Le elezioni primarie come forma di partecipazione alla vita politica italiana: un primo bilancio dopo dieci anni di «esperimenti»

AutorEmanuele Rossi- Luca Gori
CargoProfessore ordinario di Diritto costituzionale presso la Scuola Superiore Sant&#x2019;Anna di Pisa-Perfezionando presso il corso <i>Persone e tutele giuridiche</i> della Scuola Superiore Sant&#x2019;Anna .
Páginas77-124

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1. Premessa: obiettivi e metodi del lavoro

Affrontare il tema delle elezioni primarie nell’esperienza italiana significa indagare il processo formativo dell’attuale sistema partitico, sorto dalle ceneri di quello che ha governato in Italia per quasi cinquanta anni, a partire dal 1948. In primo luogo, dunque, deve ripercorrersi l’evoluzione storica del sistema partitico italiano per comprendere l’approdo attuale che, peraltro, ha conosciuto una repentina innovazione con le recenti elezioni del 2008, nelle quali il quadro delle forze politiche in campo è ulteriormente cambiato a giudizio di molti nel senso di una «semplificazione».

Pare opportuno premettere la considerazione che non molte risposte si troveranno in questo lavoro sul reale impatto che il sistema delle elezioni primarie ha avuto in Italia e sulla sua regolamentazione. Anzi, la riflessione scientifica sul punto –ci pare di poter affermare– non è ancora maturata appieno, forse per l’estrema novità dello strumento di cui si tratta: ci sono, così, numerosi problemi aperti di natura costituzionale e rispetto ai quali non possono darsi risposte univoche, data la laconicità della Carta fondamentale sul tema dei partiti politici. In altri termini, c’è un campo aperto di soluzioni possibili ciascuna delle quali, però, necessità di essere bilanciata con altri interessi o regole di natura costituzionale. Così, il tentativo prioritario che si condurrà qui mirerà anzitutto a realizzare la mappatura dei problemi aperti, di cui il legislatore e i partiti politici dovranno tenere di conto nel predisporre le concrete soluzioni normative.

Da un punto di vista metodologico, dopo una complessiva ricostruzione dell’evoluzione del sistema partitico italiano e del dettato costituzionale, si procederà ad un rapido esame delle principali esperienze di primarie in Italia, svoltesi nel decennio 1998-2007. Dall’analisi delle regole e dei risultati di queste si proveranno a trarre due ordini di considerazioni: in primo luogo, i problemi di tono costituzionale rilevati; successivamente, i riflessi sulla costruzione delle leadership e sull’organizzazione ed il funzionamento nell’ambito dei partiti politici, per verificare se essi vengano «plasmati» dalle elezioni primarie o, al contrario, ne risultino, alla fine, intonsi.

Infine, non meno rilevante sarà lo studio delle (poche) disposizioni statutarie dei partiti politici che introducono il meccanismo delle primarie come metodo di scelta dei candidati alle cariche elettive.

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2. Il ruolo dei partiti politici nella forma di governo italiana ed il disposto dell’art 49 della Costituzione

Come1 è convinzione diffusa, la Costituzione del 1948 è l’espressione di un profondo atto di fiducia nei confronti del ruolo dei partiti, dimostrato dall’assenza di quelle misure di razionalizzazione della forma di governo che in altri ordinamenti sono state previste (clausola di sbarramento, sfiducia costruttiva, ecc.) e dall’ampia libertà di manovra concessa agli stessi. In più, la legge elettorale di tipo proporzionale con circoscrizioni assai ampie, in vigore in Italia fino al 1993, favoriva il sorgere ed il permanere di partiti anche di modeste dimensioni e di limitato seguito elettorale, ma in grado di condizionare, entrando a far parte di maggioranze di coalizione, l’azione ed il comportamento dei partiti maggiori2.

Ad ogni buon conto, le prime elezioni che si sono svolte nel 1948, subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione, disegnarono un Parlamento con al centro la Democrazia cristiana, che ottenne il 48,5% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera; accanto ad essa partiti «laici» di ispirazione democratico-parlamentare (PRI, PSDI, PLI3); alla sinistra il Partito comunista ed il Partito socialista, e alla destra il Partito monarchico (fondato dopo il referendum del 2 giugno 1946) ed il Movimento sociale italiano, costituito nel 1947 con esponenti provenienti dal Partito fascista e da formazioni militari della Repubblica di Salò, oltre che da nazionalisti estremi. I primi governi formatisi a seguito di tali elezioni furono presieduti dallo stesso leader del partito di maggioranza (Alcide De Gasperi): una coincidenza di ruoli che si concluse nel 1953 conPage 79le dimissioni dell’VIII Governo da questi presieduto e che non fu mai ripresa, salvo due brevi eccezioni (Fanfani e De Mita), fino ad essere espressamente vietata nello statuto dello stesso partito di maggioranza. Fino al 1957 i governi di coalizione che si sono succeduti alla guida del Paese sono stati definiti «centristi», ovvero formati dalla DC insieme a tutti od alcuni dei partiti «laici» minori4: gli altri partiti non soltanto erano esclusi dalla maggioranza, ma nei loro confronti fu realizzata quella che è stata definita una conventio ad excludendum, mediante la quale si sancì una sorta di accordo non scritto tra gli altri partiti tendente a considerare quelle forze politiche non utilizzabili per la formazione di una maggioranza parlamentare o di governo, stante la loro non compiuta legittimazione democratica o i rischi che un loro coinvolgimento avrebbe potuto produrre in ordine alla collocazione internazionale dell’Italia5.

Detta conventio venne meno nei confronti del Partito socialista a partire dal 1962, quando, con l’avvento dei governi di centro-sinistra (dopo cinque anni di fasi politiche assai movimentate), formati dagli stessi partiti sopra indicati (salvo il PLI che passò all’opposizione) e con l’aggiunta del Partito socialista, fu aperta una stagione nuova. Tuttavia la presenza di spinte diverse e la difficoltà di conciliare le prospettive di partiti divisi al proprio interno (specie per ciò che riguarda la DC, articolata in «correnti», veri e propri sub-partiti), consolidò una «costituzione materiale» che già si era delineata negli anni precedenti ed in base alla quale la stessa composizione del governo (che l’art. 92 della Costituzione demanda alla proposta del Presidente del Consiglio ed alla nomina del Capo dello Stato) veniva definita mediante accordi tra le segreterie dei partiti della maggioranza, sulla base di logiche tendenti a soddisfare in misura proporzionale la loro consistenza numerica nonché le aspirazioni di rappresentanza delle correnti interne. I partiti vennero trasformandosi in oligarchie sempre più ristrette e sempre più potenti, esercitando la propria influenza anche dopo la fasePage 80di costituzione dei governi, soprattutto mediante incontri semi-istituzionali (i «vertici» dei segretari di partito) nei quali venivano definite le linee politiche fondamentali. Ciò ha comportato un apparente paradosso, analizzato dai politologi e dagli stessi ben descritto: a fronte di una instabilità dei governi assai marcata (la media di durata di un governo fino al 1994 è stata di circa un anno), ha fatto riscontro una stabilità politica garantita dal sistema partitico (e dalla DC in particolare), in una sorta «governo senza governo»6.

Il grande potere conquistato dai partiti in questa fase è tuttavia anche la causa dell’inizio del loro declino, almeno per quanto riguarda in particolare la capacità di guidare il Paese e di raccogliere legittimazione ed autorevolezza nell’opinione pubblica. L’istituto che fu individuato dai partiti (ed in particolare dalla DC) per affermare la propria forza fu quello che nel corso degli anni a venire si rivelò uno degli strumenti mediante il quale si consumò il loro declino: il referendum abrogativo. Esso fu infatti utilizzato per la prima volta nel 1974 ad opera del partito di maggioranza in relazione alla legge sul divorzio la quale, osteggiata dalla DC, fu confermata dalla maggioranza degli elettori che si espresse per il NO all’abrogazione (59,3%), mentre i voti favorevoli non superarono la soglia del 40,7%, ben al di sotto del consenso elettorale dei partiti che sostenevano quella scelta.

Malgrado ciò, il sistema politico-partitico continuò la propria azione, assorbendo gli esiti del referendum sul divorzio e mantenendo la centralità della DC. La quale tuttavia sembrò per un breve periodo inaugurare una nuova stagione quando, sulla fine degli anni Settanta, contribuì a realizzare quello che sembrò un superamento della conventio ad excludendum nei confronti del PCI7. In base a circostanze politiche che vennero affermandosi iniziò, infatti, una fase nuova, caratterizzata da un tentativo di coinvolgimento dello stesso PCI nella formazione del governo (il III Governo monocolore Andreotti, che rimase in carica dal luglio 1976 a gennaio 1978), definito «di solidarietà nazionale». Tale coinvolgimento era in realtà realizzato in forma obliqua e non diretta: in sostanza, nessuno dei ministri era appartenente o legato al PCI, ma i parlamentari comunisti appoggiavano il governo astenendosi in Parlamento (da qui il termine di «governo delle astensioni» o della «non sfiducia»), con l’evidente accordo teso ad un maggiore coinvolgimento di tale partito nell’azione governativa.

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Tale fase politica, che nell’idea dei suoi teorici (in particolare il comunista Enrico Berlinguer ed il democristiano Aldo Moro) avrebbe potuto e dovuto sfociare in una vera democrazia dell’alternanza, quale si è sviluppata negli altri Paesi democratici, fu tuttavia interrotta bruscamente per ragioni politiche cui non furono estranee vicende terroristiche: il rapimento di Aldo Moro, significativamente realizzato nel giorno in cui il IV Governo Andreotti (ancora monocolore DC, ma con il formale ingresso del PCI nella maggioranza) si sarebbe presentato in Parlamento per realizzare l’inizio della stagione della «solidarietà nazionale», e la sua uccisione pose sostanzialmente fine a quella stagione. All’inizio del 1979 il PCI chiese un nuovo governo con la propria partecipazione a pieno titolo: la DC rifiutò nel timore di perdere consensi. Così, pochi mesi dopo, la DC mutò radicalmente la propria linea politica tornando ad un sistema di alleanze che individuava nei partiti di centro e nel Partito socialista gli unici interlocutori possibili. A seguito dell’esito delle elezioni svoltesi in quell’anno (che videro il PCI scendere al 30,4%) fu formato il I Governo Cossiga,composto da DC, PLI e PSDI, con l’appoggio esterno di PRI e PSI. Tale appoggio esterno fu tuttavia ben presto superato con l’ingresso formale nella maggioranza di tutti e cinque i partiti nel II Governo Cossiga (primavera 1980), cui successe Forlani e, infine, con il I Governo Spadolini (ottobre 1980), che fu il primo politico non democristiano a diventare Presidente del Consiglio.

Tale fase fu caratterizzata dall’affermazione della formula del «pentapartito» (governi di coalizione formati da DC, PSI, PRI, PLI e PSDI), con la quale si intese sancire il principio della «pari dignità» tra il partito di maggioranza relativa e l’insieme degli altri quattro, con conseguente alternanza nella direzione del Governo tra esponenti democristiani e non democristiani. Nella realtà, tale formula politica aveva lo scopo di superare lo schema tradizionale che vedeva la DC come guida effettiva della coalizione e di escludere in maniera decisa la possibilità di accordi tra questa e il PCI, garantendo al PSI un ruolo stabile e decisivo negli assetti di governo (ed infatti il suo segretario fu Presidente del Consiglio per quasi quattro anni consecutivamente: dall’agosto 1983 al marzo del 1987).

Queste vicende complessive, che abbracciano il periodo che va dall’entrata in vigore della Costituzione fino all’inizio degli anni Novanta, e che hanno avuto per protagonisti, sebbene in posizione spesso marginale, anche altri partiti8, possono essere sintetizzate, relativamente al sistema dei partiti politici, mediante le seguenti linee ricostruttive:

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– la assoluta centralità del sistema dei partiti, che ha costituito la sede reale nella quale venivano definite le decisioni politiche successivamente assunte nelle sedi istituzionali, sì da far ritenere che in Italia si sia determinato «uno spostamento netto della funzione di indirizzo politico dal governo verso i partiti, talvolta entro il Parlamento, più spesso fuori dal Parlamento»9;

– un sistema di democrazia «bloccata», nella quale la conventio ad exdendum sopra richiamata ha impedito il formarsi di maggioranze alternative che potessero candidarsi alla guida del Paese;

– un sistema di partiti fortemente centralizzato, che ha condizionato accordi ed alleanze non solo a livello nazionale ma anche a livello regionale e locale, sebbene le diverse maggioranze che si formavano nelle diverse realtà territoriali potevano consentire il formarsi di governi locali diversi da quello nazionale, ma nel quadro di accordi che comunque venivano decisi in massima parte dal livello nazionale ed in misura assai ridotta dalle sedi locali dei partiti stessi;

– un modo di atteggiarsi della forma di governo nazionale a «multipartitismo estremo», in quanto caratterizzata da una forte frammentazione del quadro politico, con la presenza di partiti c.d. anti-sistema e da alleanze fortemente instabili;

– un assetto interno dei partiti caratterizzato da un progressivo affievolimento delle capacità di dibattito interno (che in alcuni partiti è parso in certe circostanze più accentuato, specie nella DC segnata dall’esperienza delle «correnti» in aperta contrapposizione tra loro), con forme di partecipazione degli iscritti e di assunzioni delle decisioni e di scelta dei vertici mediante metodi che alla luce delle vicende successive ci appaiono oggi sostanzialmente democratici, ma nelle quali le tendenze oligarchiche sono state assai sviluppate, specie nelle ultime fasi descritte10.

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3. La crisi dei partiti degli anni ’90 e il tentativo di costruzione di un sistema bipolare (o multipolare)

Questa lunga stagione della storia costituzionale italiana si è interrotta a seguito di vicende verificatesi agli inizi degli anni Novanta e che sono state fondamentalmente caratterizzate dall’emergere di situazioni di gravi violazioni delle leggi da parte dei partiti e dei loro esponenti più rappresentativi: vicende portate all’attenzione dell’opinione pubblica mediante inchieste giudiziarie che hanno condotto alla condanna di esponenti di primo piano dei partiti di governo, in relazione a reati connessi al finanziamento illecito dei partiti e a forme di corruzione diffusa. Colpiti da un atteggiamento di profonda sfiducia popolare ed in generale del «sistema», sottoposto a forti tensioni anche a causa di fattori esterni al nostro Paese (la caduta dei Paesi socialisti e la conseguente fine della «guerra fredda»), i partiti c.d. del pentapartito, che sono scomparsi o si sono frantumati in varie e mutevoli formazioni politiche, mentre altri hanno subito forti trasformazioni (il PCI si è trasformato prima nel PDS e poi nei DS, per confluire più recentemente nel «Partito democratico»; il MSI in Alleanza nazionale per confluire da ultimo nel «Popolo delle libertà»).

