come si prevedeva nella lsu, ma quello di «mediazione» tra uguali che era rappresentato dalla filosofia di base («totu su sardu ufitziale», appunto) del gruppo di Mesania che ha aderito infatti nella quasi totalità alla nuova proposta regionale che superava qualche ingenuità linguistica della sua proposta originaria, in particolare il municipalismo.19

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Numerosi sono stati infatti gli elementi meridionali inseriti nello standard comune della Lingua sarda come l’articolo «is» per il plurale determinativo, tutta la serie pronominale di «ddu, dda, ddos, ddas» e una numerosissima serie di voci e elementi del paradigma verbale. Il tutto anche con una serie di opzioni flessibili che rendono la lsc uno strumento aperto, sperimentabile e ulteriormente emendabile. Per la prima volta alle varietà meridionali del sardo si riconosce un ruolo nel processo di individuazione di una varietà comune de «sa limba».

La proposta regionale, considerata la complessa situazione sociolinguistica e politica della Sardegna, era la migliore (e forse l’unica) praticabile oggigiorno.20

La storia della Limba sarda comuna è appena cominciata. Restano ovviamente ancora dei problemi tecnici e politici aperti. In primo luogo quello sull’uso effettivo che si farà di questo standard. Lo stesso Renato Soru, pur rispettoso dei 377 campanili linguistici sardi, auspicava una diffusione ampia: «...La lingua è a titolo sperimentale, si avvia quindi a titolo sperimentale l’utilizzo ufficiale nella pubblica amministrazione regionale della “Limba Sarda comuna”, scritta e solamente in uscita. Che vuol dire che possono essere accettate anche istanze, alla pubblica amministrazione regionale, scritte in altre varianti della lingua sarda.

Le Province possono, attraverso l’Ufficio “de sa Limba Sarda”, utilizzare una diversa forma scritta se lo riterranno necessario, o possono, e io lo auspi-Page 23co anche fino a dove è possibile e laddove è naturale, utilizzare anch’essi questa forma scritta...».21

Un capitolo ancora tutto da scrivere è quello sulla morfologia della lingua visto che la commissione incaricata non se n’è occupata. Probabilmente la sintassi che sarà sviluppata conterrà modelli settentrionali, centrali e meridionali che dovranno trovare un equilibrio per convivere. Così anche, nonostante l’impianto della proposta linguistica sia nel complesso soddisfacente, alcune scelte vanno forse vagliate meglio e ricondotte a una ragione più critica. In particolare le scelte lessicali, così come aveva sottolineato Peter Koch, linguista dell’università di Tubinga, anche per la lsu ovvero l’equilibrio, tutto da trovare, tra la scelta etimologica latina e quella invece più diffusa e comune.22

La scelta dello standard unico «Limba sarda comuna» va comunque inquadrata in una complessa situazione politica che, di questi tempi, vede la Regione Autonoma della Sardegna impegnata in una rivendicazione costante della sua diversità e della sua identità nei confronti dello Stato Italiano che recentemente, solo per fare un esempio, ha bloccato una proposta di legge regionale per la riscrittura dello Statuto di Autonomia perché conteneva il termine «sovranità del popolo sardo», che in lingua sarda comune sarebbe scritto «Soberania de su pòpulu sardu».

Un concetto che, a prescindere dalla lingua, i sardi e gli italiani sembrano, allo stato attuale, non condividere.

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Limba Sarda Unificada, Limba de Mesania e Limba Sarda Comuna

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Virdis, Maurizio, «Note sui dialetti dell’area arborense e la lingua del condaghe di Santa Maria di Bonarcado», in Il condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Oristano, S’Alvure, 1983. XXIII-XXXIX.

Virdis, Maurizio, «I dialetti dell’area arborense nell’ambito della lingua sarda medievale attraverso le attestazioni scritte», in Mele Giampaolo (a cura di), Società e cultura nel Giudicato d’Arborea e nella Carta de Logu, Atti de l Convegno Internazionale di Studi, Nuoro, Solinas, 1996, pagg. 141-153.

