L’equiparació de les llengües i la normativització de la terminologia a l’Alto Adige/Tirol del Sud

AutorFrancesco Palermo - Eva Pföstl
CargoRicercatori presso l'Accademia Europea di Bolzano
Páginas99-130

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1. Introduzione

Le questioni connesse all'uso di una lingua diversa da quella ufficiale vanno acquistando un'importanza sempre crescente tra le azioni positive dello Stato a tutela dei diritti minoritari, sia per quanto riguarda l'inquadramento dogmatico della cosiddetta «libertà di lingua» e delle relative molteplici conseguenze con altri diritti costituzionalmente garantiti (in particolare con la libertà di manifestazione del pensiero, dell'arte e della scienza), sia per ciò che attiene ai temi della sua effettiva tutela.

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La politica linguistica in generale ed il diritto all'uso della lingua mino-ritaria in particolare (specie nei rapporti con la pubblica amministrazione e con l'autorità giudiziaria) emergono dunque come dato saliente in tutti i casi di minoranze protette presenti nella cosiddetta «costituzione delle minoranze»1 dell'ordinamento italiano.2 La funzione della lingua non solo come mezzo di sviluppo dell'identità e della dignità personale, ma anche come indispensabile mezzo di comunicazione tra componenti di una comunità non omogenea e come «mezzo primario di trasmissione dei relativi valori»3assume una rilevanza del tutto peculiare nel rapporto tra il cittadino ed il potere pubblico, nascendo in tal caso l'esigenza di impiegare concetti giuridici relativi ad un dato ordinamento in una lingua diversa da quella ufficiale ma all'interno dell'ordinamento medesimo.4

Nell'evoluto quadro giuridico della tutela minoritaria in vigore nella provincia di Bolzano questi princìpi di carattere generale, ed in particolare l'equiparazione della lingua tedesca a quella italiana sancita dalle disposizioni statutarie, possono finalmente trovare una più concreta attuazione attraverso le decisioni di una commissione deputata alla regolamentazione ufficiale della terminologia giuridica tedesca in uso nel territorio della provincia (o, più correttamente, da parte degli organi che esercitino la propria competenza su tale territorio). L'attività e soprattutto il ruolo di tale commissione non hanno finora ricevuto l'attenzione scientifica che pure meritano; il presente contributo mira a diffondere la conoscenza di questo importante veicolo per l'effettiva parificazione dei linguaggi giuridici, analizzandone il ruolo e la natura giuridica, cercando di evidenziarne pregi e lacune e di riflettere su alcune difficoltà nascenti dall'attività della stessa, all'interno del quadro generale di attuazione del principio costituzionale della parificazione delle lingue sancito dallo Statuto di autonomia.

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2. Il quadro giuridico
2.1. Gen esi e contenuti della norma sull'uso della lingua

Nella Costituzione italiana, com'é noto, è sancito il principio della tutela delle minoranze linguistiche (art. 6), che si manifesta in concreto in una serie di disposizioni normative, spesso ampiamente integrate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che individuano dette minoranze e garantiscono loro una serie di diritti o garanzie volte al mantenimento della loro identità. Il diritto all'uso della lingua costituisce un (forse il più) importante elemento distintivo della tutela di gruppi minoritari, in particolar modo nell'ordinamento italiano che individua nel criterio linguistico il dato saliente per l'individuazione -e, se del caso, la tutela- delle minoranze.5

Il primo statuto di autonomia del 1948 riconosceva espressamente (art. 84) quella italiana come la sola lingua ufficiale nella Regione, negando così il principio della parificazione.6 Solo con l'approvazione del nuovo statuto è stato sancito il superamento di tale principio, sostituito da quello della parificazione (ferma restando quella italiana la lingua ufficiale dello Stato -artt. 99 e 100)7 parificazione che deve vedersi come fondamentale specificazione del più generale principio di parità dei diritti dei cittadini di tutti i gruppi linguistici dì cui all'art. 2 dello Statuto stesso.

Le norme di attuazione sull'uso della lingua furono più volte oggetto di attenzione da parte della commissione dei sei8 fin dagli anni '70,9 ma la ge-Page 102stazione della norma si è rivelata particolarmente lunga e difficile. 10Come la stessa Corte costituzionale ha sottolineato, «il complesso delle disposizioni che formano lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nelle peculiarità proprie di tale ordinamento, caratterizzato dall'essenziale valore riconosciuto alle minoranze linguistiche locali, è stato il risultato di una delicata e non facile elaborazione, basata sull'Accordo De Gasperi-Gruber raggiunto il 5 settembre 1946, intesa a creare le premesse di una pacifica convivenza fra i gruppi [...] nella equilibrata tutela e garanzia dei valori di cui ciascuno è portatore ».11 Calato nel caso in esame, ciò spiega l'atteggiamento di grande prudenza con cui la Corte ha finora considerato le norme di attuazione dello Statuto in generale, e quella sull'uso della lingua in particolare,12 nel quadro, tuttavia, di un'impostazione di tendenziale favore verso il riconoscimento e la garanzia di tali diritti.13

Nell´accennato contesto sanzionatorio del diritto all'impiego della lingua minoritaria, si inserisce una norma, unica in Italia e per molti versi all'avanguardia nel panorama mondiale della legislazione a tutela delle minoranze, il decreto del Presidente della Repubblica (d.P.R.) 15 luglio 1988, n. 574,14 una delle più importanti tra le disposizioni di attuazione dello staPage 103tuto di autonomia per la Regione Trentino -Alto Adige, dettata per regolare l'uso «della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari».15Il dato giuridicamente più rilevante di tale normativa è costituito dall'effettiva attuazione in essa prevista del principio della parificazione della lingua tedesca a quella italiana, che resta la lingua ufficiale dello Stato. A tal fine la norma non si è limitata ad un'enunciazione di principio sull'equiparazione delle lingue, ma ha dettato numerose disposizioni per regolamentare il quotidiano rapporto del cittadino con i pubblici poteri, ed ha inoltre previsto la creazione di un organo (la commissione paritetica di terminologia) volto a conferire valore ufficiale e certezza applicativa alla lingua tedesca, costituzionalmente equiordinata a quella italiana.

2.2. Ambito di applicazione

La norma in esame si applica, in base all'art. 1 e. 1, «nei rapporti con gli organi e gli uffici della pubblica amministrazione e degli enti pubblici situati in provincia di Bolzano o aventi competenza regionale, [...] con i con-cessionari di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia» (lett. a); «nei rapporti con gli uffici giudiziari e con gli organi giurisdizionali ordinari, amministrativi e tributari situati nella provincia di Bolzano» (lett. b); «nei rapporti con la corte d'appello, la corte di assise d'appello, la sezione della corte d'appello per i minorenni, la Procura Generale presso la corte d'appello, il tribunale per i minorenni, il tribunale di sorveglianza e l'ufficio di sorveglianza, il commissario regionale per la liquidazione degli usi civici, nonché con ogni altro ufficio giudiziario e organo giurisdizionale ordinario, amministrativo o tributario, con sede in provincia di Trento maPage 104con competenza anche in provincia di Bollano»16 (lett. e); «nell'attività svolta nei rapporti interni dal personale degli organi, degli uffici e dei con-cessionari indicati nelle lettere a), b) e e)» (lett. d); «nei rapporti esterni con organi, uffici, enti e reparti degli ordinamenti di tipo militare, aventi sede in provincia di Bolzano o in provincia di Trento ma con competenza anche nella provincia di Bolzano» (lett. e); «negli atti pubblici, notarili ed equiparati». Il comma 2 del medesimo articolo estende la disciplina sull'uso della lingua (e dunque le decisioni della commissione) anche alle Forze armate ed al personale della Polizia di Stato soggetto ad ordinamenti di tipo militare in «tutti i casi in cui vengono compiuti atti che riguardano l'attività di polizia in genere, ovvero sono destinati ad avviare un'azione penale o comunque provochino una sanzione».

Questa lunga elencazione operata dal legislatore di attuazione è di particolare importanza al fine di determinare i destinatari delle decisioni della commissione (che sono dunque esclusivamente gli organi della pubblica amministrazione e gli esercenti di servizi di pubblico interesse,17 dunque in linea di principio non le attività a carattere privatistico) e di stabilire di conseguenza i settori che esulano dalla previsione della norma in esame.

In particolare la situazione del linguaggio giuridico ladino non è (né poteva essere) oggetto della disposizione in esame, non godendo la lingua ladina del medesimo status riservato a quella tedesca, pur essendo garantita dall'art. 32 e. 1 della norma la facoltà per i cittadini18 di usarla, tra l'altro, «nei rapporti orali e scritti con gli uffici della pubblica amministrazione con esclusione delle forze armate e delle forze di polizia, siti nelle località ladine della [...] provincia, con gli enti locali e le istituzioni scolastiche di dette località, con gli uffici della provincia che svolgono funzioni esclusivamente o prevalentemente nell'interesse delle popolazioni ladine, anche se siti al di fuori delle suddette località, nonché con i concessionari di cuiPage 105all'art- 2». La pubblica amministrazione nelle predette località è inoltre tenuta a rispondere oralmente in ladino e per iscritto in italiano e tedesco, facendo seguire il testo in ladino.19 La norma in esame (che non si occupa neppure, verosimilmente per ragioni di opportunità, della diversità nella lingua ladina parlata nelle diverse località) non poteva dunque che evitare qualsiasi riferimento alla fissazione della terminologia ladina.20

Analogamente, neppure la questione della toponomastica viene trattata dalla disposizione concernente la commissione di terminologia. Anche in questo caso la soluzione adottata dal legislatore è giuridicamente l´unica possibile, tanto scontata da non meritare particolari spiegazioni. Va infatti ricordato che lo Statuto di autonomia prevede espressamente (art. 8 n. 2) la toponomastica (fermo restando l'obbligo della bilinguità nel territorio della Provincia di Bolzano) tra le materie rientranti nella competenza legislativa primaria delle province. L'esclusione di qualsiasi competenza in materia da parte della commissione deve pertanto ritenersi implicita nel rango costituzionale della disposizione statutaria.