Peraltro, gli stessi partiti avevano dimostrato a più riprese la loro incapacità auto-riformatrice: sì che ancora mediante referendum abrogativi elettorali (il primo, nel 1991, con cui è stato abolito il sistema delle preferenze; il secondo, nel 1993, che ha sostanzialmente trasformato il sistema elettorale da proporzionale a prevalentemente maggioritario) si è contribuito alla definitiva lacerazione del sistema partitico come in precedenza delineato.

Il passaggio dalla fase precedente a quella successiva (passaggio erroneamente indicato, specie nella pubblicistica, come il superamento della «prima Repubblica» a vantaggio della «seconda Repubblica»11) è stato caratterizzato da una (breve) fase di sostanziale neutralizzazione del ruolo dei partiti e fors’anche della stessa politica, nel segno di governi che venivano chiamati «tecnici» in quanto non politicamente qualificati, nonché composti da ministri espressione per lo più della società civile o comunque non appartenenti alla classe politica tradizionale. Tale stagione, resa possibile anche grazie a circostanze esterne (quali fra le altre l’esigenza di recepire i contenuti del Trattato di Maastricht sot-Page 84toscritto dal Governo italiano nel 1992), fu resa evidente dall’attribuzione, nel 1993, dell’incarico di formare un nuovo governo niente meno che al Governa- tore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, senza alcuna indicazione da parte dei partiti ma come scelta autonoma da parte del Presidente della Repubblica, al quale furono chiamati a partecipare anche tre ministri «tecnici» ma «di area» PDS (il partito sorto sulle ceneri del Partito comunista).

Il successivo avvento di un sistema elettorale di tipo misto, ma con prevalente connotazione maggioritaria (realizzato con le leggi elettorali del 1993), ha segnato l’avvio di una stagione nuova, nella pubblicistica definita della «transizione», e segnata da un lato dal tentativo di superare il sistema di «multipartitismo estremo» sopra indicato, e dall’altro dall’impossibilità di realizzare una vera e propria democrazia dell’alternanza. Sul piano dei partiti politici, tale fase ha visto il sorgere o il consolidarsi di forme organizzative diverse dai partiti precedenti, in alcune delle quali non è chiara la distinzione tra l’essere «movimento» (o qualcosa di simile e difficilmente classificabile) e l’essere «partito»: l’elemento che emerge con maggiore chiarezza è dato dal fatto che per lo più tali formazioni politiche risultano costruite ed «inventate» da un leader, che raccoglie intorno a sé propri collaboratori fidati e che detta la linea senza forme effettive di dibattito politico interno. Tali partiti/movimenti rivendicano a sé un approccio meno (o per nulla) ideologico e più di tipo pragmatico e dunque una mutevole collocazione elettorale: si pensi alla Lega Nord (che nasce come successiva trasformazione della Liga Veneta e della Lega Lombarda), a Forza Italia, un movimento capace in pochi mesi di aggregare un consenso amplissimo ma caratterizzato da un assetto leaderistico (anche se stabilmente ancorato a destra).

Il sistema elettorale che è stato adottato a partire dal 1993 ha condotto, non senza incertezze e contraddizioni, ad un assetto politico tendenzialmente bipolare (dopo che il tentativo, operato nel 1994, di costruire un polo di centro ha dato esiti negativi sul piano elettorale), nel quale i partiti presenti (che non sono diminuiti nel loro numero complessivo, anzi sono aumentati) venivano a collocarsi in uno dei due schieramenti (Polo delle libertà prima, Casa delle libertà dopo per il centro-destra; Ulivo e Unione per il centro-sinistra), con una certa stabilità ma con persistente litigiosità tra i partiti stessi (specie nell’ambito del centro-sinistra).

E’ in questo momento che si compie il passaggio verso quella che è stata definita una «democrazia immediata» che attribuisce direttamente al corpo elet-Page 85torale la possibilità di «eleggere il governo eleggendo i rappresentanti in parlamento»12.

In verità l’esperienza che è venuta realizzandosi in questo periodo ha fatto emergere non secondarie difficoltà di assestamento: la prima legislatura succes- siva alla riforma elettorale del 1993 vide il formarsi di un governo di centrodestra che durò per soli sette mesi e cadde per il venir meno del sostegno della Lega Nord, la quale insieme a partiti dello schieramento opposto garantì successivamente la maggioranza ad un governo «tecnico» (presieduto da Lamberto Dini). Successivamente allo scioglimento anticipato della legislatura, nelle elezioni successive prevalse lo schieramento di centro-sinistra (allora denominato «L’Ulivo») anche se tale vittoria fu tuttavia resa possibile grazie ad un accordo elettorale (detto «di desistenza»13) con il Partito della Rifondazione comunista. A seguito di tali elezioni fu costituito un governo di coalizione presieduto da Romano Prodi e composto dai partiti dell’Ulivo, che non poteva contare su una maggioranza assoluta alla Camera, dove erano invece necessari i voti di Rifondazione comunista. Questo partito decise tuttavia, dopo due anni e cinque mesi di sostegno al Governo, di ritirare il proprio appoggio: così che il Governo Prodi cadde a causa di un voto di sfiducia del Parlamento (primo caso nella storia costituzionale repubblicana) il 9 ottobre 1998. A seguito di questo, e raccogliendo i voti di un partito che si era venuto a costituire in quell’occasione mediante uno spostamento di parlamentari eletti nelle file del centro-destra (l’UDR), si costituì un nuovo governo (presieduto da Massimo D’Alema), che fu poi sostituito da un nuovo governo sempre presieduto dal segretario dei DS e da un terzo presieduto da Giuliano Amato, sebbene sostenuti dalla medesima maggioranza.

Nelle elezioni del 2001 la competizione elettorale fu vinta dallo schieramento di centro-destra guidato ancora da Berlusconi e nel quale rientrò la Lega Nord dopo il «tradimento» del 1994: tale maggioranza dette vita ad un governo composto da quattro partiti (FI, AN, UDC e Lega) che, non senza significative contrapposizioni al proprio interno, hanno continuato a sostenere il governo lungo tutto l’arco della XIV legislatura. Sul finire di tale legislatura la maggio-Page 86ranza parlamentare approvò una nuova legge elettorale (legge 21 dicembre 2005 n. 270), a base proporzionale con ampie circoscrizioni ma con una serie di pesanti correttivi (premio di maggioranza alla coalizione, su base nazionale alla Camera e regionale al Senato; soglie di sbarramento per le coalizioni e per i singoli partiti; ecc.), ma soprattutto con l’eliminazione delle preferenze: in sostanza l’elettore può esprimere il proprio voto soltanto alla lista predisposta dai partiti ma non ai singoli candidati della stessa. Ciò ha comportato –da un lato– un decisivo e significativo aumento del potere dei partiti nella selezione della classe parlamentare, e –dall’altro– ha dato luogo a richieste sempre più forti di attivazione di meccanismi di elezioni primarie, come meglio si dirà.

Le successive elezioni del 2006, svolte mediante il sistema elettorale introdotto da detta legge, hanno comportato una vittoria dello schieramento di centro-sinistra (denominato in quell’occasione l’Unione) alla Camera (grazie al premio di maggioranza), ma in una situazione di sostanziale parità al Senato, dove per garantire la maggioranza risultavano decisivi i voti dei senatori eletti nella circoscrizione estero e dei senatori a vita. Ciò, insieme a forti tensioni interne allo schieramento che ha prevalso, ha comportato una vita assai contrastata al governo che si è formato (e guidato dal leader della coalizione, individuato attraverso elezioni primarie di coalizione, Romano Prodi), poi sfiduciato dal Senato dopo soli due anni di vita.

A quel punto il Parlamento, dopo un tentativo andato a vuoto di formare un nuovo governo condotto dal Presidente del Senato, è stato sciolto anticipatamente dal Presidente della Repubblica, e alle elezioni del 2008 ha prevalso il «Popolo delle libertà», lista elettorale unitaria costituita dai partiti Forza Italia e Alleanza nazionale (senza peraltro che i due partiti siano stati sciolti per dar vita ad un partito unico, almeno fino ad ora), la quale si è alleata con la Lega Nord (che si è presentata autonomamente) così da ottenere una maggioranza forte sia alla Camera che al Senato, tale da consentire la costituzione di un nuovo governo presieduto da Silvio Berlusconi, attualmente in carica.

Rispetto alle considerazioni sopra fatte in merito al periodo precedente la riforma elettorale del 1993, possiamo osservare da un lato che non è venuta meno la centralità del sistema dei partiti negli assetti istituzionali: essi restano la sede nella quale sono assunte le decisioni e stipulati gli accordi che poi vengono seguiti nelle sedi istituzionali. Ciò vale con una doppia precisazione: da un lato, come già detto, la particolarità del sistema politico ha fatto sì che la scelta dellePage 87candidature (sia fino a quando vi sono stati i collegi maggioritari, ed ancora di più quando sono state previste le «liste bloccate»), si sia tradotta in una sostanziale delega ai partiti della scelta del personale politico, e perciò in un aumento del loro potere; d’altro canto, che il mantenimento della centralità del partito e l’aumento dei suoi poteri si sono combinati con una caduta netta della capacità di dibattito interno e di attuazione di regole interne democratiche.

I partiti restano strutturati, malgrado le riforme in senso «federalista» che si sono realizzate nell’assetto ordinamentale, in modo centralizzato e non federale: così che ad oggi la regola che vuole che le alleanze anche a livello regionale e locale siano decise dal partito centrale resta ed anzi risulta rafforzata, e le stesse candidature per le elezioni regionali e degli enti locali vengono decise mediante accordi tra i partiti nazionali, in base a criteri di «equilibrio» interno alle coalizioni.

In conclusione di questa parte potrebbe dirsi che si è mantenuto uno «Stato dei partiti» ma con «partiti» che spesso non sono più tali: che hanno perso non soltanto quella capacità di «protezione sociale» che avevano svolto nella fase precedente, ma anche la capacità di essere luoghi effettivi di elaborazione di linee politiche condivise14. Tutto ciò ha aperto la strada alla ricerca di soluzioni per rilegittimare il sistema partitico e ridare ad esso una parte del consenso che esso è andato perdendo.

4. Il metodo delle primarie: le prime applicazioni per le elezioni amministrative e regionali (1998-2005)

Le prime applicazioni delle elezioni primarie in Italia si sono avute in elezioni amministrative e regionali. Si tratta di una circostanza estremamente interessante poiché il fatto che l’esigenza di partecipazione alle scelte dei partiti politici sia sorta a livello territoriale non appariva circostanza scontata in un sistema che –come quello italiano– non ha conosciuto mai una forte valorizzazione delle formazioni politiche locali. Questo dinamismo locale si lega alla stagione di riforme elettorali che hanno riguardato gli enti locali e le Regioni negli anni 1993-199515.

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L’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia ha prodotto, infatti, un profondo rinnovamento nel comportamento degli attori politici, specie se inquadrato nel contesto, più ampio, delle riforme elettorali maggioritarie per il Parlamento nazionale. La necessità di sostenere un candidato forte alla guida dell’esecutivo locale ha costruito un bipolarismo sicuramente meno confuso di quello che si è vissuto a livello statale, essendo stato forgiato dalla clausola del simul stabunt simul cadent che ha drasticamente ridotto i fenomeni di instabilità delle Giunte nei Comuni e nelle Province. Per raggiungere questo obiettivo, le primarie sono sicuramente uno strumento importante. Non può tacersi, tuttavia, come in questa nuova situazione vi sia una difficoltà dei nuovi soggetti politici nel compiere un vero ed efficace processo selettivo in grado di far comprendere ad una platea elettorale molto ampia (quella delle coalizioni) e molto più sensi- bile (scossa dagli eventi post-1993) scelte formulate solo fra le segreterie politiche: in questo senso, le primarie sono anche un’esigenza.

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Nel 1998, Alleanza nazionale, in occasione delle elezioni provinciali romane sperimentava il metodo delle primarie. Si trattava della prima forma di consultazione primaria in Italia destinata a stabilire l’elenco delle candidature al Consiglio provinciale ma non la candidatura alla presidenza della Provincia16.

E’a Bologna, nel 1998, che, per la prima volta, si sperimentano le primarie per la designazione di una candidatura ad una carica monocratica, il Sindaco, organizzate dalla coalizione Ulivo. La scelta di procedere alla consultazione primaria fu determinata dal malcontento prodottosi nei partiti della coalizione di centrosinistra rispetto all’individuazione della candidatura di Silvia Bartolini, giovane consigliere regionale sul cui nome si era prodotta una spaccatura sia nel partito di maggioranza relativa (i Democratici di Sinistra) che nella alleanza. Il risultato di quella prima esperienza fu significativo sia in termini di partecipazione che di risultato. Infatti, da un lato, oltre il 15% dell’elettorato di centrosinistra bolognese (più di 20.000 elettori) si era recato alle urne, un risultato significativo in considerazione della novità dello strumento; dall’altro, Silvia Bartolini, già considerata come candidata in pectore e la cui designazione veniva sostanzialmente sottoposta a conferma, vinceva con quasi l’80% dei voti (si disse che «gli altri candidati «correvano» esclusivamente per ottenere un po’ di visibilità a futura memoria17»). L’elezione era una: primaria aperta, con un legame però fra territorio di residenza e seggio elettorale e necessaria sottoscrizione di un programma elettorale.

Il successo delle primarie portava paradossalmente la coalizione di centrosinistra, storicamente molto radicata e largamente maggioritaria in città, prima al ballottaggio, dovuto alla forte affermazione del candidato di centrodestra, e poi alla sconfitta che, seppure determinata da pochi voti, è apparsa subito all’opinione pubblica come un «fatto storico18», a maggior ragione se si considera la forte legittimazione della candidata nelle primarie.

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Dall’esperienza del 1998-1999 si dovrà attendere qualche anno per vedere primarie nel nostro Paese. Il metodo viene ripreso in Calabria nel 2004, in occasione delle elezioni regionali del 2005. Agazio Loiero è indicato come candidato Presidente della Regione della coalizione di centrosinistra con una prima- ria nella versione –per ora unica in Italia– della c.d. convention. Gli elettori della primaria calabrese furono individuati dai partiti, dagli eletti nelle fila del centrosinistra in Calabria e dal mondo del volontariato e dell’associazionismo. Anche in questo caso, il candidato favorito trovava l’appoggio dell’80% degli elettori. Le elezioni del 2005 vedranno Loiero trionfare col 59% delle preferenze.