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[1] Deliberazione della Giunta Regionale n° 16/14 del 18.04.2006, «Limba Sarda Comuna. Adozione delle norme di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita dell’Amministrazione regionale», reperibile nel sito internet http://www.regione.sardegna.it/j/v/66?v=9&c=27&c1=&n=10&s=1&mese=200604&p=2.

[2] Legge n° 26, 15 ottobre 1997. «Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna». Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna, n° 32 del 24 ottobre 1997; Legge n.482, 15 dicembre 1999, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», Gazzetta Ufficiale della Republica Italiana n° 297 del 2° dicembre 1999.

[3] A.A.V.V., Limba Sarda Unificada. Sintesi delle norme di base: ortografia, fonetica, morfologia, lessico, Regione Autonoma della Sardegna, coop. Papiros srl per conto dell’Assessorato Regionale della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport, Cagliari, 2001.

[4] Comitau abbia a unu sardu comunu, Proposta aperta, Ortografia Unitaria, Totu su sardu est ufitziale, Limba de Mesania po sa Regione, Cagliari, Comitau abbia a unu sardu comunu, 2004; Lo spirito politico-linguistico della proposta di «Limba de Mesania» è illustrato anche in Corongiu G., Guvernare cun sa limba, Condaghes, Cagliari, 2006.

[5] Giunta Regionale Sarda, Verbale di deliberazione n° 20/15 del 09.05.2005, Oggetto: Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna. Indagine socio-linguistica sulla lingua sarda, reperibile nella rivista telematica Diariulimba ospitata sul sito internet www.sotziulimbasarda.net.

[6] Giunta Regionale Sarda, Ufficio Stampa, Direttore: Umberto Cocco, Nota ufficiale del 28./09/2005 riguardante i lavori della commissione tecnica di proposta della Limba Sarda Comuna reperibile nella rivista telematica Diariulimba ospitata sul sito internet www.sotziulimbasarda.net.

[7] L’isola infatti non ha più rappresentanti propri nel Parlamento Europeo e il Governo Italiano non concede la modifica di una legge che consentirebbe l’elezione di almeno 2 eurodeputati sardi.

[8] Questa verità effettuale è presente anche nel lavoro, che meriterebbe la dignità di stampa, di un giovane studioso sardo. Si tratta di Matteo Ionta che, nella sua opera Journalist and publishers as actors, analizza il dibattito politico sardo negli ultimi due anni sui giornali, disponibile in Internet in http://www.sotziulimbasarda.net/istudiosechircas.htm. In tale studio si evidenzia anche come alcuni termini quali «nazionalismo» sono di fatto negati o proibiti nei mass media in riferimento al variegato mondo che fa riferimento alla lingua, alla sovranità o all’identità storico-comunitaria della Sardegna.

[9] «L’italianizzazione linguistica della Sardegna» in Bolognesi R., Heeringa W., Sardegna tra tante lingue, Condaghes, Cagliari, 2005, pagg. 35 - 47.

[10] Vedere l’articolo «Fàghere duos istandards cheret nàrrere fraigare duas limbas», articolo di resoconto della conferenza di Peter Koch a Cagliari il 9 marzo 2006 a cura della redazione Diariulimba reperibile in http://www.sotziulimbasarda.net/marzo2006/koch.htm.

[11] Vedi anche A.M. Cinese, «Grazia Deledda, rappresentatività isolana e integrazione del mondo sardo nella cultura ufficiale dell’Italia Unita», in Intellettuali, folclore, istinto di classe: note su Verga, Deledda, Scotellaro, Gramsci, Torino, Einaudi, 1976.

[12] E’ la tesi anche dell’insigne studioso tedesco Max Leopold Wagner per cui si rimanda al complesso della sua opera. Recentemente l’utilità politica e pratica di esaltare i criteri della purezza e della arcaicità quali elementi distintivi del sardo sono stati messi in dubbio da autorevoli romanisti tedeschi. Vedi Harald Weirich, (a cura di Franca Ortu), Quante lingue per l’Europa?, Cagliari, Cuec, 2006.