2.3. Valutazione

L'entrata in vigore di questa fondamentale norma di attuazione dello statuto di autonomia ha significato un ulteriore, decisivo salto di qualità nella tutela giuridica delle minoranze linguistiche, di sicuro interesse non solo rispetto all'ordinamento italiano ma anche in riferimento alle esperienze degli altri paesi,21 giacché in essa si viene a configurare non più il mero diritto ad esprimersi nella propria madrelingua, bensì un generale diritto all'instaurazione di procedimenti amministrativi e giudiziari nella lingua prescelta, correlato dall'impiego di una terminologia unitaria ed a tal fine predisposta da un organismo a ciò deputato e fornito della necessaria autorità, la cui tardiva istituzione (con la relativa, conseguente incertezza giu-Page 106ridica) può certamente essere vista contestualmente come causa e come effetto dell'impossibilità prima e della resistenza poi verso una completa parificazione delle lingue.

La normativa in esame deve dunque ritenersi un formidabile esempio di applicazione del principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 e. 2 Cost. che rappresenta, com'è noto, il fondamento costituzionale (o, se si preferisce, il tertìum comparationis) della ed. costituzione (a geometria variabile) delle minoranze nell'ordinamento italiano. Per correttamente collocare tale normativa (ed i suoi effetti) nel quadro della complessiva costituzione delle minoranze può immaginarsi una struttura a piramide alla cui base stiano le previsioni degli artt. 3 (e. 1 e 2) e 6 della Costituzione, il cui secondo gradino sia costituito dall'art. 2 dello Statuto di autonomia, il terzo dagli artt. 99 e 100 del medesimo, il quarto dalle norme di attuazione sull'uso della lingua (ed in particolare dal d.P.R. 574/88), il quinto dalle singole disposizioni di queste ultime (in questo caso Part. 6 d.P.R574) ed il sesto dagli atti di natura amministrativa adottati dalla commissione, sia per il suo stesso funzionamento (in particolare il regolamento interno) sia nell'adottare le proprie decisioni. Come conseguenza di questo complesso impianto normativo il legislatore ha inteso ottenere la produzione di una terminologia giuridica ragionata e soprattutto certa, tale da consentire l'affidamento di chi voglia farne uso, e dalla cui interpretazione può dipendere un suo fondamentale interesse (amministrativo o processuale).

Come si evince dalle rapide informazioni finora fornite, la norma in esame è assai complessa e delicata, proponendosi il difficile compito di regolamentare in soli 39 articoli una delle questioni centrali attorno alla quale ruota la tutela di ben due minoranze protette (quella tedesca e quella ladina) nell'ordinamento giuridico italiano. La delicatezza della norma nel suo complesso sembra del resto essere una preoccupazione fortemente presente anche al giudice delle leggi, il quale, nelle due occasioni in cui ha dovuto affrontare questioni di legittimità di parti della norma,22 ha sempre preferito, a volte anche forzandone l´interpretazione, mantenerne integro l'impianto per l'importanza che la disposizione riveste nel quadro complessivo della tutela delle minoranze linguistiche della Provincia di Bolzano.23

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3. La commissione paritetica di terminologia
3.1. Composizione e competenze

All'articolo 6 della norma di attuazione in esame si prevede l'istituzione di una apposita «commissione paritetica, costituita con decreto del commissario del Governo [e] composta da sei esperti, tre di lingua italiana designati dallo stesso commissario del Governo e tre di lingua tedesca designati dalla giunta provinciale». Tale commissione «determina ed aggiorna, ovvero convalida la terminologia giuridica, amministrativa e tecnica in uso da parte degli organi, degli uffici e dei concessionari indicati nell'articolo l,24 al fine di assicurarne la corrispondenza nelle lingue italiana e tedesca [e] cura la redazione e l'aggiornamento di un dizionario di terminologia giuridica, amministrativa e tecnica nelle due lingue». Il regolamento interno della commissione specifica ulteriormente il significato di tale disposizione, stabilendo (art. 1) che «la commissione paritetica di terminologia ha il compito di fissare in forma vincolante l'equivalente denominazione tedesca di termini giuridici, amministrativi e tecnici di ogni genere, già esistenti nell'italiano, nonché di definire, nel caso di espressioni di nuova adozione, la corrispondente terminologia nelle due lingue». La convalida dei termini già in uso avviene concretamente operando un semplice richiamo a pubblicazioni o raccolte già esistenti,25 mentre il riferimento all'aggiornamento della terminologia in uso deve intendersi come la possibilità di «correzione» rispetto all'impiego abituale. La puntuale disposizione sull'attività di normazione terminoiogica da parte della commissione indica con chiarezza la coscienza da parte del legislatore della non definitività delle scelte, che sono dunque da ritenersi passibili di modifica da parte della stessa commissione.26

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Ai sensi dell'art 6 e. 4 del d.P.R. 574/1988, la commissione «può proporre alla provincia di Bolzano la nomina temporanea di consulenti specializzati nei settori giuridico, amministrativo e tecnico, [e] si avvale per l'espletamento delle sue funzioni di personale ed attrezzature posti a disposizione dalla provincia di Bolzano».27

La commissione elegge al suo interno un presidente, un vicepresidente ed un segretario. Ai sensi dell'art. 8 e. 7 del regolamento interno, l'elezione avviene a scrutinio segreto e maggioranza semplice. Se alla prima votazione nessun candidato ottiene la maggioranza richiesta si ricorre al ballottaggio tra i primi due candidati.

Il presidente rappresenta la commissione verso l'esterno, convoca e presiede le sedute, coordina tutte le attività della commissione ed impartisce le direttive riguardanti l'attività della segreteria.28 Il vicepresidente, che non può appartenere al medesimo gruppo linguistico cui appartiene il presidente,29 ne assume i compiti in caso di impedimento, mentre il segretario redige il verbale delle sedute e sorveglia le attività della segreteria. Gli organi della commissione restano in carica due anni. Ai commissari spetta un compenso nella misura prevista per i membri di commissioni di esame della provincia,30 corrisposto dalla provincia stessa salvo il rimborso da parte dello Stato di una quota pari alla metà della spesa31

3.2. Il procedimento deliberativo

Per il comparatista la metodologia della ricerca preliminare presenta alcuni punti di grande interesse. In particolare, la peculiarità della richiesta di normazione terminologica nella situazione altoatesina impone la trasposizione in una lingua, quella tedesca, che già «copre» tre ordinamenti giuridici (quello austriaco, quello svizzero e quello della Repubblica federale di Germania), di concetti riferiti ad un quarto sistema, quello italiano, il tutto resoPage 109ancor più complesso dall'esistenza di un linguaggio giuridico locale (in parte derivato dall'epoca asburgica, in parte sorto per generazione spontanea) che necessita fortemente di sistematizzazione. In questo contesto non basta perciò la documentazione e l'analisi di carattere microcomparatistico necessaria nel raffronto tra istituti di ordinamenti diversi, ponendosi l'ulteriore, complesso problema di mantenere questo tipo di analisi nell'alveo del medesimo ordinamento giuridico. Il linguaggio giuridico tedesco impiegato negli ordinamenti tedesco, austriaco e svizzero può pertanto fungere da punto di riferimento, ma non può fornire modelli generali da seguire, proprio per le diversità (magari anche minime) di contenuto giuridico degli istituti. E dunque necessario prendere atto delle analogie e delle differenze, per poter eventualmente riprendere la terminologia straniera in caso di assoluta coincidenza o, al contrario, per poter giustificare la scelta di discostarsi da un uso magari consolidato ma scorretto.32

Se nella comparazione giuridica tradizionale il raffronto avviene in primo luogo fra gli istituti dei diversi ordinamenti al fine di evidenziarne analogie e differenze, nel quadro di un'imprescindibile analisi globale degli ordinamenti interessati, nel caso in esame la metodologia seguita è in parte diversa: il primo raffronto avviene infatti a livello terminologico (analisi dell'esistenza nei sistemi di lingua tedesca dei termini tecnici entrati in uso in Alto Adige),33 a livello contenutistico {analogie e differenze con l'istituto giuridico italiano), infine, con una valutazione ponderata della possibilità di mantenimento o meno del termine nella traduzione esistente, della recezione dell'effettivo corrispondente austriaco, tedesco o svizzero o (ma il caso è abbastanza raro) formulazione di una nuova proposta di traduzione fondata sulla ricerca appena descritta.

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Sulla base dei risultati delle ricerche preventivamente svolte, la commissione stabilisce le corrispondenze terminologiche nelle due lingue. La legge prevede «la redazione di un dizionario di terminologia giuridica, amministrativa e tecnica nelle due lingue» 34 esse vengono trasmesse «al Commissario del Governo e alla Giunta provinciale di Bolzano per eventuali modifiche ed integrazioni. Trascorso il termine di sei mesi senza osservazioni, il testo si intende approvato». Al di là della sintetica disposizione di legge, deve intendersi che la Giunta provinciale ed il Commissariato del Governo (oltre alla stessa commissione)35 diano adeguata pubblicità alle decisioni della commissione, in modo da favorire il più ampio coinvolgimento di eventuali interessati.

Prima dell'istituzione e dell'effettivo inizio del lavoro della commissione (nel 1991), la terminologia giuridica in lingua tedesca, per quanto in linea di principio già formalmente parificata a quella italiana fin dal 1972, si basava su traduzioni (private o svolte dagli appositi uffici dell'amministrazione) più o meno autorevoli ma comunque non dotate di vincolatività ufficiale, e, naturalmente, sugli usi e le consuetudini linguistiche del tedesco effettivamente parlato,36 il che, in buona sostanza, faceva dipendere la scelta dei termini giuridici da impiegare dai «gusti personali degli operatori».37 L'unica traduzione «ufficiale» era (ed è) lo Statuto di autonomia, il cui articolo 114 recita: «La traduzione in lingua tedesca del presente Testo Uni-Page 111co concernente lo Stato speciale della Regione Trentino-Alto Adige (Tren-tino-Siidtirol) sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione». Ciò deve far ritenere che anche la terminologia ivi impiegata debba considerarsi, se non assolutamente vincolante, almeno posta ad un livello di garanzia più elevata rispetto a quella impiegata consuetudinariamente a livello locale. Questa interpretazione sembra trovare un'ulteriore, seppur indiretta, conferma in base alla nota giurisprudenza della Corte costituzionale sul rango delle norme di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale,38 secondo la quale esse godono di una particolare tutela dal punto di vista del contenuto, che si ritiene non modificabile da parte di leggi ordinarie; da ciò si potrebbe argomentativamente dedurre una più elevata tutela della terminologia in lingua tedesca impiegata nella traduzione - così a fondo studiata39 -dello Statuto del Trentino-Alto Adige.