Sempre in vista delle regionali del 2005, però, l’esperienza più significativa è indubbiamente quella pugliese. In questa Regione, infatti, le primarie trovavano la possibilità di realizzarsi nel quadro della crisi della Giunta di centrodestra al potere, derivante da alcune scelte, specialmente di politica sanitaria, del presidente Raffaele Fitto19. Nella coalizione di centrosinistra emergeva la candidatura di Francesco Boccia, giovane professore dal profilo moderato, che però non trovava il consenso dell’ala sinistra della coalizione, in particolare del partito della Rifondazione comunista. Minacciando di rompere l’alleanza, Rifondazione lanciava la candidatura di «rottura» di Nichi Vendola, parlamentare, giornalista ed omosessuale dichiarato, già nel PCI e fondatore del partito. Gli organi centrali dei partiti (ed in particolare Romano Prodi) decidevano che si sarebbe proceduto alle elezioni primarie per l’inizio del 200520.

Preparate in gran fretta, le primarie pugliesi sono state regolate con un apposito regolamento, varato dal coordinamento regionale del centrosinistra, che configurava una primaria aperta: tutti gli elettori avrebbero potuto votare, previa sottoscrizione del programma elettorale e del versamento di un euro. I seggi avrebbero trovato collocazione nelle sedi di partito, cercando di garan- tire almeno un seggio per comune (in caso contrario, poteva esercitarsi il voto in qualsiasi comune rientrante nel collegio per l’elezione della Camera o del Senato).

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Gli elettori alle primarie del 16 gennaio 2005 sono stati 79.296, una percentuale inaspettata pari all’8,5% dei voti raccolti dal centrosinistra alle Europee del 2004. Tale cifra, sicuramente di molto superiore alle aspettative degli organizzatori,21 è stata determinata non solo dagli iscritti ma anche dalla società civile, dall’associazionismo e dai movimenti.

La vittoria è andata a Nichi Vendola, col 50,8% dei voti e 1246 voti di distacco. Un risultato estremamente significativo nel quale hanno pesato alcuni fattori: la notorietà del candidato; la strategia di comunicazione politica messa in atto nel quadro di una primaria davvero combattuta (e non di mera ratifica); la collocazione «estrema» del candidato che ha consentito una maggiore mobilitazione dell’elettorato di sinistra, più ideologizzato, rispetto a quello moderato di Boccia. Trova qui conferma l’insegnamento per il quale «nelle primarie si attivano in special modo gli elettori estremi, dalle preferenze intense22»: il che comporta il rischio di candidature sostenute da una minoranza con poche chanches di conquistare i voti di un elettorato moderato, maggioritario e magari incerto23.

Le regionali del 2005, invece, hanno avuto esito inaspettato. Il candidato Vendola ha prevalso, di poco (14.131 voti di scarto, pari alle 0,2%), sull’avversario Fitto a conclusione di una campagna elettorale molto intensa e partecipata. In particolare, pare significativo notare come l’effetto-primarie abbia inciso sia sul voto personale al Presidente24, incrementato del 42%, sia sul risultato dei partiti-estremi, con un’ottima performance di Rifondazione comunista e Comunisti italiani e la penalizzazione della Margherita: un «effetto-traino» davvero sorprendente per un candidato che, a dispetto di ogni previsione, si è rivelato competitivo.

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5. La legge Toscana sulle primarie e la sua prima applicazione

Nel febbraio 2005 è la volta della Toscana. La vicenda toscana è molto complessa e si lega, in maniera estremamente interessante, al tema della legge elettorale regionale. Infatti, la decisione dei Democratici di Sinistra di sostenere l’abolizione, nella nuova legge elettorale per il Consiglio regionale, del voto di preferenza, vista la crescente difficoltà a controllare la competizione interna25, ha spianato la strada all’approvazione di una legge regionale sulle primarie alla fine del 2004 (legge 15 dicembre 2004 n. 70). L’iter di approvazione e la prima applicazione, però, sono stati particolarmente complicati.

Nel dibattito politico toscano è sempre stato presenta il legame fra legge elettorale senza preferenze e la possibilità di recupero, da parte dell’elettore, della scelta dei candidati attraverso le primarie. Così, alla fine del 2004, il Presidente della Regione, esponente dei DS, firmava già il decreto di indizione delle elezioni primarie per il 20 febbraio 2005, pur in un clima di profonda incertezza sull’assetto futuro della coalizione di centrosinistra: si trattava, a ben vedere, di una questione di credibilità politica alla quale non poteva sottrarsi.

La legge toscana prevede primarie pubbliche, cioè gestite e regolamentate dall’amministrazione regionale. Le primarie aperte vengono proposte solo come modello generale: infatti, in sede di approvazione della legge, è stato reso possibile svolgere, su richiesta del soggetto politico interessato, primarie semi- aperte, cioè con la partecipazione di elettori inclusi in albi od elenchi elettorali, o tramite modalità diverse di selezione, vagliate da una Commissione regionale di garanzia. Dunque, la legge non prevede né l’obbligatorietà né modalità predeterminate né, infine, un corpus di garanzie generali, compiendo così una scelta che è stata definita giustamente come «ambigua26».

Le elezioni possono essere svolte per l’individuazione del candidato Presidente, per la formazione delle liste provinciali e l’individuazione dei c.d. candi-Page 93dati regionali al Consiglio regionale27. La legge stabilisce un limite massimo di candidature presentabili: due o tre per la carica di Presidente, da due a dieci per la scelta dei candidati regionali ed un numero variabile stabilito provincia per provincia per le liste al Consiglio. Ciò significa che i partiti, al loro interno, debbono stabilire iure privatorum un primo «filtro» per selezionare un numero di candidature entro il limite stabilito dalla legge.

Per presentare una lista alle primarie, occorre anche che ciascun candidato-Presidente raccolga un numero di firme compreso fra 2500 e 3500, mentre il numero di sottoscrittori per la presentazione delle liste per il Consiglio varia su base provinciale.

L’intento pare essere stato quello di contenere ope legis il confronto interno alle formazioni politiche, imbrigliando la possibilità di correre nelle primarie: una soluzione criticabile, ci pare, poiché rischia di penalizzare l’apporto di minoranze interne che potrebbero, specie in partiti di medie e grandi dimensioni, non riuscire a presentare un proprio candidato alla primaria pubblica28.

La legge istituisce delle c.d. sezioni elettorali speciali, che sono il frutto dell’unificazione delle sezioni elettorali ordinarie previste per le elezioni regionali.

L’elettore può esprimere il proprio voto nella sezione speciale cui sia assegnata

la propria sezione elettorale, previa esibizione di un documento di identità. Il ruolo di «organizzatore» è affidato dalla legge ai Comuni, sia quanto all’ubicazione dei seggi, sia al reclutamento del personale di seggio sia, infine, alla predisposizione delle liste elettorali.

La struttura della scheda elettorale è stata al centro del dibattito politico e istituzionale. Infatti, la legge prevedeva una singola scheda per ciascuna prima- ria, obbligando l’elettore a richiedere al Presidente del seggio la scheda relativa al soggetto politico: ciò equivaleva ad una dichiarazione se non di militanza quantomeno di «interesse politico», in apparente violazione del principio di segretezza del voto. Gli elenchi dei partecipanti al voto, sigillati in busta chiusa a cura del Presidente, sarebbero stati consegnati al Comune che avrebbe provveduto alla loro distruzione, decorso un periodo di tempo.

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Alcuni rilievi informali del Garante per la Privacy hanno sottolineato che la dichiarazione espressa di voler ricevere la scheda di un determinato partito, certificata anche dall’annotazione sulle liste elettorali, violava la riservatezza di un dato sensibile del cittadino e la segretezza del voto. Così, con un intervento repentino, nel gennaio 2005, il Consiglio regionale ha approvato una riforma della legge (legge 27 gennaio 2005 n. 16), la quale ha previsto che sulla medesima scheda siano riportati tutti i candidati alle primarie di tutte le formazioni politiche partecipanti.

Tutelata la segretezza del voto, tuttavia, rimangono alcuni dubbi sulla bontà di questa scelta: anzitutto, «se tutti i partiti facessero le primarie, ci si troverebbe dinanzi allo svolgimento di vere e proprie elezioni anticipate, ma con un’aggravante e un inconveniente di non poco conto: che i possibili fenomeni di interferenza opportunistica risulterebbero enormemente incentivati29»; secondariamente, non si è considerato che l’elezione primaria è una forma di partecipazione alla vita del partito e, più specificatamente, al momento di selezione delle candidature: dunque, poteva accogliersi una differente nozione di «segretezza» riferita più alla precisa scelta del candidato, fra quelli presentati, che non alla generale volontà di partecipare a questa o quella primaria. E’ insita nella partecipazione alle primarie la volontà di contribuire, in maniera pubblica, all’attività di una formazione politica: ove l’elettore non ritenga di doversi esporre, non si recherà a votare. Infatti, anche l’opzione della non-partecipazione può essere qualificata come comportamento politicamente rivelatore30.

Questa costruzione così complessa rischia di naufragare se non si prevede che il risultato delle primarie sia vincolante. Del problema teorico, anche alla luce della Costituzione, si discuterà più avanti: in questa sede, preme mettere in evidenza come la legge toscana abbia previsto un Collegio regionale di garanzia elettorale che vigila sullo svolgimento delle elezioni. Esso, all’atto della registrazione, richiede un deposito di euro 5000 da parte dei partiti che intendano partecipare a titolo di cauzione: essa sarà restituita a condizione che le graduatorie definitive, all’esito delle primarie, siano state rispettate integralmente in sede di presentazione delle candidature alle elezioni regionali, salvo il caso in cui il risultato debba essere alterato per il rispetto delle quote di genere. In caso di man-Page 95cata conformazione, la cifra non verrà restituita e la decisione del Collegio verrà pubblicata sul Bollettino ufficiale, a sottolineare la particolare gravità dell’inadempimento. Altri casi di mancato rispetto dovranno essere dichiarati all’atto della registrazione all’elezione primaria: così, ad esempio, candidati che, nelle more delle elezioni regionali, fossero condannati o indagati, potrebbero essere depennati dalla lista elettorale senza conseguenze pregiudizievoli.

Il 20 febbraio 2005 si presentavano due formazioni politiche alle primarie: i DS, per la formazione della lista elettorale al Consiglio regionale; Toscana futura, una formazione politica composita, frutto dell’aggregazione di associazioni e gruppi laici, liberali, socialisti e di liste civiche, per la primaria per il candidato Presidente. Gli elettori partecipanti sono stati 151.663 alla prima e 35.479 alla seconda, con un 23% di elettori che ritiravano tutte e due le schede.

Concentrandosi esclusivamente sulla prima consultazione –di maggiore interesse– si può notare come le stime accreditino la partecipazione dell’elettorato DS intorno al 25%, che rappresenta comunque il 7% della corpo elettorale regionale. A fronte di circa 77.000 iscritti al partito –e non tutti hanno votato– la partecipazione conferma che l’apporto dei non iscritti è stato cospicuo. Sep- pure con diversi tassi di «competitività»31, le primarie toscane sono riuscite a spegnere alcuni dissidi interni al partito anche se il maggior vantaggio è stato ritratto, nelle liste provinciali, da «nomi noti e dotati di solidi rapporti con constituencies ben definite (…) che in diversi casi hanno raccolto un numero di voti assai prossimo alle preferenze ottenute nella tornata elettorale precedente32». In particolare, è accaduto che «in troppi casi le liste provinciali per le primarie» siano «state confezionate giustapponendo un numero limitato di candidati «forti» (…) a un plotoncino di candidati puramente di bandiera33», con poche sorprese e, dunque, poco coraggio di sottoporsi al vaglio degli elettori.

Al momento della presentazione delle liste elettorali, inoltre, sono sorte alcune (e non secondarie) complicazioni. La decisione delle liste dell’Ulivo di cor-Page 96rere unificate esponeva i DS alla sanzione prevista dalla legge della mancata restituzione della cauzione: il Collegio, infatti, seguendo la lettera della legge, non poteva che rilevare la mancata presentazione di una lista col nome «Democratici di Sinistra» e, pertanto, il mancato rispetto della graduatoria era pressoché totale34. La lista unificata, a ben vedere, salvo alcune candidature non sottoposte al vaglio delle primarie ed inserite in quota DS, ha rispettato l’ordine di preferenza uscito dalle urne del 20 febbraio.

Questa lunga rassegna di esperienze locali e regionali mette in luce alcuni dati inequivocabili. Anzitutto, la sperimentazione delle primarie in Italia è partita dalla periferia e non dal centro e, dunque, da quelle realtà istituzionali che, per prime, hanno vissuto il rafforzamento del capo dell’Esecutivo eletto direttamente e la formazione di coalizioni ampie. La tendenza prevalente è quella per elezioni primarie aperte e private (quella calabra è stata un unicum).

Un’altra tendenza, che il proseguo di questo lavoro confermerà, è che solo il centrosinistra ha applicato questo metodo. Fatta eccezione per l’esperimento di Alleanza nazionale a Roma, sempre la coalizione dell’Ulivo prima e l’Unione poi ha ritenuto di dover procedere alle primarie. Ciò segnala, forse, una apertura all’elettorato molto forte ma, ad un tempo, anche una certa difficoltà nel proporre candidature fortemente condivise in una coalizione ampia e caratterizzata da un nucleo forte moderato-riformista e da una sinistra c.d.radicale,a sua volta molto frammentata (post-comunisti, verdi, socialisti), nonché da formazioni centriste «di confine».

Queste esperienze costituiscono la base sulla quale si innesta la prima grande esperienza nazionale di primaria per la designazione del candidato capo dello coalizione-candidato Presidente del Consiglio dei Ministri.

6. Le primarie per la scelta del leader-candidato Premier di coalizione: l’esperienza de l’Unione nel 2005 e l’investitura di Romano Prodi Alcune osservazioni sulle primarie del Partito democratico del 2007

Le elezioni politiche del 2001 avevano visto la netta affermazione della coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi. A quell’appuntamento elettora-Page 97le, la coalizione di centrosinistra si presentava sotto la leadership di Francesco Rutelli, dopo un «braccio di ferro», durato qualche tempo, col Presidente del Consiglio in carica, Giuliano Amato, espressione della stessa coalizione.

Quattro anni dopo, nel 2005, dall’opposizione, il centrosinistra opta per una scelta differente. Il 16 ottobre, infatti, vengono organizzate in tutta Italia elezioni primarie per determinare la guida della coalizione dell’Unione e, quindi, il candidato Presidente del Consiglio dei Ministri. Tali primarie si configurano come primarie aperte e private, caratterizzate dal fatto di riferirsi all’intera coalizione di centrosinistra. Infatti, vi prendevano parte oltre a Romano Prodi, indicato come canditato-leader dai partiti maggiori, anche i segretari di cinque partiti della coalizione (Clemente Mastella per l’UDEUR, Fausto Bertinotti per Rifondazione comunista, Alfonso Pecoraio Scanio per i Verdi, Antonio Di Pietro per l’Italia dei Valori) e due outsider (che riporteranno un modestissimo risultato).

