Il licenziamento per motivi economici in Italia

AutorProf. Michele Tiraboschi
Páginas30-41

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Introduzione

La Riforma del mercato del lavoro, adottata con L. n. 92 del 28 giugno 2012, è interventuta in materia di licenziamenti, in particolare, ridisegnando il quadro sanzionatorio di quelli individuali. Prima della novella, l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, norma cardine di tale disciplina, prevedeva a prescidere dalla tipologia di recesso, un’unica sanzione: la reintegra del lavoratore accompagnata da un’indennità risarcitoria.

Nel sistema vigente ci sono quattro regimi sanzionatori a seconda delle ragioni e in funzione del tipo di licenziamento: discriminatorio, disciplinare e per giustificato motivo oggettivo. Le causali sono rimaste immutate, anche se è inevitabile che la rimodulazione delle conseguenze sanzionatorie abbia effetto anche sull’interpretazione delle varie fattispecie. Il sistema di tutela reintegratoria si connota oggi per la presenza di due distinti modelli: quello accompagnato da un risarcimento dei danni pieno (articolo 18, primo comma), nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato nei casi di irrecedibilità, e quello accompagnato da un risarcimento limitato (articolo 18, quarto e settimo comma), nelle ipotesi di ingiustificatezza qualificata, in cui cioè l’illegittimità stessa risulti maggiormente conclamata e, quindi, grave. Per ciò che concerne invece il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e soggettivo, nelle aziende che occupano più di 15 dipendenti nell’unità produttiva ove è stato intimato il licenziamento (ovvero più di 15 dipendenti nell’ambito dello stesso Comune e in ogni caso per le imprese con più di 60 dipendenti), permane un livello di tutela reintegratoria ma c.d. depotenziata. In questi casi, a fianco della reintegrazione del lavoratore, gli effetti risarcitori sono limitati, in quanto il risarcimento dei danni viene garantito solo in misura ridotta.

Infine, nelle altre fattispecie di illegittimità del licenziamento, viene applicata una tutela meramente indennitaria, anch’essa nelle due diverse tipologie: nella misura piena, regolata dall’articolo 18, quinto comma, che si applica alle ipotesi di ingiustificatezza "non grave" del licenziamento, e in misura ridotta, disciplinata dal sesto comma, relativa, invece, ai vizi formali e procedurali.

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Per quanto attiene alle statistiche sui recessi datoriali, dal Rapporto sul primo anno di applicazione della Riforma del mercato del lavoro, pubblicato dal Ministero del lavoro nel gennaio 2014, emerge che il licenziamento costituisce circa il 9% delle cessazioni dei rapporti di lavoro. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo rappresenta circa il 75% del totale dei licenziamenti, mentre l’incidenza di quello collettivo negli ultimi trimestri si attesta intorno all’1%. La quasi totalità dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, giusta causa e giustificato motivo soggettivo si concentra nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (oltre l’80%); nel tempo determinato tali cause superano di poco il 10% e sono residuali nell’apprendistato. Rispetto alla dimensione aziendale, nell’arco dei dodici mesi successivi all’entrata in vigore della legge 92/2012, i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo sono avvenuti per il 75% in imprese con meno di 15 addetti.

Grafico 1. Attivazioni/cessazioni di contratti di lavoro, andamento trimestrale

[VER PDF ADJUNTO]

Fonte: Ministero del Lavoro. Grafico a cura di Pierluigi Tolot

1. Come il Legislatore o la magistratura definiscono le cause che legittimano un licenziamento per motivi economici?

Nell’ordinamento italiano per licenziamento cosiddetto "economico" s’intende il recesso per giustificato motivo oggettivo intimato a causa di «ragioni inerenti all’attività

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produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» (art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604).

Pertanto, le ragioni "economiche" non si riferiscono ad un inadempimento del lavoratore, ma a specifiche esigenze aziendali che impongono la soppressione del posto di lavoro. Due sono le condizioni all’uopo richieste: a) l’effettività delle esigenze aziendali richiamate nella motivazione del licenziamento; b) un nesso di causalità tra tali esigenze e il licenziamento.

Occorre specificare, però, che le scelte di gestione dell’imprenditore non sono sindacabili dal giudice, che si deve limitare a pronunciare solo sulla loro effettiva realizzazione e consistenza, in virtù del principio di libertà dell’iniziativa economica privata ex art. 41 della Costituzione. Inoltre in presenza di clausole generali, tra cui sono espressamente comprese anche le norme in tema di recesso, «il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sidacato di merito sulle valutazione, tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro» (art. 30, 1° comma della L. n. 183/2010). La l. n. 92/2012 ha poi precisato che l’inosservanza delle disposizioni relative al sindacato di merito «costituisce motivo di impugnazione per violazione norme di diritto».

In sede giudiziale è, invece, possibile verificare la coerenza del licenziamento rispetto alla modifica organizzativa alla stregua delle «comuni...

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