Va aggiunto che l'esistenza e l'importanza di un linguaggio giuridico già in uso nell'amministrazione pubblica in Alto Adige era già ben presente al legislatore, come si deduce dal testo del e. 1 lett. a) dell'art. 6 d.P.R. 574/1988 che prevede come compito della commissione la determinazione, l'aggiornamento ovvero la convalida della terminologia in uso da parte degli organi e uffici della p.a. e dei concessionari di pubblici servizi. In base a questa ratio, l'art. 4c. 3 del regolamento prevede che la commissione, prima di procedere alla fissazione dei termini, possa «invitare organi, uffici o concessionari interessati a presentare proposte o a fornire spiegazioni, e può organizzare incontri per chiarimenti su casi dubbi». Queste forme di collaborazione si sono finora dimostrate particolarmente utili e produttive.

Nel silenzio della norma, infine, il regolamento interno stabilisce che la commissione si attivi «d'ufficio o su richiesta di organi, uffici o concessionari interessati» (art. 4 e. 1), prevedendo altresì la possibilità che i privati chiedano alla commissione la fissazione di singoli termini (art. 4 e. 2). PerPage 112la validità delle deliberazioni da assumersi nelle semplici sedute di lavoro è richiesta la presenza di almeno tre commissari, che comunque non devono appartenere tutti al medesimo gruppo linguistico, mentre per le sedute in cui siano assunte deliberazioni a carattere ufficiale (approvazione degli elenchi terminologici) è necessaria la presenza di almeno due rappresentanti per ciascun gruppo linguistico (art. 10 e. 3 e 5).

3.3. Valutazione

Il procedimento sinteticamente descritto è garanzia di elevata qualità della normazione terminologico-giuridica, e consente in ultima analisi alla popolazione della Provincia di Bolzano di poter impiegare la lingua tedesca con la certezza dell'assoluta corrispondenza concettuale.

L'istituzione della commissione (dunque di un organismo dotato -esso solo -dell'autorità di emanare una terminologia ufficiale) è comunque venuta incontro ad un'esigenza non più procrastinabile, anche se, d'altro canto, il suo tardivo insediamento rispetto al momento della fissazione del principio di equiparazione delle lingue ha probabilmente contribuito al sorgere di taluni dei problemi in questa sede brevemente accennati, dovuti per l'appunto ad una fondamentale incertezza sulla «politica di normazione terminologica» da seguire ed in particolare alla poca chiarezza tra scelte, per così dire, autarchiche, e l'orientamento verso il linguaggio (tecnico-giuridico) in uso in Germania o in Austria.40

Un elemento di riflessione è altresì rinvenibile nella «naturale artificialità» della norma in esame: al di là delle questioni di natura linguistica sulla possibilità e la convenienza di una pianificazione (seppure soltanto di una terminologia specialistica), vanno segnalate le difficoltà (senza possibilità di soluzione, data l'attuale situazione positiva) che sorgono dalla prassi dell'iter legislativo provinciale. Se da un lato la lingua italiana resta quella ufficiale (e fa testo «negli atti aventi carattere legislativo»),41 è altrettanto vero che, per la stessa composizione degli organi legislativi, la gran partePage 112dei testi nasce in lingua tedesca, e la versione (ufficiale) italiana è nei fatti spesso una traduzione. Il lavoro documentale e di analisi, che deve necessariamente partire dal linguaggio giuridico italiano, dunque, conduce talvolta all'inevitabile e paradossale situazione di dover partire da un testo tradotto e compiere il percorso inverso rispetto a quello realmente compiuto dal termine esaminato. Nella finzione giuridica, legata in primo luogo alla fattispecie normativa astratta, il problema non si pone: l'art. 4 del d.P.R. 574/88 impone infatti (e. 1) «L'uso congiunto delle lingue italiana e tedesca [...] per gli atti destinati alla generalità dei cittadini, per gli atti individuali destinati ad uso pubblico e per gli atti destinati a pluralità di uffici», precisando di intendere per uso congiunto che «i due testi vengono riportati uno a fianco dell'altro, [con] la stessa evidenza e lo stesso rilievo tipografico» (c. 4). Questo disposto, conseguenza del principio statutario della parificazione delle lingue, importa di conseguenza l'impossibilità di considerare uno dei due testi o parti di essi quali traduzioni ma nel contempo la necessità di ricorrere all'italiano quale lingua di riferimento per difficoltà interpretative.

Resta brevemente da segnalare il criterio della «pariteticità» nella composizione della commissione. Essa è da un lato paritetica tra Stato e Provincia, dall'altro lo è in base ai gruppi linguistici di appartenenza, con una emblematica sovrapposizione dei due elementi, nel momento in cui la stessa norma (evidentemente prendendo atto di una situazione di fatto) ha stabilito che i tre membri di nomina governativa fossero quelli di lingua italiana ed i tre di nomina provinciale fossero quelli di lingua tedesca. Stupisce che una così attenta definizione della pariteticità (differente anche da quella delle commissioni ex art. 107 St. taa)42 abbia omesso di prevedere un equilibrio anche nella formazione culturale dei membri, non stabilendo, ad es., la presenza di un eguai numero di giuristi e linguisti. Anche i requisiti di validità delle delibere si ispirano al criterio della pariteticità,Page 114come emerge dalle disposizioni del regolamento concernenti l'appartenenza del presidente e del vicepresidente a gruppi linguistici diversi e la presenza di rappresentanti di entrambi i gruppi linguistici sia per le normali sedute di lavoro sia per le sedute destinate all'approvazione di elenchi di termini.43

4. L'applicazione delle decisioni della commissione Lacuna legislativa o paradosso dell'effettività?

Dal punto di vista tecnico-normativo (ma anche politico-giuridico) la norma in esame evidenzia, pur nell'accennata elevata qualità della tutela delle minoranze linguistiche in essa sancita, alcune lacune che non hanno mancato di creare difficoltà di un certo rilievo anche nella prassi. I maggiori problemi di natura giuridica relativi all'attività della commissione in esame sono rapportabili alla questione dell'effettività delle sue decisioni; la mancanza di una «previsione di vincolatività» di quanto stabilito dalla commissione ha infatti condotto al verifìcarsi di episodi di reazione alle sue decisioni che da un punto di vista procedimentale suscitano più di una perplessità. Per agevolare l'inquardamento delle problematiche giuridiche che si intendono sottolineare ci si riferirà a tre casi che bene evidenziano le lacune che la norma in esame palesa in tema di effettività delle decisioni della commissione.

4.1. Competenza decisionale esclusiva o sovrapposizione con altri organi? Alcuni problemi pratici

Come primo esempio di conseguenze giuridicamente assai dubbie della mancata previsione di una effettiva vincolatività delle decisioni della commissione vanno ricordati alcuni ricorsi avanti al giudice amministrativo da parte di ordini professionali al fine di ottenere l'annullamento di decisioni sulla rispettiva denominazione in lingua tedesca. Nel 1987 il collegio dei periti industriali di Bolzano ed il Consiglio nazionale dei periti industriali hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato44 contro l'ordine degli ingegneri della provincia di Bolzano ed il relativo consiglio nazionale. Il collegio chiedeva l'annullamento del provvedimento del Ministro diPage 115Grazia e Giustizia relativo alla traduzione in lingua tedesca del titolo professionale di «perito industriale» con «Techniker mit Reifediplom»,45 traduzione approvata dopo che l'ordine degli ingegneri aveva diffidato il collegio dei periti a continuare a denominarsi «Kollegium der Facbhngenieure». Nel ricorso si deducevano in particolare l'incompetenza del Ministero di Grazia e Giustizia,46 lo sviamento47 e l'eccesso di potere.48 Il Consiglio di Stato,49 dopo aver respinto le censure proposte50 ed aver richiamato al rispetto dell'ordinamento professionale vigente in Italia,51 ha rigettato i ricorsi.52 In questo caso il Consiglio di Stato non ha dichiarato la propria incompetenza, ma ciò è facilmente spiegabile per due evidenti ragioni: la prima perché i ricorsi avevano ad oggetto un provvedimento del Ministero di Grazia e Giustizia, la seconda perché all'epoca (1987-1989) non era ancora stata istituita la commissione di terminologia né erano in vigore le disposizioni sull'uso della lingua in provincia di Bolzano. Interessante sarebbe piuttosto chiedersi se ora la competenza a stabilire la dizione tedesca dell'albo professionale rientri ancora nella sfera di attribuzioni del Ministero di Grazia e Giustizia nell'esercizio del suo potere di vigilanza sulla tenuta degli albi o non debba piuttosto (come sembra più corretto) ritenersiPage 116assorbito nelle competenze della commissione in base allo ius superveniens del d.P.R. 574/1988.