L’accordo fra le forze politiche della coalizione sfocia, nel mese di luglio del 2005, in un Regolamento quadro per le primarie35, col quale tutte le componenti dell’Unione si impegnano a «promuovere la massima partecipazione da parte dei propri militanti ed elettori alla scelta del candidato comune alla carica di Presidente del Consiglio e intendono al tempo stesso far prevalere le ragioni della loro unità intorno ad una solida e autorevole leadership, portatrice di un programma condiviso, capace di guidare la coalizione durante la campagna elettorale e, in caso di vittoria, in grado di guidare il Governo per l’intera legislatura». Elemento da sottolineare è che, in questa elezione primaria, la carica monocratica per la quale si intendeva selezionare una candidatura era quella di Presidente del Consiglio. Ebbene, deve precisarsi come la primaria del 2005 doveva individuare anzitutto una leadership forte ed autorevole per il centrosinistra e, al più, costituiva una obbligazione politica, in capo ai partiti componenti la coalizione, a sostenere, davanti al Capo dello Stato, la decisione di affidare l’incarico di formare il Governo al vincitore della primaria, ferma restando l’autonomia della determinazione presidenziale ex art. 92, comma secondo, Cost36. Non siPage 98ritenga questa una pedante precisazione: infatti –come si vedrà oltre– la circo- stanza che non esistano «candidature» ufficiali alla carica di Presidente del Consiglio impedirà che possano essere disciplinate con legge primarie pubbliche per l’individuazione del candidato Premier della coalizione, senza menomare i poteri del Presidente della Repubblica. Infatti, in dottrina, è questo uno degli argomenti che è stato utilizzato per argomentare l’infungibilità e l’insostituibilità delle primarie pubbliche rispetto a quelle private nel vigente assetto costituzionale37.

Il Regolamento quadro individua come organo principale l’Ufficio di Presidenza, composto da un rappresentante per ciascun partito della coalizione al quale sono assegnati ampi poteri di nomina nei confronti degli altri organi istituiti (Collegio dei Garanti e i componenti dell’Ufficio tecnico-amministrativo). L’Ufficio, inoltre, è chiamato a definire il Progetto per l’Italia, una sintetica esposizione delle linee guida della coalizione condivisa da tutti i partiti, da sottoporre obbligatoriamente agli elettori per la sottoscrizione in sede di voto. Il Progetto, inoltre, rappresenta anche il contenuto essenziale del Programma di Governo (art.9), che verrà redatto dal vincitore della primaria attraverso un procedimento di consultazione e coinvolgimento di tutte le forze politiche. Il Collegio dei Garanti, previsto dall’art.3, è l’organo responsabile del rispetto delle disposizioni del Regolamento quadro e delle norme derivate da quello, specialmente della disciplina della campagna elettorale. L’esecuzione delle decisioni dell’Ufficio e dei Garanti spetta all’Ufficio tecnico-amministrativo (art.4): esso ha un ruolo molto delicato, in quanto tutta la gestione finanziaria e la comunicazione volta ad informare e sollecitare i cittadini alla partecipazione al voto risulta concentrata in questo organo, oltre al fondamentale aspetto della gestione delle opera- zioni di voto.

Due disposizioni disciplinano l’elettorato attivo e passivo. Quanto al primo (art. 6), sono ammessi al voto tutti i cittadini che abbiano i requisiti per essere elettori della Camera dei Deputati i quali sottoscrivano il Progetto e versino un contributo a titolo di copertura delle spese. Il Regolamento elettorale aumenta, in verità, la platea degli elettori rispetto a quella della Camera: vengono infatti ammessi al voto anche gli immigrati, se regolarmente residenti da almeno tre anni ed i c.d. elettori potenziali, cioè i giovani che compiranno il diciottesimo anno di età entro la scadenza naturale della legislatura; al fine di agevolare la partecipazione, è prevista l’istituzione di seggi speciali per studenti e lavoratoriPage 99fuori sede, che possono scegliere di recarsi alle urne anche nella città di domicilio tramite l’iscrizione in appositi albi.

Al fine di sfavorire le infiltrazioni di elettori appartenenti ad altro schieramento, il Regolamento quadro stabilisce che l’elettore debba fornire il proprio assenso affinché il suo nominativo sia inserito in un apposito elenco dei partecipanti all’elezione: tale elenco sarà reso di pubblica consultazione, su richiesta di chiunque abbia interesse a prenderne visione. E’ questa una norma di maggiore efficacia rispetto alla sola sottoscrizione del programma da parte dell’elettore: essa rappresenta, di fatto, l’unico vero fattore di disincentivazione della partecipazione di mero disturbo, ferma restando la natura «aperta» dell’elezione primaria, non sussistendo obblighi di partecipazione formale all’attività o all’organizzazione di partiti o coalizione38.

L’elettorato passivo è disciplinato dall’art. 5. La presentazione di una candidatura è sottoposta alla necessaria presentazione di almeno dieci mila (e, al massimo, venti mila) elettori attuali o potenziali che si impegnano a sottoscrivere il programma dell’Unione. Al fine di favorire candidature di respiro nazionale, le sottoscrizioni devono provenire da elettori residenti in almeno 10 regioni, in numero di almeno mille per ognuna di esse, con alcune eccezioni, in modo da garantire la diffusione del sostegno al candidato nella maggior parte del territorio nazionale.

I candidati non devono aver svolto, nel corso della XIV legislatura, «attività politica a sostegno del centrodestra». E’ questa la norma c.d. «anti-Sgarbi», che molto ha fatto discutere. Essa nasce dalla necessità di impedire ad un ex-esponente del centro destra, che aveva avuto anche incarichi di governo, di parteci- pare alle primarie dell’Unione. Comprensibile nella sua finalità di evitare candidature di mero disturbo od opportunistiche, la disposizione rischia di esserePage 100indefinita nel suo contenuto precettivo: infatti, il riferimento ad attività politica ed alla coalizione di centro destra sembra essere un rinvio in bianco alle decisioni degli organi della coalizione e rischia, in questo modo, di penalizzare l’ap- porto di personaggi che si siano distaccati da una coalizione ed intendano proseguire nell’altra il proprio percorso (circostanza poi avvenuta nel corso della legislatura). Si tratta di una questione non marginale, destinata a ripresentarsi anche nelle primarie dell’anno successivo per il Partito democratico e che pone la questione del grado di coinvolgimento che i candidati alla primaria devono dimostrare nella formazione e nella attività del partito o della coalizione. Ciò che qui viene in rilievo, nel caso di primaria «aperta», è la posizione del singolo rispetto al partito politico o, in questo caso, alla coalizione: infatti, configurando un diritto soggettivo di partecipazione politica, risulterebbe possibile adire il giudice per vedere tutelato il proprio diritto di concorrere, con metodo demo- cratico, a determinare la politica nazionale39.

La disciplina della campagna elettorale ha previsto un tetto di spesa pari a 300mila euro ed il divieto, per ogni candidato, di «ogni azione che danneggi l’immagine degli altri candidati e dell’Unione». Un profilo molto interessante attinente alla propaganda è quello dell’utilizzo, da parte dei promotori, di dati personali. Nel settembre 2005, infatti, il Garante per la privacy40 ha fissato alcuni paletti molto chiari. E’ necessario il consenso dell’interessato per le comunicazioni elettroniche come SMS, MMS, telefonate; inoltre, esso è previsto anche per i dati relativi a simpatizzanti o ad altre persone già contattate per singole iniziative o che vi hanno partecipato occasionalmente –non invece per gli iscritti e gli aderenti ai partiti politici– e per i dati acquisiti da terzi soggetti. Possono essere liberamente utilizzati, invece, gli elenchi pubblici in materia di elettorato attivo e passivo, così come le altre fonti formate da soggetti pubblici.

Con questo apparato poderoso di norme, l’Unione affronta la prova delle primarie il 16 ottobre 2005. Il numero di elettori partecipante è stato eleva-Page 101tissimo (4.311.149) e la vittoria del candidato principale, Romano Prodi, è stata schiacciante col 74,1% dei voti, seguito dal candidato della sinistra radicale, Fausto Bertinotti, fermo al 14,75%, e da Clemente Mastella, leader di un piccolo partito di centro, l’UDEUR, fortemente radicato nel Mezzogiorno (4,6%).

La vera incognita, alla vigilia del voto, non è stata tuttavia la vittoria di Romano Prodi, il quale contava sull’appoggio di tutte le principali forze della coalizione, quanto il numero dei partecipanti e la percentuale raccolta dal candidato più forte. Infatti, da un lato, una bassa partecipazione avrebbe denunciato una scarsa fiducia dell’elettorato nei confronti del soggetto politico Unione: i non iscritti ed i non attivisti necessitano, infatti, «di un surplus di motivazione per sostenere i costi di una doppia partecipazione (alle primarie ed alle elezioni formali)41»; dall’altro, anche se la vittoria di Prodi è apparsa da subito scontata, la sua leadership di mediazione ha rischiato di incorrere nel voto di «dissenso» che ne avrebbe di fatto indebolito la posizione politica di guida riconosciuta ed incontestata della coalizione, riaprendo spaccature nel centrosinistra42: ben quattro segretari di partiti correvano come «avversari» di Prodi, lasciando la sensazione di divergenze programmatiche striscianti, non sopite dalla plebiscitaria affermazione di Prodi e solo rinviate alla fase di redazione del programma e all’esperienza, eventuale, di governo43.

Alcune interessanti rilevazioni hanno preso in considerazione il risultato prodiano alla luce del rapporto fra elettorato potenzialmente mobilitabile e quello effettivamente mobilitato da ciascun candidato: emerge che «Prodi ha avuto un buon successo, ma meglio nel loro piccolo hanno fatto nell’ordine, Mastella e Bertinotti44».

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Le elezioni politiche del 2006 hanno consegnato, seppur di misura, la vittoria alla coalizione dell’Unione, guidata da Romano Prodi. L’esperienza di governo, tuttavia, si è conclusa appena due anni dopo, a seguito di numerosi dissidi della maggioranza che hanno portato all’uscita di alcune componenti minori, facendo venire meno la già ridotta maggioranza al Senato della Repubblica (appena un voto).

Successivamente alle grandi primarie del 2005, altre ancora se ne sono svolte a livello locale: per la carica di Presidente della Regione Sicilia per l’Unione, Rita Borsellino ha superato col 67% circa dei voti un candidato centrista, nonostante a livello centrale si rimarcasse l’esigenza che fosse rappresentata la componente moderata della coalizione che non quella più spostata a sinistra (e, infatti, le elezioni successive hanno visto la sconfitta del centrosinistra in favore del Presidente uscente, Cuffaro, confermato col 53,8% dei voti).

Altre rilevanti consultazioni si sono tenute a Milano (29 gennaio 2006) ed a Palermo e Genova (4 febbraio 2006) per la designazione del candidato del centrosinistra alla carica di Sindaco45.

Nell’ottobre del 2007, infine, si sono tenute le c.d. «primarie» organizzate dal Partito democratico, una nuova formazione politica sorta dalla fusione dei Democratici di Sinistra, la Margherita ed altre formazioni minori appartenenti alla coalizione di centrosinistra per l’elezione del Segretario del Partito e dell’Assemblea costituente. A nostro avviso, però, non può parlarsi di primarie poiché valevano a selezionare la leadership del partito (alleato, in quella fase politica, con altre formazioni nella grande alleanza dell’Unione). Si è trattato, ad ogni buon conto, di una innovativa forma di esercizio della democrazia diretta all’interno di un partito politico che, superando il meccanismo delle deleghe degli iscritti e dei congressi, ha operato una significativa evoluzione nella conduzione della vita interna dei partiti politici46 ma non pare che il termine «primaria» sia stato usato in maniera appropriata, anche se non deve dimenticarsi il forte valore, nell’opinione pubblica italiana, che quel nomen riveste.

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Preme rammentare, tuttavia, alcuni profili inerenti la compatibilità di alcuni candidati con il programma del partito. L’organo che ha gestito provvisoriamente la fase elettorale, il c.d. comitato promotore della costituente del PD,ha approvato un Regolamento quadro per l’elezione dell’assemblea47, il quale, all’art. 7, esclude «la candidatura di persone notoriamente appartenenti a forze politiche o ad ispirazioni ideali non riconducibili al progetto dell’Ulivo-Partito Democratico»: il 31 luglio, così, il competente organo del comitato ha dichiarato l’inammissibilità della candidatura di Marco Pannella, storico leader del Partito radicale e allora esponente del cartello elettorale «Rosa nel Pugno» (che aveva presentato autonome liste alla elezioni) alla carica di segretario nazionale, e la decisione è stata poi confermata dal Collegio dei Garanti. La disposizione dell’art.7, posta a fondamento della decisione, si presenta ancora più ampia di quella stabilita per le Primarie dell’Unione: qui, infatti, non si limita il raggio di azione semplicemente ad esponenti provenienti dall’altro schieramento ma si supera lo schema bipolare per accogliere un riferimento a forze politiche e ispirazioni ideali non riconducibili (quindi qualcosa in più di compatibili) al progetto del Partito democratico, la cui interpretazione è rimessa agli organi di par- tito. Ci pare che la nozione di riconducibilità voglia sottolineare non solo l’astratta compatibilità in termini di valori e di progetti politici ma proprio l’a ver contribuito, di fatto, alla fase della formazione del nuovo soggetto politico. In particolare, i Garanti del PD hanno rilevato che il leader radicale non aveva proceduto a sciogliere il partito di appartenenza nella casa comune del Partito democratico e, anzi, non faceva mistero di correre da outsider.

Così argomentando, la richiesta di partecipazione di Pannella è stata rigettata; il provvedimento, però, è stato impugnato davanti al Tribunale civile di Roma chiedendo, in via cautelare, la riammissione del candidato: il ricorso è stato respinto (ed anche il successivo reclamo) poiché le decisioni del comitato risponderebbero «a finalità squisitamente politiche di selezione ideologica» e, dunque, costituiscono espressione dell’autonomia dell’ente associativo che impedirebbe un sindacato di merito del giudice sulla conformità della decisione al parametro statutario anche per l’ampiezza della formula utilizzata. Il problema giuridico, di tenore evidentemente costituzionale, rimane comunque aperto.

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7. Il metodo delle primarie: problemi di costituzionalità ed i riflessi sulla legislazione di contorno
A) Per quale tipo di elezioni possono utilizzarsi le primarie?

La realizzazione di «elezioni primarie» (continuando ad utilizzare questo termine in relazione alle diverse esperienze di cui si è detto)48 impone di riflettere, giunti a questo punto, sui profili di costituzionalità legati ad esse: profili che, come potrà notarsi, sono tutt’altro che semplici e facilmente risolvibili in modo certo.

In primo luogo, sono legittime elezioni primarie per la scelta di quali candidati?

