La 'fabbrica' del consenso in un regime totalitario

AutorMarco Fioravanti
Páginas461-464

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Ferdinando Cordova è scomparso prematuramente mentre terminavo questa recensione, lasciando un vuoto umano e intellettuale incolmabile. Autore di opere fondamentali sulla storia della società e della cultura in Italia – dalla crisi dello Stato liberale all’affermazione del fascismo – Cordova ha fornito una lezione di rigoroso metodo scientifico e di rara passione civile, alla quale queste pagine vogliono rendere omaggio.

Numerose sono le suggestioni e gli stimoli intellettuali che provengono dal libro, efficace, felice nella scrittura, suggestivo e ampiamente documentato. L’endiadi consenso-dissenso, l’uso politico (o uso pubblico, per dirla con Jurgen Habermas) della storia che emerge, quasi in forma carsica, nel corso di tutto il volume, il rapporto e gli accordi tra fascismo e grande borghesia, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia (che sembra un argomento ormai demodé), la realtà concreta e conflittuale dei rapporti di lavoro, la diffidenza e l’ostilità dei lavoratori nei confronti della retorica del regime, il latente antagonismo di classe, a volte sfociato in vera e propria insubordinazione, ma anche la sfiducia di operai e contadini nei confronti della neonata magistratura per la risoluzione delle controversie di lavoro. Emergono dunque tanti tasselli di un mosaico, o meglio si sottraggono tanti tasselli a quel mosaico, apparentemente omogeneo, che aveva disegnato un consenso monolitico degli Italiani al fascismo.

Sulla scia di ricerche condotte anche in altri suoi lavori, tra i quali il precedente e fortunato libro, Verso lo Stato totalitario, l’autore analizza documenti relativi ai rapporti tra governo, sindacati e imprenditori. A tal proposito ha messo in evidenza la contraddizione tra i dati forniti dalle fonti ufficiali e quanto da lui ricostruito nella ricerca d’archivio: infatti nel 1929 il Ministero dell’Interno riportò ufficialmente 74 scioperi (che ricordiamo erano vietati dalla legge e rappresentavano un reato), mentre dalle sue ricostruzioni emerge che essi furono circa un centinaio, motivati da controversie sul salario, che avevano coinvolto anche donne e minori, in controtendenza rispetto alla retorica del regime che già parlava di grande consenso di massa. Dallo scontro di classe che nel corso del 1929 toccò punte di grande aggressività in ogni parte d’Italia – Sardegna, Campania, Sicilia, Toscana, Lombardia – al punto da preoccupare non poco le autorità, emerge il distacco di una parte dei lavoratori dai sindacati fascisti e il loro dissenso verso il regime. Il tentativo di creare dei contro-poteri all’interno delle officine, fu osteggiato dagli imprenditori e “i fiduciari di fabbrica” furono ritenuti “una perniciosa imperfezione giuridica”. Inoltre la limitazione e poi la repressione della libertà di stampa e i rapporti

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ambigui del governo fascista con i direttori dei giornali, permisero di far calare il sipario su tale conflittualità sociale, mentre il regime continuava a...

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