Per complicare ulteriormente il bandolo della matassa in tale groviglio di competenze, si aggiunga che il collegio dei periti industriali della provincia di Bolzano, dopo il deposito della senzenza, ha inoltrato richiesta53 alle autorità provinciali di Bolzano di stabilire con atto legislativo o amministrativo l'ufficialità della traduzione «Fachingenieur» (o di indicare altra valida soluzione che «trovi radici nella lingua tedesca e nella realtà locale» «), ed ha disposto nel frattempo di non impiegare alcuna traduzione per indicare in lingua tedesca il titolo di «perito industriale». Dopo l'istituzione della commissione, questa si è interessata della questione, stabilendo una nuova traduzione,54diversa sia da quella invocata dal collegio sia da quella precedentemente stabilita dal Ministero. Contro tale decisione il collegio dei periti ha dapprima richiesto una seconda decisione alla commissione di terminologia ai sensi dell'art. 6 del regolamento interno di questa; poiché la commissione ha confermato la precedente decisione, il collegio55 ha impugnato la traduzione formalizzata dalla commissione davanti al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa.56

In base a quanto si è già affermato, il testo della norma di attuazione in esame lascia pochi margini di dubbio sull'incompetenza del Tribunale amministrativo a conoscere di questa materia,57 giacché la commissione viene configurata dall'ari. 6 come l'unico organo competente per la fissazione della terminologia tecnica tedesca e viene altresì espressamente sancita la (sola) possibilità di un ricorso alla commissione stessa. Altrettanto dubbia è inoltre la legittimazione all'impugnazione da parte di un ordine professionale: il regolamento interno della commissione prevede espressamente che obiezioni ed istanze contro le decisioni possano essere sollevate solo dal Commissario del Governo e dalla Giunta provinciale (art. 6 e. 4), riconoscendo alle persone interessate soltanto la «facoltà di richiedere infor-Page 117mazioni e attestati della terminologia approvata».58 Anche in questo caso non si può mancare di notare 1'incongruenza argomentativa nella motivazione del ricorso, nella parte in cui lamenta tra l'altro una violazione della direttiva CEE in materia di riconoscimento dei titoli di studio59 che riconosce ai cittadini degli Stati membri il diritto di avvalersi del loro legittimo titolo di studio nella lingua dello Stato in cui è stato conseguito. In questo caso, infatti, non si tratta certo di una decisione volta ad inficiare tale principio, ma di una semplice presa d'atto della diversità dei requisiti tra il Fa-chingenieur austriaco ed il perito tecnico italiano, creando perciò per quest'ultimo un'espressione ad hoc in lingua tedesca. Nulla impedisce a chi abbia conseguito il titolo in Austria di mantenere la qualifica di Fachinge-nieur (iscritto al collegio dei periti tecnici/ Kollegium der diplomierten Ge-werbetechniker) o di chiedere 0 riconoscimento del titolo.

Giuridicamente più delicato ma altrettanto dubbio (e clamoroso) è il caso, ormai alquanto ricorrente, di intromissione del legislatore regionale e provinciale nell'attività di fissazione di corrispondenze terminologiche. Valga per tutti l'esempio dell'art. 10 e. 2 della legge regionale 25 giugno 1995, n. 4,60 che recita: «Nel testo tedesco della legge regionale 2 maggio 1988, n. 10, la parola Regionalausschujì è sostituita dalla parola Regionalregierung».61 A prescindere dall'aspetto chiaramente e meramente politico della disposizione (aspetto che peraltro rientra senza alcun dubbio nelle prerogative di un organo politico rappresentativo come il consiglio regionale, e che non può rilevare in questa sede) appare qui interessante soffermarsi sulla sussistenza o meno del potere di disporre in materia e riflettere sulla gerarchla delle norme. La previsione della commissione, come organo espressamente deputato alla fissazione della terminologia giuridica ufficiale in lingua tedesca, in una norma di attuazione dello statuto di autonomia induce a far ritenere giuridicamente inammissibile una attività in tal senso da parte del legislatore regionale e provinciale, e ciò sia sotto il profilo sostanziale (non avrebbe allora avuto senso l'istituzione di una apposita commissione) sia sotto quello giuridico-formale, in quanto l'ancoraggio in una norma inserita ad un livello gerarchico intangibile persino dalle leggi ordinarie del Parla-Page 118mento62 sembra escludere una decisione da parte di una legge gerarchicamente subordinata sia allo Statuto sia alle sue norme di attuazione.

Lo stesso dicasi (e la dimostrazione qui vale afortiori) per analoghe disposizioni stabilite con atti di natura amministrativa quali le deliberazioni della Giunta provinciale. Se qualche maggiore dubbio potrebbe porsi con riferimento ad atti emanati prima dell'insediamento della commissione, (pur dovendosi giungere ad analoghe conclusioni)63 questo dovrebbe risultare giuridicamente del tutto fugato in presenza (ed in piena attività) dell'organismo all'uopo predisposto.

Si pensi ad esempio alla recente deliberazione della Giunta provinciale di Bolzano64 con cui si revoca la precedente statuizione sul punto65 e si dispone la traduzione dei termini «scuola in lingua italiana/in lingua tedesca / delle località ladine» con «deutscbsprachige», «italienischsprachige» e «ladi-nische Schule», con ciò recependo (ma in questa sede ciò non riveste alcuna importanza) quanto stabilito dalla stessa commissione. Lungo e complesso è stato l'iter per la nascita di questa denominazione. Nella versione tedesca dello Statuto di autonomia (art. 19 e. 4) il termine «scuola in lingua...» viene tradotto con «Schule mit italienischer/deutscber Unterrichts-spraeche».66 La Corte costituzionale, nella sentenza 215/1993, «pur non ravvisando nell'operato della Provincia invasione di competenze statali costituzionalmente garantite», ha individuato, nella delibera con cui la Provincia stessa ha sancito la traduzione dei termini in questione in modo difforme da quella indicata nello Statuto di autonomia, una «occasionale imprecisione che ha carattere meramente formale», con ciò dichiarando la propria incompetenza a garantirne la tutela. In base ad un parere dell'Avvocatura generale dello Stato, col quale si proponeva di adire il tribunale ordinario con un'azione di accertamento del «diritto soggettivo dello Stato all'unitarietà della scuola italiana ed impedire che attraverso forme e nomenclature equivoche o ingannevoli risulti sminuita o alterata la funzione esercitata dallo stesso nel campo dell'istruzione»,67 il dipartimento per gliPage 119affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto al Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano di iniziare l'azione di accertamento davanti al Tribunale di Bolzano, «rivolgendo preliminarmente invito alla Provincia di Bolzano a modificare il decreto e specificando pure che lo stesso è stato riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale erroneo sul piano formale».68 Su questa base la Provincia ha incaricato la commissione di terminologia di formulare una traduzione del termine «scuola in lingua...».

In quest'ultimo caso vengono in rilievo diverse interessanti questioni. Cronologicamente va segnalato in primo luogo l'intervento della Giunta provinciale in materia terminologica nel 1993, quindi dopo l'istituzione della commissione di terminologia; in seguito la quantomeno incompleta sentenza della Corte costituzionale, che da un lato ha confermato quanto in questa sede già argomentato (il maggiore grado di vincolatività della terminologia contenuta nello statuto di autono.mia), ma dall'altro non ha riconosciuto l'incompetenza dell'autorità provinciale ad intervenire in una materia che la norma di attuazione ha riservato ad un organo appositamente istituito; infine la funzione di fatto meramente consultiva svolta dalla commissione nella formulazione in lingua tedesca del termine in oggetto, non potendo in alcun modo la recezione da parte dell'autorità provinciale dei contenuti della decisione della commissione far ritenere in qualche misura raggiunto lo scopo voluto dalla norma di attuazione.

4.2. L'impianto sanzionatorio

Dopo aver accennato alcune tra le più interessanti problematiche giu-ridiche finora emerse in riferimento all'attività della commissione, appare opportuno cercare di fare chiarezza sui delicati temi della sfera di competenze della commissione e della sindacabilità delle sue scelte, chiedendosi altresì quale possibile sanzione di vincolatività il legislatore avrebbe potuto effettivamente prevedere per le decisioni della commissione. Va tuttavia premesso che la risposta a quest'ultimo quesito è difficile e soprattutto soggettiva; essendo la lingua un fatto umano e «spontaneo», l'esigenza di nor-inazione sembra da riferirsi da un lato ad un'esigenza di efficace tutela mi-noritaria (e di chiarezza concettuale), dall'altro (e ciò non va sottovalutato) all'impiego meramente ufficiale dei diversi termini, lungi dal pretendere di intervenire sul linguaggio comune.

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Nulla dice la norma sulle modalità di impugnazione, ed anzi parla soltanto di «eventuali modifiche ed integrazioni» e di «osservazioni», lasciando intendere la possibilità del solo ricorso in opposizione, dunque alla stessa commissione (anche se, come si è visto, nella prassi le cose sono andate in modo assai diverso). Ciò sembra trovare conferma nelle dettagliate disposizioni del regolamento interno, il cui art. 6 disciplina la procedura deliberativa, stabilendo che «il Commissario del Governo e la Giunta provinciale possono, anche singolarmente ed entro sei mesi, sollevare obiezioni contro i termini fissati con le delibere trasmesse e richiedere delle modifiche» (art. 6 c. 4). Sì prevede inoltre che tali obiezioni vadano presentate alla commissione per iscritto (c. 4) e che il recapito delle stesse sia confermato al mittente (c. 5), mentre è possibile revocare obiezioni ed istanze già presentate (c. 6) così come rinunciare a sollevare tali obiezioni già prima del decorso dei sei mesi (c. 6).

In tema di effettività delle decisioni della commissione il legislatore sembra dunque aver assunto un atteggiamento «astensionista»: dopo avere seppur vagamente (devono essere redatti [...] rispettando la terminologia [...], art. 6 c. 3 d.P.R. 574) prospettato il mancato rispetto delle decisioni della commissione quale violazione di legge (e dunque punibile ai sensi dell'art. 37 dello stesso decreto), nulla dice sulle modalità di accertamento di tali violazioni e sui soggetti a ciò legittimati, lasciando alla prassi di determinarne gli effettivi contenuti.

Ai sensi dell'art. 37 d.P.R. 574/88 «l'inosservanza delle disposizioni del presente decreto costituisce per il pubblico dipendente violazione dei doveri di ufficio perseguibile in via disciplinare, fatta salva, quando ne ricorrono le condizioni, l'applicazione dell'art. 328 del codice penale».69 A stretto rigore di legge, dunque, il combinato disposto degli articoli 6 e. 3 e 37 della norma di attuazione dovrebbero configurare l'applicabilità di sanzioni disciplinari in capo al pubblico dipendente che non rispetti la terminologia stabilita dalla commissione, potendosi persino giungere in ipotesi estreme a configurare la fattispecie penale del rifiuto d'atti d'ufficio. Ex art.Page 121328 c. 2 cod. pen. dovrebbe interpretativamente dedursi che chiunque vi abbia interesse possa attivarsi per richiedere al pubblico dipendente l'applicazione delle decisioni della commissione.