L’esperienza italiana ha dimostrato che esse possono utilizzarsi per la scelta di candidati a cariche monocratiche (Presidente del Consiglio, Presidente della Regione, Sindaco, ecc.) ovvero di candidati inseriti all’interno di una lista. Per quanto riguarda la prima ipotesi, è opportuno ulteriormente distinguere: vi sono cariche monocratiche di tipo elettivo (da parte dell’elettorato popolare, si intende), e vi sono cariche monocratiche la cui scelta è demandata ad altri soggetti istituzionali (ad esempio, Presidente del Consiglio, la cui individuazione spetta al Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 92 della Costituzione). Nella prima sub-ipotesi elezioni di tipo primario sono possibili, in termini generali (salvo quanto si dirà); nella seconda, invece, occorre precisare. Se con elezioni primarie si intende una forma di attività avente un rilievo giuridico, è evidente che ciò non è ammissibile, perché altrimenti si realizzerebbe una menomazione delle competenze costituzionalmente attribuite ad organi costituzionali49. Se invece essa rientrasse nell’ambito delle attività rilevanti sul piano meramente politico, come forme cioè di coinvolgimento, di propaganda, di legittimazione, ecc. ecc. mi pare che i dubbi possano ridursi purché sia chiaro a tutti, a partire dagli elettori partecipanti, che quella cui stanno partecipando ha le caratteristiche dette, e che pertanto dal suo esito non deriva alcun vincolo giuridico. Di conseguenza, tale tipo di primaria potrà essere realizzata su iniziativa dei singoli partiti o delle coalizioni, ma in nessun modo incentivata né tantomeno imposta da istituzioni pubbliche50.

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A diversa conclusione deve giungersi nell’ipotesi di candidature a cariche monocratiche conseguenti ad elezioni popolari, come nel caso ad esempio del Presidente della Regione (nell’ipotesi in cui ne sia prevista –dallo statuto regionale– l’elezione diretta) o del Presidente della Provincia o del Sindaco. In tal caso la primaria ha lo scopo di selezionare il candidato da presentare agli elettori, e dovrebbe logicamente realizzarsi all’interno della coalizione che intenda presentarsi unita con un unico candidato: non ci pare possano sussistere dubbi, in tal caso, che essa sia possibile, mentre sarà valutato successivamente se essa possa essere prevista (o meno) in via obbligatoria.

Quanto alla seconda ipotesi generale, ovvero elezioni primarie per la scelta dei candidati da inserire in liste da sottoporre al voto degli elettori, la distinzione ulteriore da operare è tra liste «aperte» (ovvero per le quali sia possibile il voto di preferenza) e liste «chiuse» (dove invece non sia possibile esprimere alcuna preferenza da parte degli elettori). Nel secondo caso la possibilità di svolgere elezioni primarie deve essere riconosciuta (salvo quanto si dirà, ancora una volta, in ordine alla possibilità di prevederle in via obbligatoria, nonché alle conseguenze che possano derivare dal loro esito)51: ed anzi essa viene giustificata, nel dibattito politico-istituzionale, proprio in ragione della mancata possibilità successiva per gli elettori di incidere sulla composizione e sull’ordine della lista che viene presentata. In sostanza, in quest’ultimo caso, la previsione di elezioni primarie viene giustificata con lo scopo di alimentare il dibattito e le contrapposizioni interne al partito in una fase precedente le elezioni, così da consentire poi al partito stesso di presentarsi unito e compatto al momento elettorale vero Page 106e proprio52. Tanto è vero che sia in sede di discussione della proposta di legge toscana n. 70/2004, sia nei lavori parlamentari relativi all’approvazione della legge nazionale n. 270/2005 questo collegamento è stato più volte esplicitato53. Visto sotto l’angolo visuale del cittadino-elettore, la ragione consiste nel garantire ad esso la possibilità di incidere sulla rappresentanza interna del partito che intende votare, essendogli preclusa la possibilità di farlo nel momento elettorale. Un problema può tuttavia essere costituito dalla presenza di vincoli legislativi (ovvero addirittura costituzionali) alla confezione delle liste stesse, come nel caso –ad esempio– di criteri in ordine alla rappresentanza di genere: in tal caso tuttavia si tratta di problemi che potrebbero tuttavia risolversi mediante l’individuazione di criteri di svolgimento delle primarie o di recepimento dei suoi risultati nella formazione delle liste.

Nel caso invece di liste aperte la situazione è più complessa. Da un lato vi è chi sostiene che esse siano poco ragionevoli, specie nel caso di primarie pubbliche, perché l’elettore ha comunque la possibilità di scegliere al momento del voto vero e proprio54: ciò non esclude tuttavia che esse siano intanto ammissibili come scelta autonoma del partito. E neppure sembra possibile escludere la possibilità di una previsione obbligatoria, specie nel caso in cui la lista debba essere molto corta e/o i candidati che potrebbero venire eletti essere numerosi. In tale ipotesi è evidente che la scelta dell’elettore può risultare assai ridotta, e potrebbe pertanto risultare non irragionevole un coinvolgimento popolare anche nella fase della predisposizione della lista.

Più in generale, però, sembra doversi osservare che comunque le due fasi dell’operazione (elezioni primarie, elezioni vere e proprie) non solo rispondonoPage 107a criteri diversi, ma hanno anche come protagonisti soggetti diversi (gli iscritti al partito ovvero chi vuole liberamente partecipare –a seconda di come sono le primarie– nel primo caso; tutti gli elettori che si recano alle urne nel secondo), e che quindi non vi è una sovrapposizione logica tra i due momenti: al più, potranno aversi situazioni di «conflitto» politico –che però non interessano in questa sede– allorquando i risultati della primaria non siano confermati dal voto di preferenza, che può sovvertire l’ordine degli eletti. Tale «compatibilità» fra i due strumenti impone però di rivedere criticamente le tesi, ampiamente sostenute come si è veduto poco sopra, sulla «fungibilità» fra i due strumenti55.

B) Con quale strumento giuridico possono essere previste elezioni primarie?

Venendo al secondo gruppo di questioni, occorre domandarsi mediante quale strumento sia possibile prevedere elezioni primarie nel nostro ordinamento costituzionale. La scelta di fondo, al riguardo, è tra strumenti di natura privatistica (statuti di partiti, altri atti interni di partito o di coalizione, ecc.) ovvero tra strumenti di carattere pubblicistico. Per semplicità si parla al riguardo di primarie «private» o «di partito» nel primo caso e di primarie «pubbliche» nel secondo56.

Anche alla luce di quanto si è detto, e più in generale in forza della libertà di organizzazione che ha da sempre contraddistinto la libertà associativa in generale e quella del partito in particolare, ci pare che non vi siano problemi particolari a riconoscere la possibilità per i partiti di prevedere nelle loro fonti interne forme di partecipazione degli elettori o degli iscritti al momento della selezione delle candidature. Anche in questo caso, forse, si potrebbe distinguere tra primarie aperte o chiuse: nel caso di primarie chiuse non mi pare sussista il minimo dubbio sulla possibilità del partito di prevederle (nessuno potrebbe essere leso in alcuno dei propri diritti), mentre nel caso di primarie aperte potrebbe rinvenirsi una possibile violazione dei diritti degli iscritti, cui verrebbe sottratta una prerogativa non irrilevante dei propri poteri, salvo che la previsio-Page 108ne delle primarie aperte non sia contenuta nello statuto nel partito. Diversa potrebbe essere l’ipotesi di una decisione del partito di organizzare primarie senza che questa possibilità sia prevista nello statuto: qui un problema potrebbe effettivamente porsi, ma dovrebbe essere valutato alla luce di cosa effettivamente sia stabilito nello statuto e quali diritti siano riconosciuti agli iscritti. In ogni caso il problema riguarderebbe la legittimità della decisione assunta dal partito (di procedere a elezioni primarie) alla luce dello statuto: un problema quindi diver- so dai profili di costituzionalità di cui stiamo ragionando, e del quale potrebbe –eventualmente– essere chiamata a giudicare la magistratura ordinaria.

Se dunque non si ravvisano ostacoli, nei termini indicati, alla possibilità di primarie liberamente istituite ed organizzate dai singoli partiti o dalle coalizioni, tuttavia è indubbio anche «che senza regole chiare ed eguali per tutti la partecipazione spontanea dei cittadini alla selezione dei candidati non gode delle garanzie di corretta applicazione che derivano dalla disciplina legislativa»57, a partire, ad esempio, dalla garanzia dell’unicità del voto58.

Tale disciplina legislativa, tuttavia, presenta non pochi aspetti problematici in ordine ad eventuali profili di illegittimità costituzionale: anche in questo caso, però, occorre distinguere. Una cosa infatti è l’ipotesi in cui la legge preveda elezioni primarie alla stregua di una possibilità per i partiti (o i movimenti, le associazioni, le coalizioni, ecc.), mettendo a disposizione degli stessi alcuni servizi59; altra sarebbe l’ipotesi di una normativa di tipo premiale per chi le fa; altra infine potrebbe essere l’ipotesi di una previsione in via obbligatoria accompagnata da relative sanzioni. In verità la seconda e la terza ipotesi potrebbero venire quasi a coincidere e addirittura a rovesciarsi, trattandosi nel caso di valutare il peso e l’importanza dei «premi» e delle «sanzioni» eventualmente previsti.

In generale il problema, a livello costituzionale, andrebbe risolto avendo riguardo al diritto di associazione riconosciuto e garantito dall’art. 18 Cost., e più specificamente alla previsione contenuta nell’art. 49 Cost. Senza entrare nelloPage 109specifico delle possibili interpretazioni di tale ultima previsione, ed in particolare del «metodo democratico» in esso stabilito, si potrebbe ritenere che la previsione di vincoli all’azione del partito politico, in un ambito così delicato ed importante come la selezione delle candidature, possa configurarsi come una violazione della libertà di organizzazione e di azione del partito stesso, tale da limitare la garanzia posta dalla richiamata disposizione costituzionale. Detti problemi si inscrivono nel più ampio contesto della libertà di organizzazione delle formazioni sociali, interpretata fino al punto di ritenere riconosciuta alle stesse la possibilità di organizzarsi anche in forme non democratiche. Sebbene, com’è evidente, tali problemi richiederebbero attenta analisi60, tuttavia il dubbio potrebbe essere risolto, a nostro modo di vedere, sulla base di almeno due considerazioni. La prima è che sebbene il partito sia organizzazione privata (costituita nella forma di associazione non riconosciuta), tuttavia esso svolge indiscutibilmente funzioni «pubbliche»61, e tra queste la selezione delle candidature è certamente una delle più rilevanti62. Pertanto potrebbe essere considerato pun-Page 110to di ragionevole bilanciamento un intervento legislativo che, ferme restando le modalità di organizzazione ed azione del partito politico, ne limiti l’ambito di esercizio con la previsione di procedure da seguire nella fase di selezione delle candidature. Ciò potrebbe trovare motivo di ulteriore sostegno nella considerazione che l’art. 49 della Costituzione riconosce, ancora prima del diritto dei partiti di liberamente organizzarsi, il diritto dei cittadini di concorrere, mediante i partiti, alla determinazione della politica nazionale63. In sostanza la Costituzione accentua e privilegia il diritto individuale (dei cittadini) rispetto al diritto dell’organizzazione: e indubbiamente la previsione di elezioni primarie va nella direzione di un ampliamento della tutela dei cittadini e dei loro diritti di partecipazione.

Detto questo, in via generale, non ci pare che vi siano ostacoli di ordine costituzionale alla possibilità di una legge di tipo premiale o incentivante delle elezioni primarie, e neppure ad una legge che ne preveda l’obbligatoria effettuazione. Tuttavia il problema si pone con riguardo alle concrete previsioni che una legge in tale ambito potrebbe introdurre, vale a dire alle conseguenze che potrebbero essere previste nel caso di mancato adeguamento da parte dei partiti. Sempre mantenendoci a livello di esempi, è all’evidenza diverso il caso in cui la legge preveda come sanzione l’esclusione del partito dalla possibilità di presentare la lista (in ipotesi, costituita senza ricorso alle primarie)64 rispetto ad ipotesi meno «forti» (quali una sanzione pecuniaria, ovvero la non partecipazione al finanziamento pubblico, ovvero ancora minori possibilità di accesso ai mezzi di informazione, e così via). Nel primo caso infatti, al di là dei problemi pratici che verrebbero inevitabilmente a porsi65, si potrebbe ritenere che detta previsione possa costituire una lesione di un diritto fondamentale (del partito e, di riflesso, dei cittadini): in sostanza, la libertà di organizzarsi liberamente dei partiti ed in generale delle formazioni sociali potrebbe venire pericolosamente limitata dall’imposizione di regole di comportamento stabilite dal legislatore.

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Tale posizione viene spesso sostenuta assumendo come argomentazione quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 203/1975, che tuttavia non costituisce, a nostro avviso, precedente ostativo. In tale sentenza si legge, infatti, che la disposizione cui si riferiva la decisione66 era espressione della volontà del legislatore ordinario di dare all’art. 49 della Costituzione «un contenuto concreto e specifico coll’attribuire alle formazioni politiche un ruolo auto- nomo in materia di elezioni determinando uno stretto rapporto tra partiti ed elettori. Tale ruolo trova il suo logico e naturale sviluppo nel potere riconosciuto a dette formazioni di designare propri candidati al fine di meglio garantire la realizzazione di quelle linee programmatiche che esse sottopongono alla scelta del corpo elettorale». Tuttavia, come è stato giustamente sottolineato, la Corte ha giustificato in quel caso la legittimità dell’intervento del legislatore («una volta riconosciuta legittima, in linea di principio, la scelta operata dal legislatore di concedere alle formazioni politiche la facoltà di presentare proprie liste di candidati, nessuna rilevanza costituzionale può assumere la circostanza che lo stesso legislatore le ha lasciate libere di indicare l’ordine di presentazione delle candidature»): ma non ne ha fatto derivare alcuna valutazione in termini di obbligatorietà67. Tanto è vero che quella sentenza fa esplicito riferimento al diritto, riconosciuto dalla stessa legge che si stava scrutinando, di esprimere preferenze68: e se si adottasse l’interpretazione opposta dovrebbe ritenersi costituzionalmente obbligatorio anche il voto di preferenza.

A ciò si aggiunga la considerazione che altre previsioni legislative impongono regole e procedure da seguire per la presentazione delle liste (ad esempio il numero minimo di sottoscrizioni, e così via), e che analogamente possono costituire un limite alla libertà del partito e ai diritti degli elettori: la Corte co-Page 112stituzionale, nella sentenza n. 83/1992, ha osservato come nel nostro ordinamento sia ormai un principio generalizzato che «in ogni tipo di elezione diretta le candidature debbano essere munite di una sorta di dimostrazione di seria consistenza e di un minimo di consenso attestata dalla sottoscrizione di un determinato numero di elettori», a dimostrazione che in presenza di un ragionevole motivo il legislatore può porre limiti alla libertà del partito di definire in modo autonomo le modalità di selezione delle candidature da presentare agli elettori.