[13] Paulis Giulio, «La ricerca del “vero” sardo nella storia degli studi e nella forma identitaria dei sardi», in «Radici e Ali. Contenuti della formazione tra cultura globale e cultura locale», pp. 145-154, Cagliari, Cuec, 2003.

[14] «Una limba miscia e de lucana pro sa Sardigna de su tempus benidore» in Corongiu G., op. cit, pagg. .....

[15] Contu Alberto, «La lingua negata» in Il popolo sardo, rivista edita a Cagliari, Anno X, numero 5, aprile-giugno 2005, pp. 21-30.

[16] Limba Sarda Comuna, Norme linguistiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta dell’Amministrazione Regionale, pag. 6, testo allegato alla Deliberazione della Giunta Regionale della Regione Autonoma della Sardegna del 18 aprile 2006. Reperibile in internet all’indirizzo http://www.regione.sardegna.it/j/v/66?v=9&c=27&c1=&n=10&s=1&mese=200604&p=2.

[17] Ivi, pag. 5.

[18] Ivi pag. 5.

[19] Documento citato pag. 5 «...Così come è accaduto per altre lingue, che di recente hanno una norma scritta di riferimento come il galiziano, il ladino, il friulano, il romancio o lo stesso basco, il modello è in generale frutto di mediazione, compensazioni, ricerca di regolarità e analogie, con lo scopo di stabilire un sistema operativo «lingua» il più omogeneo e coerente possibile, elementare e semplice da imparare e usare. E’ stato così individuato un punto di mediazione fra le varietà più comuni, ottenuto con il confronto delle differenze all’interno della nostra lingua. L’esame dei fenomeni soprattutto fonetici, studiati e censiti, che danno ai parlanti la sensazione di una grande differenziazione e frammentazione, ha privilegiato piuttosto gli elementi di convergenza e sistematicità tra le varietà, gli elementi comuni a tutto l’insieme del sardo.»

[20] Sul fatto che la scelta della Regione sia stata fatta per non privilegiare nessun sardo illustre valgano le dichiarazioni del Presidente: «Mi pare di aver detto tutto. Noi trovavamo, credo, una qualche incongruenza tra la Pubblica amministrazione regionale che vuole valorizzare e tutelare la lingua sarda, però non la usa mai. Quindi pensavo che per valorizzare e tutelare occorresse anche iniziare a usarla e da oggi abbiamo iniziato a usarla, perché per la prima volta la giunta regionale ha fatto una delibera in sardo. Abbiamo iniziato a usarla e mentre la usiamo e la rendiamo ufficiale, vogliamo fare in modo che tutti i sardi la possano riconoscere e quindi non abbiamo scelto un sardo sopra tutti gli altri. Diciamo che tutte le parlate del sardo sono preziose e sono una ricchezza della nostra Regione e dobbiamo ulteriormente valorizzarle e promuoverle nel futuro, però quando scriviamo dobbiamo scegliere un solo codice e abbiamo scelto un codice naturale ma aperto, e più vicino a tutti i sardi. Quindi, non è il Campidanese, non è il Logudorese, è una variante naturale, vicina in un’area diffusa del centro Sardegna, ulteriormente arricchita dalla possibilità di intercambiare gli articoli, i pronomi e alcune forme verbali. E’ a titolo sperimentale e quindi è un processo di affinamento e di arricchimento.». Resoconto ufficiale della Conferenza Stampa del Presidente Renato Soru del giorno 18 aprile 2006 reperibile in internet http://www.regione.sardegna.it/j/v/25?s=21529&v=2&c=11&t=1.

[21] Ivi, pag. 5.

[22] «Bi cheret una norma iscrita pro su tempus benidore de su sardu» in Tempus Nostru, rivista digitale in limba sarda, Intervista de Diegu Corraine a Peter Koch, professore de s’Universidade de Tubinga (Zermània), reperibile in internet all’indirizzo http://www.tempusnostru.it/377.5412.page?SCREEN=noas_template_noa_cumpreta.

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