A ben vedere, tuttavia, le cose non sembra possano stare esattamente in questi termini. Per quanto riguarda le sanzioni disciplinari appare infatti difficile, nella gran parte dei casi, individuare l'autorità competente ad irradiarle, giacché gli ostacoli all'applicazione della terminologia ufficiale non vengono dai singoli funzionari o traduttori ma dagli enti ed uffici di appartenenza. L'accertamento di questo tipo di violazioni comporterebbe la ricostruzione di una lunga «catena» di responsabilità amministrative, fino a giungere a vertici non responsabili in via disciplinare. Dal punto di vista amministrativo, pertanto, sembrerebbe punibile in base alla norma in esame solo il volontario ed individuale mancato rispetto della terminologia ufficiale da parte del singolo funzionario, in contrasto con la volontà dell'ente o ufficio di appartenenza di adeguarsi alla decisione della commissione; un'ipotesi scolasticamente possibile ma nella prassi assolutamente irrealistica. Ancor più irrealistica è l'eventualità che in ipotesi di questo genere possa configurarsi la fattispecie penale dell'omissione o del rifiuto d'atti d'ufficio; anche ammettendo la più che remota possibilità che un Tribunale proceda per simili ipotesi, il rischio di scadere nel ridicolo sarebbe assolutamente inevitabile. Vero è infatti che, com'è ben noto, dietro le parole si nascondono i concetti, e l'arbitrio linguistico è la cartina al tornasole dell'arbitrio concettuale, ma non si può certo pensare che la sanzione giuridica si spinga al punto di censire questo tipo di ordine, instaurando un regime di «terrore terminologico».

Appare inoltre più che.ragionevole pensare che lo stesso legislatore di attuazione, nel prevedere le sanzioni per l'inosservanza delle norme del decreto (art. 37) non avesse certo in mente il rispetto della terminologia fissata dalla commissione, quanto piuttosto la «tenuta» di norme assai più delicate dal punto di vista complessivo (in particolare quelle relative al processo ed ai rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione).

Diverse sono le proposte che si possono avanzare per ovviare a questa situazione di sostanziale inoperatività delle norme sulla vincolatività delle decisioni della commissione; in particolare è stata prospettata «la nomina di un sovrintendente linguistico o l'istituzione di un comitato coordinatore [...] al quale affidare la vigilanza sulla corretta osservanza delle norme concernenti l'uso delle due lingue e sul rispetto della terminologia ufficiale»,70Page 122oltre ad altre competenze. L'idea appare certamente interessante, anche se forse ciò potrebbe risultare di scarsa efficacia pratica, al pari di altre autho-rittes amministrative che finora, almeno nell'ordinamento italiano, non hanno dato grandi prove di efficacia. Resterebbe infatti da chiedersi quali poteri dovrebbero essere affidati a tale sovrintendente, e sembra legittimo domandarsi se gli stessi problemi di effettività non si porrebbero anche in relazione ad esso, in assenza di una disciplina puntuale dei relativi poteri e funzioni. In questo senso appaiono comunque da salutare positivamente idee quali l'istituzione (e la divulgazione) di raccolte della giurisprudenza in lingua tedesca,71 ormai sempre più consistente nella prassi giudiziaria altoatesina, e quant'altro possa favorire la circolazione per prestigio di quanto sancito dalla commissione, dall'eventuale raccolta delle (ancora poche) opere di dottrina ad una più incisiva pubblicità degli elenchi terminologici. Sotto il profilo meramente sanzionatorio sarebbe stata certamente auspicabile la previsione di strumenti appositi atti a garantire il rispetto delle decisioni della commissione, dettati in deroga alle disposizioni generali di cui all'articolo 37 del decreto. La validità di una simile soluzione sembra inoltre confermata dalla recente modifica al testo del d.P.R. in esame di cui al decreto legislativo 446/1996, il quale prevede apposite sanzioni per il mancato rispetto delle norme relative ai concessionari di servizi di pubblico interesse.72

4.3. Valutazione

Nel complesso va certamente lamentata un'eccessiva prudenza del legislatore di attuazione nel disciplinare la commissione, in particolare per quanto riguarda l'effettività delle decisioni sulla terminologia giuridica. Nel contesto generale della norma, infatti, si possono agevolmente individuare gradi assai diversi di dettaglio nella regolamentazione di diverse fattispecie; nei casi in cui il legislatore sembra aver voluto ridurre al minimo i rischi di divergenze interpretative ha disciplinato la materia con grande do-Page 123vizia di particolari (ad esempio nella disciplina del rapporto tra il cittadino e la pubblica amministrazione, artt. 7-12 d.P.R 574/88, e del processo penale, artt. 13-20), mentre ha lasciato grandi lacune quando ha sottovalutato l'importanza di una materia (ed è forse il caso del processo civile, cui sono dedicati solo gli articoli 22 e, in parte, 21)73 o ha preferito non addentrarsi in questioni troppo delicate per non creare ulteriori difficoltà, come appare evidente nel caso della commissione. Il tenore dell'art. 6 della norma di attuazione palesa infatti in diversi punti la piena consapevolezza dei problemi con cui la concreta attività della commissione avrebbe dovuto confrontarsi, mostrando nel contempo di non volervisi soffermare: è il caso ad esempio del e. 1 lett. a ( «determina ed aggiorna, ovvero convalida» [...] «al fine di assicurarne la corrispondenza nelle lingue italiana e tedesca «) e, soprattutto, del c. 3 in cui si stabilisce genericamente che i testi delle leggi, dei regolamenti, degli atti e dei provvedimenti soggetti alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e nel busarl74 «devono essere rispettivamente redatti o tradotti osservando la terminologia determinata in base alle norme del presente articolo».

Come si è visto, però, la prassi tende a non rispettare in diversi casi le decisioni della commissione, ma pensare ad un'immediata applicazione di (incerti) meccanismi sanzionatori non è certo semplice: i casi in cui le decisioni della commissione vengono disattese si riferiscono solo ed esclusivamente a denominazioni di enti, organi ed uffici, non già al linguaggio tecnico-giuridico vero e proprio, che costituisce la gran parte del lavoro della commissione. Si deve dunque ritenere che il particolare attaccamento all'uso interno di una determinata denominazione sia dovuto fondamentalmente a tre ordini di ragioni: in primo luogo a ragioni di mero interesse (anche assai banali ma nella prassi non del tutto irrilevanti; si pensi ad esempio alla necessità di cambiare timbri e carta intestata da parte degli uffici), in secondo luogo a sempre possibili errori da parte della commissione; infine a decisioni a carattere esclusivamente politico.

Nel primo caso de ture si deve certo ritenere che la pubblica amministrazione non possa che adeguarsi alle decisioni della commissione, anche se ciò dovesse comportare qualche fastidio e qualche spesa in più. Più diffìcile la questione riguardante soggetti privati; in ogni caso sembra che l´ob-Page 124bligo di attenersi alle decisioni della commissione sia da considerarsi esteso anche (e soltanto) ai concessionari di pubblici servizi (ex art. lei lett. a d.P.R. 574/88). De/acto, tuttavia, sembra assolutamente irrealistico (oltre che pericoloso), specie in una realtà come quella della provincia di Bolza-no, che la commissione o singoli interessati giungano a richiedere in via penale (stante la scontata inoperatività della responsabilità amministrativa del funzionario) la coattiva applicazione delle decisioni terminologiche.

Nella seconda delle ipotesi prospettate (quella di errore da parte della commissione), la norma in esame non sembra lasciare margine a dubbi interpretativi: la commissione stessa (ed essa sola) può essere sollecitata a riesaminare le proprie decisioni entro un periodo di sei mesi dall'approvazione, e questo è l'unico rimedio contro eventuali imperfezioni nelle decisioni, imperfezioni che comunque la norma ha voluto evitare stabilendo la necessità di competenza ed esperienza per i commissari (art. 6 c. 1 d.P.R. 574) e la possibilità di avvalersi di consulenti specializzati nel settore giuridico, amministrativo e tecnico per l'assolvimento dei suoi compiti (art. 6 c. 4).

L'ultima ipotesi considerata, la volontà politica di adottare un termine piuttosto che un altro a prescindere dalla fondatezza giuridica della scelta, può qui essere considerata solo in riferimento agli eventuali conflitti di competenza che possono sorgere (come nell'esempio dell'intervento normativo regionale o provinciale di cui si è trattato), non già del contenuto di tali scelte. Un atteggiamento maggiormente collaborativo tuttavia, anche in questo caso, non guasterebbe; in realtà, infatti, essendo impensabile per ragioni di tempo che il legislatore consulti la commissione prima della stesura di un testo di legge, egli deve ritenersi sostanzialmente libero nelle scelte terminologiche che compie, ben sapendo, inoltre, che in base al procedimelo sopra descritto contribuisce così facendo in misura determinante alla creazione del linguaggio giuridico tedesco. Solo in casi numericamente eccezionali egli dovrebbe attenersi alle decisioni della commissione. L'influenza esercitata nel concreto dal legislatore provinciale e regionale sulla terminologia giuridica in lingua tedesca sarebbe insomma maggiore di quella della commissione (che si basa in buona parte su quanto già stabilito proprio dal legislatore), senza bisogno di porre in essere atti tendenzialmente conflittuali e più che dubbi dal punto di vista della gerarchia delle norme.

Gli esempi riportati, ed in particolare quello riferito al complesso (ed unico già «risolto») caso della traduzione del concetto «scuola in lingua...», portano a sollevare una questione di fondo. Analizzando il problema sotto il profilo strettamente giuridico, sembra infatti che tutti gli attori del caso esaminato (Provincia autonoma, Commissariato del Governo e Corte costituzionale) siano incorsi nel macroscopico errore sostanziale di trascurarePage 125la competenza esclusiva della commissione in tema di fissazione delle corrispondenze terminologiche in lingua tedesca. In caso contrario si deve rigettare l'argomentazione qui addotta dell'esclusiva competenza della commissione, la quale dovrebbe dunque intendersi come organismo, a seconda delle circostanze, accessorio o consultivo, le cui decisioni sono in ogni caso superabili in base ad atti normativi del potere locale. Se è questa l'interpre-tazione corretta, l'errore deve ritenersi insito nella norma sull'uso della lingua, che avrebbe dunque dovuto disciplinare in modo del tutto diverso compiti e poteri della commissione oppure non istituirla affatto.