C) Con quali modalità essere possono essere realizzate le elezioni primarie?

Ciò apre dunque al terzo interogativo di fondo che si è posto, e che attiene alle modalità di realizzazione delle primarie.

Un primo aspetto generale riguarda il «tipo» di primaria che si potrebbe prevedere: in sostanza, una primaria «chiusa» (ovvero, come si è detto, limitata ai soli iscritti al partito) o «aperta». In questo secondo caso si aprono varie possibilità: limitare l’elettorato attivo a coloro aventi diritto al voto nell’elezione cui si riferisce la primaria o estenderlo anche ad altri (ad esempio anche a chi non abbia i requisiti di età o di cittadinanza richiesti ma soddisfi altre condizioni definite: i sedicenni, gli stranieri regolarmente residenti, e così via69); prevedere una qualche forma di selezione degli elettori partecipanti (ad esempio richiedendo un’iscrizione preliminare, anche ad evitare possibili votazioni doppie o alterazioni del voto, ovvero una quota di partecipazione, ecc.), in tal modo operando una suddivisione preventiva del corpo elettorale (nel caso si parla per lo più di «primarie semi-aperte»).

In ciascuno di questi casi si pongono rilevanti problemi. Il caso più semplice, da un punto di vista giuridico, è senz’altro costituito dalla previsione di primarie chiuse, perché in tal caso l’elettorato sarebbe predeterminato e non vi sarebbero rilevanti problemi in ordine alla segretezza degli elenchi e ad altri profili connessi. Tuttavia tale soluzione, pur essendo la più semplice, rischia di essere anche quella che meno incentiva la partecipazione, anche se, alla luce del-Page 113l’esperienza di questi anni, sarebbe già un passo in avanti notevole70. Un problema che tuttavia si porrebbe riguarda la individuazione degli iscritti al partito, giacché non tutti i partiti prevedono forme di adesione e di iscrizione definite.

Al contrario, la primaria «aperta» o «semi-aperta» tende a garantire una partecipazione più ampia, e tuttavia si scontra con alcuni problemi, non soltanto di ordine pratico. In primo luogo in relazione a come si definisce l’ambito dell’elettorato attivo: la tendenza che si è verificata in ordine ad una estensione di esso rispetto a quello previsto per le elezioni vere e proprie se va nella dire- zione di un allargamento della partecipazione e del coinvolgimento, tuttavia rischia di «inquinare» il risultato in relazione alle finalità che esso si propone. In questo caso sembra potersi dire che se la scelta di effettuare la primaria è una scelta autonoma del partito o della coalizione, questi possono fare quel che vogliono71; mentre se si trattasse di una previsione legislativa, difficilmente ci si potrebbe distaccare dall’elettorato previsto per quel tipo di elezione cui le primarie si riferiscono.

L’altro problema riguarda la possibilità di delimitare, secondo criteri diver- si, l’elettorato attivo. Una differenziazione da fare al riguardo concerne il caso in cui le primarie siano stabilite in via generale per tutti i partiti o gli schieramenti che intendono presentarsi alle elezioni rispetto all’ipotesi in cui siano soltanto alcuni di essi a intraprendere quella strada. Nel primo caso, infatti, è più semplice garantire l’unicità del voto evitando la possibilità che alcuni elettori vadano a votare per le primarie del partito «avverso» per inquinarne i risultati, a meno di non rinunciare a votare per il proprio: occorrerà, a tal fine, definire delle regole certe perché ciò possa essere impedito (ovvero che nessuno possaPage 114votare due volte per due partiti diversi)72, ma la previsione di primarie per tutti è certamente un disincentivo in tale direzione.

E così pure tale situazione potrebbe diminuire (sebbene non eliminare) i problemi di cui si dirà relativi alla tutela della privacy: pensiamo ad esempio ad un’ipotesi di realizzazione concreta in cui le primarie siano organizzate unitariamente per tutti i partiti nello stesso luogo (magari negli stessi seggi dove poi si voterà), con la possibilità garantita all’elettore di votare per il proprio partito ma mantenendo il segreto su quale questo sia73.

Più difficilmente tali problemi possono risolversi nell’ipotesi in cui le primarie siano effettuate soltanto da alcuni partiti e non da altri: in tal caso potrebbe realizzarsi sia un voto espresso da chi poi non voterà quel partito (e che ha già deciso di farlo, indipendentemente dall’esito delle primarie) sia potrebbero aversi riflessi sulla tutela della privacy.

Affrontiamo prima quest’ultimo punto, che ha valenza generale74. Si è sostenuto talvolta che la partecipazione all’elezione primaria può violare il principio costituzionale del voto segreto sancito dall’art. 48 Cost. Occorre dire al riguardo che si tratta di una posizione priva di fondamento giuridico: la segretezza del voto riguarda il diritto-dovere dei cittadino di non far conoscere all’esterno ciò che ha effettivamente votato nel segreto dell’urna, non può certo impedirgli di esprimere pubblicamente le sue intenzioni di voto. Pertanto, come un elettore può dire a chi vuole come intende votare, così potrà farlo recandosi a votare per questo o quel partito nel caso di elezioni primarie (come può iscriversi al partito o partecipare alle sua attività, senza che questo costituisca violazione della segretezza del voto)75. Si potrebbe porre un problema di opportunitàPage 115in relazione alla partecipazione alle primarie nel caso in cui queste comportino un’identificazione dell’intenzione del voto da parte di chi vi si rechi (come nel caso di una primaria fatta da alcuni partiti soltanto, o in caso di primarie svolte dai vari partiti in sedi e momenti differenti): ma ciò attiene all’efficacia delle stesse (potendosi presumere che alcuni elettori non vi partecipino per non «rivelarsi» pubblicamente), e non alla loro legittimità. Per ovviare a tale problema, tuttavia, la soluzione più efficace sembra essere quella indicata relativa all’effettuazione delle primarie per tutti nello stesso luogo e nello stesso momento.

Ulteriore aspetto problematico può essere costituito dall’ipotesi in cui per la partecipazione al voto delle primarie sia necessario versare un contributo economico: anche in questo caso nulla quaestio (giuridicamente parlando) se si tratti di primarie di partito o di coalizione deliberate e organizzate in modo autonomo; diversa l’ipotesi nel caso di primarie imposte o incentivate. In quest’ultimo caso, infatti, si potrebbe configurare un limite alla partecipazione politica costituito da ragioni di carattere economico: limite forse superabile qualora detto contributo fosse di lieve entità o ad offerta libera, più problematico in caso diverso76.

Una diversa questione, sempre connessa alla tutela della riservatezza, potrebbe invece riguardare la tenuta e l’utilizzazione degli elenchi dei partecipanti alle primarie qualora esse siano svolte separatamente dai diversi partiti: in tale ipotesi, infatti, ogni partito potrebbe disporre di un elenco di persone, contenente un dato sensibile come l’orientamento politico, utilizzabile in momenti successivi a fini di propaganda o per altri scopi. In tal caso si dovrebbe applicare la disciplina prevista dalla legislazione vigente in materia di protezione dei dati.

Un altro aspetto che merita considerare, infine, concerne la possibilità di prevedere una soglia minima di partecipanti (un quorum) per la validità delle primarie. Detto problema non riguarda, all’evidenza, le primarie che siano organizzate e gestite un autonomia dalle forze politiche: in tal caso, infatti, valgono le considerazioni sopra svolte in ordine alle previsioni statutarie relative alla formazione delle candidature. Il problema potrebbe porsi invece nel caso di una disciplina pubblicistica che renda le primarie obbligatorie o perlomeno incenti-Page 116vate: la previsione di un quorum potrebbe rispondere all’esigenza di garantire al risultato ottenuto un minimo riscontro di condivisione. Peraltro potrebbe dirsi che una volta garantita la libertà di partecipazione non si debbano penalizzare coloro che vi partecipino a vantaggio di chi decida di non farlo: pertanto non si ravvedono motivi sufficienti per limitare la validità delle primarie, una volta che queste siano previste, al raggiungimento di una soglia minima di partecipanti.

Ai profili relativi all’elettorato attivo fanno riscontro quelli connessi all’elettorato passivo. Sebbene tali aspetti siano da riconnettere più alla dimensione dell’efficacia delle elezioni primarie che a profili di costituzionalità, tuttavia va segnalato che molti degli elementi che sono richiesti per un corretto svolgimento delle elezioni devono ritenersi necessari, mutatis mutandis, anche per le primarie. Tra questi si segnalano, quasi a mo’ di esempio, l’esigenza che l’accesso alla competizione sia limitato a coloro che siano espressione di un certo consenso (mediante una sottoscrizione di firme, o designazione di organizzazioni, ecc.), ad evitare candidature prive di qualsiasi consistenza effettiva; l’esigenza che i candidati alle primarie siano posti nelle condizioni effettive di farsi conoscere e far conoscere le proprie proposte77; la necessità di stabilire tempi, modi e luoghi di svolgimento delle stesse in termini adeguati a favorire un’idonea partecipazione di chi vi abbia diritto ed interesse.

8. I riflessi delle primarie sul partito e sulla leadership politica: un vero rafforzamento o ultimo tentativo di recupero di una (perduta) legittimità democratica?

L’applicazione del metodo delle primarie nell’ordinamento italiano ha portato alla luce un ampio spettro di problemi di natura costituzionale che –come si è veduto– aspettano ancora una soluzione da cui dipende molto della futura applicazione di questa tecnica di selezione delle candidature. Tuttavia, tracciando un bilancio, ci pare non si possano tralasciare i concreti effetti esplicati, da queste episodiche sperimentazioni, sul sistema politico e partitico.

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Anzitutto –come si è già rilevato– l’applicazione del metodo delle primarie è sin qui avvenuta in Italia, salvo il caso rammentato delle primarie romane di Alleanza Nazionale, esclusivamente nell’ambito del centro-sinistra. Ciò può spiegarsi in base a considerazione di carattere politico e sociologico.

Per quanto riguarda le primarie «di coalizione», la risposta forse può trovarsi nella natura composita di quella alleanza, costituita da partiti di diversa provenienza ideologica, culturale e collocazione europea: lo strumento delle primarie è servito spesso a cementare l’alleanza intorno ad una leadership, con esiti non sempre positivi. Se nelle elezioni amministrative, complice anche il sistema elettorale, le primarie hanno fatto sì che emergessero candidature ampiamente condivise, anche sul piano programmatico, nelle quali tutta l’alleanza non ha mancato di riconoscersi, a livello nazionale, invece, la primaria con cui è stato designato Romano Prodi non è riuscita a reggere sul lungo periodo: infatti, l’Esecutivo è stato costretto alle dimissioni appena due anni dopo le elezioni politiche e l’alleanza dell’Unione si è dissolta.

Più in generale, nelle primarie per l’individuazione di candidature a cariche monocratiche ci pare si possano registrare due diverse situazioni che si sono determinate nella prassi. Nella maggior parte dei casi, il risultato è stato «predeterminato» dalle Segreterie di partito e con le primarie si è sottoposto a ratifica popolare l’accordo raggiunto. E’ questo il caso della primaria del 2005 per la candidatura alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, delle primarie regionali in Calabria e, spesso, per gli Enti locali. Un siffatto utilizzo delle primarie rappresenta un allontanamento dal modello tradizionale e si presenta in maniera molto ambigua. Da un lato, infatti, si rischia di avere delle primarie che solo apparentemente favoriscono la partecipazione civica alle scelte dei partiti ma che, in verità, non fanno che confermare l’unicità del potere di scelta dei partiti politici, non offrendo una reale alternativa. Dall’altro, invece, si hanno casi in cui le candidature alle primarie vengono rivolte proprio «contro» –l’espressione è forte ma rende bene l’idea– i partiti. Il caso è quello della primaria del 2005, in cui Romano Prodi intendeva ottenere una forte investitura popolare.

Perplessità sorgono pure in relazione a quelle primarie che siano state real- mente competitive, come quelle pugliesi e siciliane del 2005. Infatti, in quelle occasioni, si sono affermate candidature di rottura, non appoggiate dalla dirigenza dei partiti maggiori della coalizione i quali, in vistosa difficoltà, hanno optato per le primarie pur di uscire dall’empasse. In questo contesto, la vittoria diPage 118quei candidati non solo ha segnato la sconfitta delle strutture partitiche più forti ma ha prodotto, nei primi commentatori, un orientamento di profonda sfiducia nei confronti delle primarie, ritenute come strumenti inadatti a selezionare i migliori ma i più «radicali», supportati da un elettorato «estremo», e dunque inadatti a vincere78.

Le primarie per la formazione di liste per l’elezione di organi collegiali, invece, sono state sperimentate in Toscana, dove la legge elettorale prevede –come più volte rilevato– le liste bloccate. In questo caso, l’applicazione del metodo delle primarie ha riproposto lo stesso meccanismo che si sarebbe registrato nel caso della previsione di preferenze: si è avuta, infatti, una competizione interna al partito dei DS che ha avuto come obiettivo immediato l’ingresso nella lista ma, in realtà, la conferma di una posizione all’interno del partito. In questo modo «le primarie diventano un surrogato del voto di preferenza, perché si basano su un tipo di gestione del consenso molto radicato territorialmente e su una strategia elettorale incentrata sul contatto con la base79». Anzi, a nostro avviso, come già ricordato, rappresentano una deminutio rispetto alle preferenze, poiché l’esito delle primarie risulta essere non vincolante e limitato, nella partecipazione, dalla necessità, ad esempio, di sottoscrivere un programma o di pubblicizzare il proprio orientamento politico80.

Dunque, non si ritiene possibile affermare che, in questo momento, le primarie stiano rafforzando o portando ad una ristrutturazione dei partiti. Al contrario, in molti casi, esse superano i partiti e le dirigenze partitiche mirando ad instaurare un legame diretto fra leader e corpo elettorale di tipo plebiscitario81.

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Il paradosso italiano si annida proprio qui: la «personalizzazione» della prima- ria indebolisce l’intermediazione partitica; eppure sono proprio le oligarchie partitiche che determinano quel risultato, a seguito di scelte ragionate e pesate in termini di successo elettorale.

Tale processo di costruzione di rapporti diretti leader –elettori non consente di cogliere la particolare valenza delle elezioni primarie come momento bidirezionale di apprendimento ed informazione: infatti, «primarie fatte bene servono non soltanto ad informare gli elettori; servono anche ai candidati per raccogliere informazioni sugli elettori82». Tutto questo non pare generalmente avvenuto in Italia, ove le «primarie-ratifica» operano come approvazione ex post delle candidature.