Viene spontaneo a questo punto chiedersi se la disposizione in esame, in riferimento alle norme relative alla commissione di terminologia ed all'efficacia delle sue decisioni (artt. 6 e 37), sia da considerarsi in sé lacunosa ed incompleta e se sì in quale misura e sotto quali aspetti, ed inoltre se eventuali lacune nella previsione normativa siano imputabili sic et simplici-ter ad eventuali manchevolezze del legislatore di attuatione o non siano anche in qualche misura l'inevitabile conseguenza di una volontà di spingersi troppo oltre con strumenti giuridici, addentrandosi in settori che episte-mologicamente mal si prestano ad essere sottoposti ad una rigida disciplina giuridica.

Dal punto di vista tecnico-normativo sarebbe certo stato auspicabile, alla prova dei fatti, che il legislatore di attuazione avesse dedicato alla disciplina della commissione un'attenzione (o forse un coraggio) maggiore, in particolare per quanto attiene ai rapporti con altri organismi in materia di fissazione della terminologia ufficiale e di ricorribilità delle decisioni. Una risposta più completa esigerebbe tuttavia sia un esame delle esperienze straniere che presentano qualche affinità con la realtà altoatesina, sia soprattutto un'esaustiva riflessione sul ruolo della norma giuridica in materia linguistica, per valutare in che misura gli accennati problemi di effettività della norma di attuazione dello Statuto siano dovuti a lacune normative tecnicamente superabili e quanto il diritto possa legittimamente ed efficacemente intervenire a regolamentare questo settore. La complessità delle questioni e la brevità dello spazio non consentono di approfondire tali problematiche in una sede dedicata ad un'analisi tecnica della norma in esame. Il problema tuttavia sussiste e non può essere ignorato.

5. Conclusioni

Da un punto di vista generale non si può che notare come la normativa introdotta dal d.P.R. 574/1988 operi nel senso di garantire alla minoranzaPage 126di lingua tedesca quel «qualcosa di diverso e di più» rispetto al principio di uguaglianza che per la Corte costituzionale rappresenta l'essenza e lo scopo della tutela legislativa delle minoranze.75 All'interno di detta norma la commissione viene a svolgere un delicato e fondamentale ruolo concretiz-zatore dei princìpi altrove sanciti, rappresentando, per così dire, l'anello di congiunzione tra la fattispecie astratta (diritto all'impiego equiparato delle due lingue) e la realtà (quale lingua tedesca e con quale certezza del diritto ad essa correlata). In chiave politico-linguistica la commissione rappresenta insomma il punto di arrivo di un processo evolutivo nella protezione delle minoranze linguistiche, sia sotto l'aspetto dell'ampiezza dei diritti riconosciuti sia, soprattutto, sotto l'aspetto della qualità della tutela.

La previsione di una simile commissione costituisce comunque nel contempo un'importante sfida per l'incremento qualitativo della tutela delle minoranze linguistiche nell'ordinamento italiano. Risulta infatti di immediata comprensione la differenza tra la mera enunciazione del principio di equiparazione delle lingue riferito ad un determinato territorio76 e la garanzia normativa della qualità della lingua specialistica utilizzata; ciò è tanto più importante con riferimento al territorio della provincia di Bolzano, dove si pone l'esigenza di rendere in lingua tedesca la terminologia riferita all'ordinamento giuridico italiano.

Molto importante è poi il tema della chiara definizione delle competenze della commissione, al fine di evitare indebite sovrapposizioni che rischiano di vanificare le ricordate ottime potenzialità della commissione come strumento di effettiva tutela minoritaria. Come si è cercato di dimostrare, il legislatore ha previsto per la commissione un campo di attribuzioni assai ben delimitato, all'interno del quale, si è detto, essa deve comunque ritenersi l'unico organo competente.

Tuttavia la scarsa attenzione (voluta o meno che sia) al tema dell'effettività e della ricorribilità delle decisioni rischia di soffocare il neonato nella culla. Con riferimento ai particolari aspetti di difficoltà del lavoro della commissione, non può che esprimersi un certo rammarico per il suo insediamento tardivo rispetto alla realtà locale, il che ha contribuito al crearsiPage 127di problemi maggiori di quanti ne sarebbero sorti se l'attività fosse iniziata con alcuni anni di anticipo. In particolare, la commissione si trova spesso a dover prendere atto di usi linguistici contenutisticamente errati ma ormai talmente consolidati da portare a chiedersi se il male minore sia legittimare un errore o stravolgere le abitudini (pur senza dimenticarsi che si tratta sempre e soltanto di un linguaggio tecnico e destinato ad un uso meramente ufficiale).

Anche questo tema si lega infine a quello che sembra essere il filo conduttore dell'indagane intorno a questo ancora giovane organo: l'effettività delle sue decisioni. Ciò che in conclusione sembra di doversi ritenere è che, al di là di una qualche maggiore attenzione al problema, difficilmente il legislatore di attuazione avrebbe potuto disporre in maniera sostanzialmente diversa in tema di efficacia delle decisioni. Per poter essere rispettata, la terminologia stabilita dalla commissione deve insomma necessariamente contare su una adeguata collaborazione da parte degli organismi cui prevalentemente si indirizza, potendosi imporre, a lunga scadenza, solo per il suo prestigio, prestigio che deve rinvenirsi, ad avviso di chi scrive, in una adeguata compensazione tra l'attenzione a consuetudini linguistiche radicate ed il rispetto del significato giuridico del concetto che si intende esprimere. Anche in questo caso, infatti, la soluzione si trova probabilmente nel mezzo, ed appare perciò auspicabile da un lato una maggiore elasticità della commissione nel valutare prassi linguistiche ormai consolidate, dall'altro un maggiore rispetto della legge e delle attribuzioni in essa disciplinate da parte dei soggetti interessati, nel comune interesse di un più certo ed equilibrato sviluppo e diffusione del tedesco nel linguaggio giuridico-am-ministrativo in provincia di Bolzano.

Solo con la massima apertura e disponibilità da parte di tutti gli attori della realtà plurilingue della provincia di Bolzano sarà possibile compiere attraverso la commissione quel salto qualitativo nell'impiego della lingua tedesca che la norma esaminata è potenzialmente in grado di garantire, pur non essendo esente, come si è visto, da possibilità di miglioramento. Per parte della commissione di terminologia, solo attraverso un'elevata qualità e diffusione il suo operato potrà ripercuotersi assai positivamente sull'intera realtà plurilingue della provincia di Bolzano, ed essere il principale strumento con cui garantire un maggiore e migliore uso della lingua tedesca anche in settori, come ad esempio il processo, in cui l'incertezza concettuale ed il riferimento ad un complesso di norme derivanti quasi esclusivamente dallo Stato centrale ha finora reso difficile e raro, nella prassi, un impiego costante della lingua tedesca.

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Zanon, Heinrich, «Einige Vorschlage zur Durchführung der Zweispra-chigkeit», in: Siidtiroler Juristische GeselIschaft (Hrsg.), Mehrsprachig-keit im Rechtsleben, Bozen-Bildungszentrum 1993, pagg. 63 ss.

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[1] L'espressione «costituzione delie minoranze» è impiegata da R, Toniatti, «La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza "assicurata" e "garantita"», nota a Corte cost., sent. n. 261/1995, in Le Regioni 1995, pagg. 1271 ss.

[2] Cfr. esemplificativamente gli artt. 38 e 39 Statuto Valle d'Aosta, art. 99-102 Statuto Trentino-Alto Adige e la legislazione statale in materia di istruzione con riferimento alla minoranza slovena in Friuli (1. 19 luglio 1961, n. 1012, 1. 22 dicembre 1973, n. 932, d.P.R. 31 maggio 1974 n. 416 e 417).

[3] Corte cost., sent. 62/1992.

[4] Amplius, sulle difficoltà del lavoro terminologico-giuridico in provincia di Bolzano, F. Mayer, F. Palermo, J. Woelk, «Tra Scilla e Cariddi? Tre ordinamenti, due lingue: problematiche terminologiche e comparazione giuridica», in Informator 1/1996, pagg. 212-231.

[5] In alcuni statuti di autonomia si fa invero parola delle caratteristiche etniche e culturali prevedendone la salvaguardia (cfr. artt. 2 e 56 e. 1 St. Trentino-Alto Adige e art. 3 St. Friuli-Venezia Giulia), ma le si riferisce sempre ai gruppi linguistici; la scelta del dato linguistico come (unico) criterio identifìcativo delle minoranze meritevoli di tutela è del resto evidente negli intenti del Costituente, come ben ricorda A. Pizzorusso, «Commento all'art». 6, in: G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma 1975, pagg. 106 ss.

[6] In questo senso espressamente R. Cajoli, L'autonomia del Trentino-Alto Adige. Commento allo Statuto speciale e alle norme di attuazione, Bologna 1952, pag. 209.

[7] Ai sensi dell'art. 99 del testo unico dello Statuto di autonomia (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), «Nella Regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente Statuto è prevista la redazione bilingue».

[8] Si tratta di una commissione paritetica Stato-Provincia che, ai sensi dell'art. 107 e. 2 dello statuto di autonomia, elabora le norme di attuazione relative alle materie di competenza della Provincia di Bolzano, norme che il Governo poi emana con decreto legislativo.

[9] L. Bonell, I. Winkler, L'Autonomia dell'Alto Adige. Descrizione delle competenze legislative ed amministratine autonome delle Provincia di Bolzano, Ed. Giunta provinciale di Bolzano 1994, pagg. 221-222.

[10] In particolare per quel che riguarda l'uso della lìngua tedesca nel processo. Le diverse proposte, assai divergenti dalla soluzione effettivamente adottata, sono analizzate da R. Bettiol, «L'esame dei progetti della norma di attuazione in materia di uso della lingua nella giustizia e nell'amministrazione», in: AA.W., L'uso della lingua nel processo come previsto dallo statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige. Problemi di attuazione, Atti del convegno, Bolzano giugno 1985, Roma, 1985, pagg. 19 ss. Brevi considerazioni anche in A. Piz-zorusso, L'uso della lingua come oggetto di disciplina giuridica, in: Le Regioni n. 1/1990, pagg. 7 ss. (in part. pagg. 19-21).

[11] Così la Corte nella sentenza n, 261/1995, cit.

[12] Cfr. J. Woelk, F. Palermo, Sprache und Recht im Gerichtswesen Sudtirols. Das Recht auf Gebrauch der eigenen Sprache im ProzeB auf dem verfassungsrichterlichen Prüfs-tand, in: Europa Ethnica2-3/1995, pagg. 60 ss.

[13] Si rammenti, a titolo meramente esemplificativo, che la Corte ha tra l'altro riconosciuto la possibilità dell'uso della propria lingua quale garanzia non solo di un precetto costituzionale, ma anche del principio del buon andamento degli uffici. Cfr. Corte cost-, sent. n. 927/1988, in: Le Regioni n. 6/1989, con nota di F. Pinto, «Bilinguismo e buon andamento degli uffici», pagg. 1716 ss.

[14] Pubblicato con un anno di ritardo (in G.U. 8 maggio 1989, n. 105), a causa dì un iniziale rifiuto di registrazione da parte della Corte dei Conti. Sulla problematica di allora (ormai superata dalla legge 14 gennaio 1994 n. 20 che esclude all'art. 3 gli atti aventi forza di legge dal controllo preventivo della Corte dei Conti) cfr. A. Lampìs, «Norme di attuazione degli statuti speciali e controllo della Corte dei Conti», Le Regioni n. 6/1991, pagg. 1571 ss, Lo stesso decreto prevedeva inoltre (art. 39 e. 3) un tempo di quattro anni dalla pubblicazione per l'entrata in vigore delle norme relative all'uso della lingua nel processo, che dunque sono divenute operative soltanto l'8 maggio 1993.

[15] Per una più approfondita analisi di tale norma cfr. E. Reggio d'Acì, La Regione Trentino-Alto Adige, Milano 1994, pagg. 488-499, A. Lampis, «Der Gebrauch der italieni-schen und deutschen Sptache in der Verwaltung Sudtirols, als Beispiel einer rechtlich gere-gelten Lösung der Zusammenlebensprobleme unterschiedlicher Sprachgruppen», in: Europa Ethnica 3-4/94, pagg. 120 ss., Id., «Le norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino • Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca nei procedimenti giudiziari al primo vaglio di costituzionalità», in: Informatore. 2/1994, pag. 174 ss., Id., «Uso della lingua tedesca e della lingua ladina», in: «Regione autonoma Trentino-Alto Adige, Università degli Studi di Trento» (cur.), Commentario delle norme di attuazione dello Statuto speciale di autonomia, Trento 1995, pagg. 209 ss., L. Bonell, I. Winkler, L'Autonomia dell'Alto Adige... cit., pagg. 221 ss. J. Woelk, F. Palermo, Sprache und Recht...cit., pagg. 60 ss., e F. Palermo, J. Woelk, Minoranze e giustizia. La normativa sull'uso della lingua nei tribunali in Alto Adige, in Nord-Est n. 6,1995/1996, pagg.109-121.

[16] L'importanza di questa ultima previsione è ora assai limitata, dopo l'istituzione a Bolzano di una sezione distaccata della Corte d'Appello di Trento, prevista dalla 1. 17 ottobre 1991, n. 335, come modificata dalla 1. 12 agosto 1993, n. 311.

[17] Ai sensi dell'art. 2 e. 2 d.P.R. 574/88 «sono concessionari di servizi di pubblico interesse i soggetti che gestiscono servizi che rientrano nelle attribuzioni o nella disponibilità di enti pubblici, nonché quelli in atto ad essi equiparati».

[18] La norma parla espressamente di tale facoltà riconosciuta ai cittadini di lingua ladina; in realtà questa disposizione, come numerose altre contenute nel d.P.R. 574/1988, mostra di cadere, anche se per lodevoli ragioni di chiarezza, in una evidente contraddizione espressiva, in quanto la facoltà di impiegare la lingua italiana, quella tedesca e, dove possibile, quella ladina, si basa (salvi i casi in cui opera il criterio della lingua presunta) solo ed esclusivamente sulla scelta personale di ciascuno. L'espressione deve dunque ritenersi non corretta.

[19] Art. 32 e. 2 d.P.R. 574/88, come modificato dal d.lg. 24 luglio 1996 n. 446.

[20] Concretamente esistono un glossario trilingue per l'esame di trilinguismo Uni un Ladins Val Badia (cur.), Glossar por le trilinguism, San Martin de Tor, 1995, ed un elenco (inufficiale) dei termini amministrativi. Il Consiglio regionale ha inoltre curato una traduzione ladina dello Statuto di autonomia: l'iniziale proposta ministeriale di tradurre lo Statuto in tutte e cinque le varianti del ladino non è stata seguita, ed è stata impiegata una lingua in parte artificiale, il «ladin dolomitan», basata sui lavori del glossario citato. Il cesto è ora raccolto in: Frazion Ladins dai. Consei Provinzial de Bulsan (ed,), T. Gasser, R. Bernardi (trad.), Statut de autonomia dia Region Trentìn-Südtirol, Bolzano, 1996.

[21] Cfr. sinteticamente A. Pizzorusso, «Libertà di lingua e diritti linguistici. Una rassegna comparata», in: Le Regioni, 1987, pagg. 1347 ss.

[22] Si tratta delle sentenze n. 271/1994 in tema di dichiarazioni spontanee e n. 12/1995 in tema di difensore d'ufficio.

[23] Per tali considerazioni si rimanda a J. Woklk, F. Palermo, op. cit., ove si ritiene assai improbabile che la Corte, quando dovrà nuovamente decidere di una questione di legittimità costituzionale inerente al d.P.R. 574/88 (ed accadrà presto, giacché ormai pendono dinanzi alla Corte ben tre questioni di costituzionalità), difficilmente si assumerà il rischio di intaccarne, anche solo marginalmente, i delicati equilibri.

[24] Si tratta degli organi e degli uffici della pubblica amministrazione e degli enti pubblici, situati nella provincia di Bolzano o aventi competenza regionale e dei concessionari di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia. Una interessante conseguenza (indiretta) di tale disposizione è stata l'estensione, stabilita con un emendamento alla legge finanziaria del 1995 (v. art. 22 1.23 dicembre 1994 n. 724), dell'obbligo del bilinguismo per i dipendenti di società concessionarie di servizi di pubblico interesse, tra cui, ad esempio, le funivie, le farmacie, ecc. Tale previsione, che sta creando non poche difficoltà di ordine pratico per il personale interessato, appare tuttavia non infondata da un punto di vista sistematico in base alla rado della norma in esame.

[25] Com'è avvenuto in particolare per l'approvazione del secondo elenco terminologi-co (delibera 2 marzo 1994). Testo in Bollettino Ufficiale della Regione Trentino-Alto Adige, pane II, n. 12,22 marzo 1994.

[26] L'art. 1 e. 3 dei regolamento interno, inoltre, prevede espressamente che «è consentita una successiva modifica dei termini fissati».

[27] Nei fatti ciò è avvenuto con l'assunzione della segreteria scientifica della commissione da parte dell'Accademia europea di Bolzano, dove vengono svolte le attività preparatorie e di ricerca preordinate all'attività deliberativa della commissione. Sulle modalità di svolgimento della ricerca cfr. F. Palermo, «II diritto alla lingua e la lingua del diritto», in: Academia 3/95, pagg. 9 s. Un ulteriore incarico è stato conferito ad un gruppo di esperti in materia fiscale, presso gli uffici finanziari di Bolzano.

[28] Così l'art. 8 e. 2 del regolamento.

[29] Art. 8 e. 5 regolamento.

[30] In base ai criteri di cui alla legge provinciale 19 marzo 1991, n. 6.

[31] Art. 6 e. 5 d.P.R. 574/88.

[32] Per esempi e proposte di soluzione delle problematiche in esame si rinvia a F. Mayer, F. Palermo, J. Woelk, Op.Cit.

[33] La maggior parte del lavoro si svolge su testi bilingui già esistenti, e I' «invenzione» di parole in lingua tedesca è un fenomeno assai raro in questo tipo di lavoro. Già in seguito all'entrata in vigore dello Statuto di autonomia gli atti normativi provinciali di Bolzano e regionali del Trentino-Alto Adige sono stati redatti in versione bilingue, e dal]'ormai lontano 1969 (con la prima traduzione del codice penale da parte dei Prof. Riz) è stato dato il via alla traduzione dei principali strumenti normativi italiani per il pubblico di lingua tedesca, che ora dispone, nella cosiddetta «collana blu» dell'editrice Athesia, di numerosi testi di legge bilingui (i quattro codici, la legge tavolare, il testo unico delle imposte sui redditi, le norme sul fallimento e le altre procedure concorsuali, le norme sul processo amministrativo, la legge sul notariato). Numerose sono anche le traduzioni private con grande diffusione. È insomma diffìcile reperire concetti giuridici italiani che non siano stati già tradotti: ciò si verifica prevalentemente nei testi di dottrina, la cui importanza però ai fini del lavoro in esame è comprensibilmente ridotta.

[34] In tal senso anche l'art. 6 del regolamento interno della commissione.

[35] Ai sensi dell'art. 3 del regolamento, «per rendere noti i compiti della commissione e i risultati della sua attività nonché per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla portata culturale di un corretto uso dei termini giuridici, amministrativi e tecnici nella lingua tedesca, la commissione intraprenderà una propria attività di pubbliche relazioni tramite la segreteria».

[36] Sul tema si rinvia in particolare a H. Moser (Hrsg.), ZurSituation des Deutschen in Sudtirol, Innsbruck 1982 (in particolare pagg. 163 ss.) e R. Baukr, Deutsch als Amtssprache in Sudtirol, in Terminologie E Traduction, 1/1994, pagg. 63 ss. ed in particolare alle pagg. 72 ss., con numerosi (e talvolta assai divertenti) esempi. Per un inquadramento generale si veda H.G. Gruning, Langues et glottopolitiques en Tyrol du sud, in: Revista de Llengua i Dret, 19 (1993), pagg. 95 ss.