Eppure la via delle primarie non pare, oggi, reversibile: esse hanno raccolto una sollecitazione proveniente dalla società e l’hanno alimentata. L’ampia partecipazione che si è avuta pur in assenza di reale competizione fra i candidati consente di affermare che le primarie costituiscano la nuova «forma indiretta di iscrizione ai partiti» che esprime «una riaffermazione della volontà di partecipare, sottolineata dalla disponibilità a schierarsi ed a farsi identificare come parte di uno schieramento, al di là del contributo dato alla selezione del candidato83». Ciò impone con urgenza una riflessione sul tema dei limiti e dei vincoli costituzionali allo svolgimento delle primarie e del rapporto fra primarie pubbliche e private.

Accanto a queste ineludibili questioni, tuttavia, ci pare che un’altra venga dimenticata del tutto: sul lungo periodo, lo strumento delle primarie cagionerà un indebolimento della struttura partitica, come l’esempio americano dimostra84: vale la pena, allora, alla luce dell’art. 49 della Costituzione, considerare che alla base di un ruolo forte dei partiti in una democrazia c’è la selezione del personale politico cui si accompagna la «responsabilità» politica dei leader: affidandosiPage 120direttamente al corpo elettorale, si rischia di svuotare il partito politico di funzione o, comunque, di mutarne la fisionomia in modo assai incisivo rispetto a quello che la storia politica italiana ed il dettato costituzionale, per come gene- ralmente interpretato, ci consegna. L’essenziale, oggi, è valutare se il sistema politico-istituzionale è pronto ad un «salto» così periglioso e importante.

9. Statuti dei partiti politici e metodo delle primarie

Prendendo come riferimento i partiti e movimenti attualmente rappresentati nel Parlamento italiano –numero notevolmente ridotto a seguito della semplificazione del quadro politico avvenuta nelle elezioni dell’aprile 2008, sfruttando le clausole della legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza approvata nel 2005– solo lo statuto del Partito Democratico (in seguito, PD) contiene una disciplina delle elezioni primarie. All’art. 18, infatti, si disciplinano le elezioni primarie del partito mentre, al successivo art.20, si prevedono le primarie di coalizione.

Nel primo caso si tratta di elezioni primarie per la selezione di candidature alle cariche istituzionali elettive, in particolare, ai sensi dell’art. 18, comma 4, Presidenti delle Giunte regionali, delle Province ed i Sindaci. L’elettorato attivo spetta a tutti gli iscritti ed a coloro i cui nominativi sono inseriti nell’Albo degli elettori o il cui inserimento avvenga al momento del voto (art. 2, comma 4, lett.b) e art. 18, comma 2). Si tratta di una forte apertura del numero dei partecipanti che si fonda sul riconoscimento fatto dallo Statuto del PD di una soggettività giuridica anche dei «meri elettori», cioè di coloro che non sono iscritti al partito. Infatti, l’art. 2, riconoscendo il principio della diversificazione della partecipazione alla vita del partito, ne elenca due forme: iscritti ed elettori. Se per i primi non ci sono particolari novità, i secondi sono definiti come coloro «che, cittadine e cittadini italiani nonché cittadine e cittadini dell’Unione europea residenti in Italia, cittadine e cittadini di altri Paesi in possesso di permesso di soggiorno, iscritti e non iscritti al Partito Democratico, dichiarino di riconoscersi nella proposta politica del Partito, di sostenerlo alle elezioni, e accettino di essere registrate nell’Albo pubblico delle elettrici e degli elettori». Sul piano dei diritti vi sono ovviamente delle differenze: anzi, il catalogo dell’art. 2, commi 4 e 5 è costruito in modo incrementale, nel senso che ai diritti di partecipazione riconosciuti agli elettori si aggiungono altre posizioni soggettive proprie della posizione degli iscritti. Analoga tecnica è stata utilizzata per i doveri.

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Lo Statuto dispone le condizioni alle quali una candidatura può essere presentata: occorre il sostegno del dieci per cento dei componenti della Assemblea del livello territoriale oppure un numero di sottoscrizioni pari almeno al tre per cento degli iscritti sempre dell’ambito territoriale di riferimento. Una particolare clausola è stata introdotta al fine di favorire i titolari di cariche elettive uscenti che intendano ri-candidarsi: eventuali candidature alternative possono essere presentate se sostenute da almeno il trenta per cento dei componenti della Assemblea o da un numero di sottoscrizioni pari almeno al quindici per cento degli iscritti nel relativo ambito territoriale.

Lo Statuto stabilisce anche che le primarie per la scelta dei candidati a Sindaco, Presidente di Provincia, Presidente di Regione si svolgano con il metodo della maggioranza relativa.

Sul piano delle fonti interne, vi è un intarsio di difficile ricostruzione: l’art. 18 dello Statuto dispone alcune norme fondamentali e, al comma 3, rinvia ad un Regolamento quadro per la selezione delle candidature alle cariche istituzionali, approvato dall’Assemblea nazionale a maggioranza assoluta dei componenti. Si tratta di un atto normativo che contiene indicazioni molto generali ed al rispetto delle quali sono tenute le fonti subordinate, individuate anch’esse dallo Statuto. In particolare: a) i regolamenti per lo svolgimento delle elezioni primarie a livello territoriale, approvato dalla assemblea periferica competente a maggioranza assoluta; b) regolamento per scelta degli specifici metodi di consultazione da adottare per la selezione delle candidature a parlamentare nazionale ed europeo, approvato di volta in volta dal Coordinamento nazionale con il voto favorevole di almeno i tre quinti dei componenti, previo parere della Conferenza dei Segretari regionali (art. 18, comma 9, secondo periodo).

Fra i contenuti del Regolamento quadro dell’art. 18, comma 3, c’è l’individuazione dei metodi per la selezione delle candidature per le Assemblee elettive le quali possono avvenire (art. 18, comma 9, primo periodo) o «con il metodo delle primarie ovvero, anche in relazione al sistema elettorale, con altre forme di ampia consultazione democratica». L’art. 19, inoltre, fissa dei principi generali cui deve attenersi il Regolamento quadro. Peraltro, tale disposizione (art. 19) risulta essere particolarmente oscura in quanto, pur riferendosi a tutte le «assemblee elettive», fa poi riferimento, come criterio generale per la selezione delle candidature, a quello della competenza nei vari ambiti della attività parlamentare; e, inoltre, fa riferimento al Regolamento di cui all’art.18, comma 9 che è il Regolamento per la selezione dei parlamentari. Ciò consente di affermare che, aPage 122dispetto della rubrica generale, l’articolo si riferisca alle sole liste elettorali per le elezioni politiche nazionali ed europee. Peraltro, questo sarebbe in linea con quanto stabilito dall’art.18, comma 4, che stabilisce che le modalità di selezione delle candidature per le cariche di livello regionale e locale, diverse da quelle di vertice degli Enti locali e delle Regioni, vengano stabilite dagli Statuti delle Unioni regionali e delle Unioni provinciali di Trento e Bolzano. Fermo restando il Regolamento quadro nazionale, dunque, spetta al Coordinamento nazionale stabilire le regole per la selezione delle candidature al Parlamento nazionale o europeo; agli Statuti delle Unione regionali, negli altri casi, salvo che per le cariche monocratiche. Un quadro molto frammentario, di difficile intarsio fra le varie fonti nazionali e locali che può provocare incertezze sulla competenza a stabilire le regole della consultazione.

Tale complessa trama normativa, peraltro, non esaurisce la gamma delle possibili consultazioni primarie. All’art. 20 dello Statuto, infatti, si prende in esame l’ipotesi delle primarie di coalizione. In questo caso, lo Statuto prevede come regola generale quella del ricorso alle elezioni primarie per la selezione dei candidati Sindaci, Presidenti di Provincia o Presidenti di Regione, stabilendo che esse siano aperte a tutte le cittadine ed i cittadini italiani che alla data delle elezioni abbiano compiuto sedici anni nonché al cittadini dell’Unione europea residenti e di altri Paesi in possesso di permesso di soggiorno, i quali al momento del voto dichiarino di essere elettori della coalizione che ha indetto le primarie, e devolvano il contributo previsto dal Regolamento. Si tratta di indicazioni programmatiche riferite esclusivamente agli organi del Partito democratico, sui quali grava l’obbligo di sostenerle nelle sedi ove si decideranno le norme per l’organizzazio ne delle primarie di coalizione. Infatti, tale previsione statutaria è assolutamente inefficace rispetto agli altri partiti o movimenti con cui sia stato stretto un accordo elettorale: proprio in relazione a ciò, l’art.20, comma 2, rimette all’accordo fra le forze politiche praticamente ogni aspetto della consultazione e, al comma 3, dispone che deroghe a quanto previsto nello Statuto o l’applicazione di un diverso metodo rispetto a quello delle primarie possano aversi a condizione che siano approvate dall’Assemblea territoriale competente. Ove tale maggioranza non sia raggiunta, ci pare di poter affermare che due sono le ipotesi: o l’alleanza si rompe, per divergenze rispetto al metodo, oppure le primarie si tengono in forme diverse da quelle previste dallo Statuto e, dunque, sono invalide.

Lo Statuto disciplina anche le candidature nel caso di primarie di coalizione: possono candidarsi solo gli iscritti al Partito Democratico con la sottoscri-Page 123zione di almeno il trentacinque per cento dei componenti dell’Assemblea del livello territoriale corrispondente oppure del venti per cento degli iscritti nel relativo ambito territoriale.

In caso di primaria per la carica di Presidente del Consiglio, è ammessa la sola candidatura del Segretario politico del PD. A ben vedere, si tratta di una disposizione di indubbia rilevanza che apre la strada ad un tipo di consultazione primaria che ai sensi dell’art. 20 non sarebbe altrimenti consentita, stante anche il principio stabilito all’art. 18 per cui le elezioni primarie si tengono solo per selezionare candidature a cariche istituzionali «elettive».

Negli Statuti degli altri partiti politici, invece, non si rintracciano indicazioni a proposito del metodo delle primarie e la scelta appare inequivocabilmente rimessa agli organi, centrali o periferici a seconda del tipo di elezione, del partito.

10. Conclusioni: bilancio di una esperienza e prospettive nell’ordinamento italiano

Nel corso dell’esame che si è cercato sin qui di condurre sono stati anticipati i numerosi profili di problematicità, sia sul piano propriamente giuridico che su quello politico-istituzionale, del ricorso allo strumento delle elezioni primarie e della possibilità di un suo riconoscimento a livello normativo.

In questa sede basti ritornare al punto di partenza, vale a dire alle ragioni che in questi ultimi anni, dopo sessant’anni di democrazia parlamentare, hanno indotto la riflessione scientifica ma soprattutto il dibattito politico a riconside- rare con forza la possibilità –ovvero l’esigenza– di prevedere forme di partecipazione popolare alla selezione della candidature85.

Sebbene sia ancora attuale la felice espressione con cui il grande storico recentemente scomparso Pietro Scoppola ha descritto la vicenda della Repubblica italiana («La Repubblica dei partiti») è anche vero, come si è detto, che quel modello ha conosciuto e continua a conoscere una profonda crisi di passaggio: daPage 124un modello (ed un sistema) di partito che si era affermato e che ha –più o meno felicemente– retto le istituzioni per più di quarant’anni ad un sistema che ancora è difficile delineare nella sue reali fattezze. In più, lo sviluppo dei mezzi di informazione e comunicazione porta i cittadini ad essere maggiormente consapevoli di come le istituzioni operano, anche in forza delle esigenze di trasparenza che accompagnano in misura sempre più marcata (sebbene con risultati ancora lontani dall’essere soddisfacenti) l’azione dei pubblici poteri. In tale quadro aumenta l’esigenza di partecipazione alla vita politica oltre il momento elettorale, il quale ultimo non sempre (anche a causa di sistemi elettorali che poco aiutano su questo fronte) è ritenuto sufficiente a garantire il diritto alla partecipazione politica e alla realizzazione di un effettivo metodo democratico.

In tale contesto le primarie sono vissute, con tutte le ambiguità ed i limiti che si sono descritti, come uno strumento per coniugare esigenza di ristrutturazione del sistema politico-partitico e volontà di (maggiore) partecipazione dei cittadini, in una coniugazione dunque non nuova tra diritto del singolo ed esigenza dei poteri pubblici. E’ quello delle primarie uno strumento idoneo allo scopo? La risposta non può che essere dubitativa: dipende, sia da come le primarie sono organizzate e realizzate, sia da come il sistema politico è capace di assumerne il valore evitando di depotenziarne la carica, magari al fine di evitare di dover rinunciare a privilegi consolidati nelle oligarchie interne86. E dipende altresì da come il più complessivo sistema sociale e informativo sia in grado di evitare o perlomeno temperare i fenomeni di personalizzazione nell’ambito dello scontro politico che il sistema delle primarie inevitabilmente comporta, come l’esperienza statunitense inequivocabilmente dimostra87.

Ma soprattutto occorre con chiarezza evitare di cadere nell’equivoco di ritenere che le primarie siano l’unica risposta possibile alle due esigenze da ultimo indicate: occorre percorrere anche altre strade per aumentare la partecipazione dei cittadini alla vita politica, così come occorrono tante altre cose per consentire al sistema dei partiti di riguadagnare la loro legittimazione e di far sì che essi siano effettivamente funzionali ad una democrazia efficiente e partecipata. Fermarsi alle primarie potrebbe essere un pericolo insidioso.

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[1] . Dato il carattere della presente parte, che ha l’esclusivo scopo di informare i lettori spagnoli delle principali vicende politico-istituzionali italiane al fine di comprendere la crisi del sistema dei partiti ed il ricorso alle primarie come tentativo di recuperare forme di credibilità, non sembra opportuno accompagnare la stessa con un apparato di note. Ci si limiterà pertanto a segnalare alcune opere mediante le quali, chi vorrà, potrà leggere ricostruzioni della storia italiana condotte in modo adeguato ad approfondito. Tra queste: P. GINSBORG, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, 1989; P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia (1945- 1990), Bologna, 1991 ed in edizione aggiornata con il nuovo sottotitolo Evoluzione e crisi del sistema politico 1945-1996, Bologna, 1996; A. LEPRE, Storia della Prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1992, Bologna, 1993; N. TRANFAGLIA, L’Italia democratica: profilo del primo cinquantennio 1943- 1994, Milano, 1994; S. VASSALLO, Il governo di partito in Italia (1943-1993), Bologna, 1994.

[2] . Sull’influenza della legge elettorale proporzionale sul sistema politico italiano v., da ultimo, C. DE FIORES, Rappresentanza politica e sistemi elettorali in Italia, in C. DE FIORES (a cura di), Rappresentanza politica e legge elettorale, Torino, 2007, p. 11 ss. Per un quadro completo ed approfondito delle connessioni tra sistemi elettorali e sistemi politico-costituzionali si v. M. LUCIANI, Il voto e la democrazia, Roma, 1991.