[37] L'espressione è di M. Pradi et al., relazione sul tema «Bilinguismo» al convegno internazionale «Autonomie regionali e organizzazione del servizio giustizia» Arco, 29-30/9/1995, (in corso di stampa-bozze, pag. 5). Gli autori ricordano come una base (ma nulla più) per il lavoro terminologico della commissione sia senz' altro costituita dalla traduzione (comunque «apocrifa») dei codici e di alcune importanti leggi nella già citata «collana blu».

[38] Sulla giurisprudenza della Corte in merito al rango delle norme di attuazione degli statuti cfr, in particolare Corte eost, sent. n. 180/1980, in: Le Regioni, 1981,431 ss. con nota di G. Mor, «Considerazioni sulle norme di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia differenziata», e Corte cose, sent. n. 212/1984, in Le Regioni, 1984, 1310 ss., con nota di U. Allegretti, «La Corte ribadisce l'estraneità del Parlamento all'attuazione degli statuti speciali». Si vedano, per completezza, anche L. BonelJ, 1. Winkler, op. cit., pag. 237, F. Gabriele, «Disposizioni di attuazione degli statuti speciali e parere delle commissioni pariteti-che», in: Giur. cost. 34/1989, pagg. 195 ss. (a sentenza Corte cost. n. 37/1989) e F. Palermo, J. Woelk, op. cit.

[39] Il testo tedesco dello Statuto di autonomia è stato infatti elaborato da parte di tre studiosi di chiara fama (R. Riz, H. Klecatsky e N. Mumelter), il cui testo è stato mandato al Governo italiano e nuovamente, in alcuni punti, rielaborato fino all'attuale, definitiva versione.

[40] Nella prassi la terminologia giuridica in uso in Svizzera è infatti assai meno importante per le ricerche preordinate all'attività della commissione, a causa delle maggiori differenze rispetto ad Austria e Germania, sia sotto il profilo linguistico che sotto quello giuridico.

[41] Art. 99 dello Statuto di autonomia. Sulla prassi di conferire a due testi il medesimo valore legale o di stabilire che solo uno di essi faccia fede cfr. brevemente A. Pizzorusso, Libertà dì lingua..., cit, pagg. 1333-1334.

[42] Sulla pariteticità delle commissioni previste dallo Statuto (e questa, nel suo piccolo, si può ritenere compresa nel genus —anche se non nella species —di quelle ex art. 107 St.), cfr. A. Lampis, La «vera» natura delle Commissioni paritetiche per l'attuazione degli Statuti speciali» (nota a Corte cost., sene. 109/1995), in: Informator, 2/1995, pagg. 92 ss. e S. Bartole, «La presidenza della Commissione paritetica; implicazioni complesse di una decisione apparentemente semplice» (nota alla medesima sentenza), in: Le Regioni, 1995, pagg. 1162-1163, il quale, riferendosi alle commissioni dei 6 e dei 12, ricorda (pag. 1163), che «se guardiamo all'esperienza storica di questi anni [...] agli interessi degli enti si sono sovrapposti quelli della comunità nazionale e dei gruppi linguistici minoritari, benché questi ultimi non si identifichino necessariamente con la Regione e le Province autonome». Osservando i cri-teri di nomina dei membri della commissione di terminologia non si può mancare di notare quanto questa affermazione risulti tanto più vera in rapporto alla commissione in esame.

[43] Supra.

[44] Ricorsi nn. 392,393 e 394 del 1987.

[45] Ministero di Grazia e Giustizia-Direzione Generale degli Affari Civili e delle libere professioni, prow. n. 7-62/6457, del 19 dicembre 1986.

[46] I ricorrenti affermavano che, essendo quello di perito industriale un titolo di studio abilitante per l'iscrizione all'albo, i provvedimenti concernenti la denominazione del titolo sarebbero dovuti rientrare nella competenza del Ministero della Pubblica Istruzione.

[47] L'atto impugnato avrebbe infatti inciso sulla situazione giuridica degli interessati, per ia sua possibile incidenza negativa sull'attività professionale ed economica degli interessati.

[48] Sulla base della dedotta manifesta illogicità dell'atto impugnato, della carenza di presupposti e del difetto di motivazione, giacché mai si sarebbe verifìcata in Alto Adige, secondo i ricorrenti, alcuna confusione tra la categoria dei periti industriali e degli ingegneri a causa della qualifica di «Fachingertieur» reclamata dai primi e di uso comune in Sudtitolo.

[49] Cons. Stato, Sez. IV, 20.6.1989.

[50] Con riferimento alla supposta incompetenza del Ministero il Consiglio ha ritenuto l'atto impugnato compiuto nell'esercizio del potere di vigilanza sull'albo. Con riferimento allo sviamento ed all'eccesso di potere, il Consiglio di Stato ha considerato corretto l'intervento ministeriale in quanto volto non a sminuire la portata professionale del titolo «perito industriale» in lingua tedesca, ma soltanto ad evitare confusioni di ambiti professionali (rispetto agli ingegneri).

[51] Per il Consiglio di Stato non rileva dunque il fatto che la pietra dello scàndalo (il termine «Facbingenieur») esista in Austria e Germania per indicare una figura simile (ma non identica!) a quella del perito industriale italiano, mentre quegli ordinamenti non conoscono il concetto di «Techniker mit Reifediplom».

[52] Nella sostanza ha dunque confermato il divieto per il collegio dei periti di impiegare in lingua tedesca la dizione di «Fachingenieur».

[53] Delibera dell'Assemblea Generale del Collegio del 17.1.1990, Prot. n. 7/90.

[54] Kollegium der diplomierten Gewerbetechniker. Cfr. il primo elenco terminologico, in B.U. parte II, n. 12,22 marzo 1994.

[55] Stavolta unitamente al collegio dei periti agrari, che si trovava in una situazione simile (Kollegium der diplomierten Agrartechniker).

[56] I ricorsi al trga, indirizzati contro il Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano, la commissione di terminologia e la Provincia autonoma, sono stati proposti rispettivamente il 17 ed il 20 maggio 1994.

[57] Il trga non si è tuttavia ancora pronunciato sui ricorsi. In generale, sui tempi tecnici e sulla quantità di ricorsi alla sezione di Bolzano del TRGA cfr. S. Winku-r, «II Tribunale amministrativo di Bolzano: 7 anni di attività», in Informator 2/1996, pagg. 130 ss.

[58] Art. 7 e. 2 regolamento interno.

[59] Direttiva del Consiglio 21,12.1988, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee 24.1.1989.

[60] Recante norme in materia di modifica della legge regionale 2 maggio 1988, n. 10 «Iniziative per la promozione dell'integrazione europea e disposizioni per lo svolgimento di particolari attività di interesse regionale»; in B.U. 4 luglio 1995, n. 31.

[61] Letteralmente: La parola «giunta regionale» è sostituira dalla parola «governo regionale».

[62] Supra, nt. 38.

[63] L'art. 6 del d.P.R. 574/1988 stabilisce infatti espressamente che la commissione «determina, aggiorna ovvero convalida la terminologia giuridica in uso».

[64] Giunta provinciale di Bolzano, 29 dicembre 1995, n. 7070.

[65] 11.10.1993, n. 6254.

[66] Letteralmente: «scuola con insegnamento in lingua italiana/tedesca».

[67] Parere allegato alfa Nota del Ministero della Pubblica Istruzione del 3.12.1993 n. 1642 U/L-LP 1312. Dopo l'entrata in vigore (7 settembre 1996) del dJg. 24 luglio 1996, n. 434 (in Suppl. GU 23.8.1996), che ha sancito il passaggio alla Provincia di Bolzano delle nuove competenze in materia scolastica, questa argomentazione ha tuttavia perso di significato.

[68] Nota del Dipartimento Affari Regionali n. 200/6056/3 T 15/3 del 14.12.1993.

[69] Più precisamente deve intendersi ora (dopo la modifica dell'art. 328 cod. pen. seguita alla 1.26 aprile 1990 n. 86) il riferimento al solo comma 2 dell'art. 328, il quale dispone che «[...] il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni. [...]». Non è infatti pensabile che il mancato rispetto di una terminologia ufficiale possa confìguarasi come atto che «per ragioni di giustizia o sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo», come prevede l'ipotesi di cui al nuovo e. 1 dell'art. 328 cod. pen.

[70] Così esplicitamente M. Pradi et al-, op. cit., pag. 6 (bozze), i quali partono dal presupposto che «la scelta dei termini giuridici da impiegare in lingua tedesca [...] debba risultare da un atto di autorità», senza però poter entrare (per la brevità dell'esposizione) nel merito dell'effettiva sussistenza di tale autorità in capo alla commissione.

[71] M. Pradi et al., op. cit., pag. 5.

[72] Il nuovo c. 5 del d.P.R. 574/88, come modificato dal d.lg. 24 luglio 1996 n. 446 (in G.U. 29 agosto 1996) prevede infatti che «l'inosservanza delle disposizioni di cui ai commi precedenti [riguardanti i concessionari di servizi di pubblico interesse, n.d.a.] comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire cinque milioni [...]».

[73] Per le critiche a questa scarsa attenzione al processo civile cfr. J. Woelk, F. Palermo, Sprache unii Rechi..., cit., in part. pagg. 69-71.

[74] Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata. Si tratta dello strumento di pubblicità legale per gli atti principali delle società di capitali; vi sono pubblicati, in particolare, l'atto costitutivo, lo statuto, i bilanci, ecc.

[75] Sent. n. 86/1975.

[76] Sia pure a «geometria variabile». Infatti il d.P.R. 574/1988 contiene disposizioni che coinvolgono alcuni organi anche al di fuori del territorio della Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige (si pensi agli organi dell'amministrazione regionale, ma anche agli organi giudiziari che in qualche modo sì trovano a venire in contatto con processi in lingua tedesca, ex art. 22 d.P.R. 574/88. come la corte d'assise di appello o il tribunale civile di Trento adito in virtù della competenza fondata sul foro erariale).

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