[3] . Ovvero Partito repubblicano italiano (PRI); Partito socialista democratico italiano (PSDI); Par- tito liberale italiano (PLI).

[4] . Nel riferimento ai partiti, nel linguaggio politico e giornalistico sono stati definiti «laici» i partiti diversi dalla DC , ed in particolare i partiti minori che con essa hanno costituito i governi centristi del primo dopoguerra (PRI, PLI, PSDI). E’ evidente che il significato assunto non ha pressoché nulla a che vedere con l’origine etimologica del termine (in base al quale sono «laici» coloro che, all’interno della Chiesa cattolica, non appartengono al clero), né vale ad indicare una particolare caratteristica di tali partiti nei confronti degli altri, ad eccezione della DC (ritenuto partito «confessionale» o comunque strettamente legato alla Chiesa cattolica): esso sta ad indicare –all’interno della coalizione indicata– una certa qual posizione ideologica e programmatica di tali partiti, tendente a limitare i possibili eccessi di «confessionalismo» della DC ed il rischio di un suo eccessivo appiattimento sulle posizioni della Chiesa.

[5] . La formula è dovuta a L. ELIA, Governo (forme di), in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, 1970, p. 634 ss.

[6] . Ad esempio P. A. ALLUM, Anatomia di una Repubblica. Potere e istituzioni in Italia, Milano, 1976.

[7] . Merita sottolineare che nelle elezioni del 1976 il PCI ottenne un significativo risultato elettorale (arrivando al 34,4% dei voti), a fronte di una conferma della DC sul 38%.

[8] . Ad esempio il Partito radicale, i Verdi, Democrazia proletaria e numerosi altri.

[9] . G. U.RESCIGNO, Potere politico e sistema dei partiti: limitare il sovrano, in Politica del diritto, 1984, p. 81 ss.

[10] . Come sostiene, fra gli altri, S. GAMBINO, Elezioni primarie e rappresentanza politica: alcune osservazioni introduttive, in S. GAMBINO (a cura di), Elezioni primarie e rappresentanza politica,Soveria Mannelli, 1995, p. 8, «non vi è chi non veda come i partiti si siano ormai trasformati (…) in macchine organizzative sempre più chiuse in sé ed ossificate nella relative strutture burocratiche».

[11] . Tra gli altri, G.U.RESCIGNO, A proposito di prima e seconda Repubblica, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1994, p. 5 ss.

[12] . A. BARBERA, Verso una «democrazia immediata», in E. DI NUOSCIO (a cura di), Oltre la proporzionale, Bari-Roma, 1990, p. 99.

[13] . Con tale termine viene indicato l’accordo mediante il quale, in un sistema maggioritario di collegio, partiti che non appartengono alla stessa coalizione, ma che al contempo vogliono allearsi in una possibile futura maggioranza, decidono di non presentare candidati alternativi nei diversi collegi, con l’impegno a sostenere il candidato del partito alleato dove non sono presenti i propri.

[14] . Analogamente, tra gli altri, G. RIZZONI, Commento all’art. 49, in Commentario alla Costituzione a cura di R. BIFULCO - A. CELOTTO - M. OLIVETTI, vol. I, Torino, 2006, p. 999.

[15] . Le leggi elettorali per gli Enti locali (cioè Comuni e Province) sono state modificate nel 1993. In precedenza, i Consigli comunali e provinciali erano eletti direttamente dagli elettori mentre il Sindaco ed il Presidente delle Provincia, nonché le rispettive Giunte, erano elette dai Consigli. Il sistema aveva dato luogo a fenomeni di instabilità molto accentuati, potendo le tensioni politiche sfociare subito in una crisi di giunta ed alla costituzione di un nuovo esecutivo. La legge 25 marzo 1993, n. 81 e la l. 30 aprile 1999, n. 120 hanno modificato profondamente tali meccanismi con lo scopo di perseguire, in entrambi i casi, una maggiore stabilità e responsabilizzazione della figura monocratica del Sindaco e del Presidente della Provincia. In sintesi, il Sindaco ed il Consiglio comunale nei Comuni con popolazione fino ai 15.000 abitanti sono eletti contestualmente a suffragio diretto: risulterà eletto Sindaco il candidato che avrà ottenuto il maggior numero di voti e, alla lista collegata al candidato Sindaco eletto è sono attribuiti i due terzi dei seggi del Consiglio. L’elezione del Sindaco e del Consiglio comunale nei Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, invece, avviene con regole parzialmente diverse. Il candidato Sindaco deve essere collegato a una o più liste presentate per l’elezione del Consiglio comunale, anche se è ammesso il voto disgiunto. È eletto Sindaco il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti; se nessun candidato raggiunge tale maggioranza, si ricorre al ballottaggio fra i due candidati più votati (ciascuno dei quali può collegarsi anche ad altre liste oltre a quelle cui era collegato al primo turno); al secondo turno risulta eletto chi ottiene il maggior numero di voti. È prevista una soglia di sbarramento per le liste che al primo turno non hanno ottenuto il 3% dei voti validi o che non siano collegate ad un gruppo di liste che abbia superato tale soglia. L’attribuzione dei seggi avviene, in modo analogo a quanto previsto per il Comuni più piccoli, con il metodo D’Hondt. Alla lista o al gruppo di liste che non abbia raggiunto autonomamente il 60% dei seggi viene assegnata tale quota ad alcune condizioni: nel caso in cui il Sindaco sia eletto al primo turno, se la lista o il gruppo di liste ad esso collegate hanno ottenuto almeno il 40% dei voti validi e nessun’altra lista o gruppo di liste ha superato il 50% dei voti validi; nel caso di elezione al secondo turno, se nessuna lista o gruppo di liste ad esso non collegate ha superato al primo turno il 50% dei voti validi. Sono eletti consiglieri i candidati alla carica di Sindaco, non risultati eletti, collegati a ciascuna lista che abbia ottenuto almeno un seggio. Il sistema elettorale per le Province non è molto diverso da quello per i Comuni maggiori. Non è ammesso il voto disgiunto, il premio di maggioranza del 60% dei seggi spetta comunque alla lista o al gruppo di liste collegate al candidato Presidente eletto al primo o al secondo turno. La soglia di sbarramento è la stessa. L’elezione dei Consiglieri è effettuata sulla base di collegi uninominali. Sono eletti alla carica di Consigliere i candidati alla carica di Presidente della Provincia non risultati eletti, collegati a ciascun gruppo di candidati che abbia ottenuto almeno un seggio,in modo analogo a quello previsto per i Comuni.

[16] . In verità, la consultazione per la formazione delle liste provinciali si è configurata come la scelta di un solo candidato da parte dell’elettorato in virtù dell’attuale legge elettorale provinciale italiana. Infatti, l’elezione dei consiglieri avviene nell’ambito di collegi uninominali, con un complesso sistema di collegamento delle candidature a quella del candidato-Presidente della Provincia. Si veda, per maggiore precisione, quanto esposto alla nota precedente.

[17] . G. PASQUINO, Democrazia, partiti, primarie, in Quaderni dell`Osservatorio elettorale - Regione Toscana, 2006, 55, p. 30.

[18] . Per uno studio della «vicenda bolognese», G. BALDINI - G. LEGNATI, Le elezioni comunali del 1999 e la disfatta della sinistra a Bologna, in M. GILBERT - G. PASQUINO (a cura di), Politica in Italia. Edizione 2000, Bologna, 2000, p. 89 ss.; G. PASQUINO, Democrazia, partiti, primarie, cit., p. 30 parla di «imprevedibile e dolorosissima sconfitta».

[19] . Per un quadro sintetico, M. GIAFFREDDA, Le primarie in Puglia: la selezione di una nuova leadership, in Quaderni dell`Osservatorio elettorale - Regione Toscana, 2006, 55, p. 135 ss. ; sul calo di consensi del centrodestra, G. LEGNANTE, Il voto nelle città, ancora una sconfitta per il centrodestra, in C. GUARNIERI - J.L. NEWELL, Politica in Italia. 2005, Bologna, 2005, p. 81 ss.

[20] . Si veda, a tal proposito, il comunicato della c.d. Grande Alleanza Democratica (nome della coalizione di centrosinistra che sarà modificato, di lì a poco, in L’Unione) del 18 dicembre 2004.

[21] . G. SARTORI, La democrazia dei militanti, in Corriere della Sera, 19 gennaio 2005, accentua i toni critici rispetto alla partecipazione, sottolineando come la candidatura sia stata voluta da circa un 5% degli elettori del centrosinistra che costituiscono il 2% degli aventi diritto al voto in Puglia. Diversamente, G. PASQUINO, Modello Puglia da esportare, in Il Sole 24ore, 20 gennaio 2005, considera soddisfacente il risultato, prendendo a riferimento gli «iscritti» ai partiti. Parla di «soglia di decenza», R. LAMPUGNANI, Quella fetta di diessini che voterà per Nichi, in Corriere del Mezzogiorno, 16 gennaio 2005.

[22] . G. PASQUINO, Democrazia, partiti, primarie, cit., p. 34.

[23] . Sostengono questa posizione, G. SABATUCCI, Costa caro copiare gli americani, in Il Messaggero, 18 gennaio 2005; A. PANEBIANCO, in Il Foglio, 18 gennaio 2005; M. VENEZIANI, Ma per me sono primarie sbagliate, in La gazzetta del Mezzogiorno, 18 gennaio 2005.

[24] . Con l’espressione «voto personale» si intende la preferenza accordato al candidato-Presidente della Giunta regionale senza contestuale espressione di un voto per una lista collegata per l’elezione del Consiglio regionale. In altre termini, rappresenta la differenza fra i voti totali raccolti dal Presidente e la somma dei voti ottenuti dalle liste che lo supportano.

[25] . Per una complessa ricostruzione, A. FLORIDIA, Le primarie in Toscana: la nuova legge, la prima sperimentazione, in Quaderni dell`Osservatorio elettorale - Regione Toscana, 2006, 55, p. 93.

[26] . Così G. TARLI BARBIERI, Le riforme elettorali della Regione Toscana (II), in Democrazia e diritto, 2005, 1, p. 207 che sottolinea come, alla fine, sia prevalsa in Consiglio regionale una linea ambigua, di «non scelta», prevedendo la coesistenza «di un modello di primarie somigliante ad una elezione vera e propria (…) e di un modello sostanzialmente rimesso alle autonome determinazioni dei partiti, ma senza alcune delle garanzie minime che avrebbero dovuto essere previste per giustificare un intervento della Regione, comunque previsto (sia pure «a valle»)».

[27] . Sulla legge elettorale toscana, cfr. G. TARLI BARBIERI, Le riforme elettorali della Regione Toscana (I), in Democrazia e diritto, 2004, 4, p. 199 ss. ; A. FLORIDIA, Le primarie in Toscana, cit., p. 93 ss.

[28] . Cfr. G. TARLI BARBIERI, Le riforme elettorali della Regione Toscana (II), cit., p. 210

[29] . A. FLORIDIA, Le primarie in Toscana, cit., p. 111

[30] . C. FUSARO, Elezioni primarie: prime esperienze e profili costituzionali, in Quaderni dell`Osservatorio elettorale - Regione Toscana, 2006, 55, p. 61.

[31] . A. FLORIDIA, Le primarie in Toscana, cit., p. 124

[32] . S. PROFETI, Dove le preferenze non ci sono più. Il caso della Toscana, in Istituzioni del Federalismo, 6, 2005, p. 1119, la quale nota, infatti, come «la selezione dei candidati da presentare alle primarie si è svolta senza particolari tensioni, ed è stata gestita pressoché interamente dalle federazioni provinciali del partito in base a due criteri generali: da un lato, la riconferma di tutti i consiglieri che non avessero già svolto due mandati consecutivi e, dall’altro, la rappresentatività di settori della società o di porzioni di territorio».

[33] . G. TARLI BARBIERI, Le riforme elettorali della Regione Toscana (II), cit., p. 214.

[34] . Il Collegio, tuttavia, non ometteva di segnalare come il Consiglio regionale avrebbe dovuto farsi carico di questa eventualità, in quanto –almeno così pare leggersi fra le righe della decisione– pareva incongruo sanzionare così l’unica lista che aveva svolto questa forma di consultazione.

[35] . Reperibile sul sito http://www.astrid-online.it/ .

[36] . Per M. CERMEL, Dalle primarie alle liste bloccate (e ritorno?). Riflessioni sulla nuova legge elettorale e sulle elezioni primarie, in Teoria politica, 1, 2007, p. 114, nelle primarie dell’Unione vi sarebbe stata «una contaminazione tra il «modello Westminster» e quello statunitense. Del modello Westminster vi è la connessione tra la carica di leader vincitore delle elezioni e quella di premier; tuttavia, non essendoci un partito unitario di riferimento bensì una coalizione di partiti, per rafforzare la posizione del leader, da tempo indicato, e renderla indiscutibile è adottato il metodo delle primarie».

[37] . C. FUSARO, Elezioni primarie: prime esperienze, cit., p. 55.

[38] . In tal senso, anche, M. RUBECHI, «Primaria 2005»: la struttura e le regole di svolgimento, in www.forumcostituzionale.it (15 settembre 2005). Diversamente, A. GIGLIOTTI, Le primarie dell’U- nione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, sostiene che «la scelta dell’Unione è andata verso il modello delle c.d. primarie chiuse, vale a dire rivolte solo a coloro che fanno riferimento ai partiti della coalizione, a differenza delle primarie aperte», anche se poi precisa che «il meccanismo tecnico attraverso cui evitare l’intromissione esterna è facilmente aggirabile; l’art. 6, infatti, prevede che gli elettori: 1) debbano essere cittadini con diritto di voto attivo; 2) debbano sottoscrivere il Progetto per l’Italia; 3) debbano devolvere un contributo per le spese organizzative (almeno 1 ). I punti 2 e 3, evidentemente, sono deterrenti abbastanza deboli, anche se è prevista la pubblicità degli elenchi di tutti coloro che prenderanno parte alla votazione».

[39] . Si veda, per una ricostruzione teorica di questa specifica questione, A.M. URCIUOLI, La tutela del singolo nei partiti politici, Napoli, 1990, in particolare p. 76 ss.; cfr., anche, per una ricostruzione della posizione del singolo in termini di interesse e non di diritto, sottoposto al potere discrezionale del partito, L. BIGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967.

[40] . Provvedimento Propaganda elettorale: il decalogo del Garante, pubblicato in G.U. del 12 settembre 2005 n. 212.

[41] . V. CUTURI - S. GOZZO - R. SAMPUGNARO - V. TOMASELLI, Partecipazione alle primarie dell’Unione: non sono attivisti di partiti, in Quaderni dell`Osservatorio elettorale - Regione Toscana, 2006, 55, p. 164.

[42] . S. BOLGHERINI - F. MUSELLA, Le primarie in Italia: ancora e soltanto personalizzazione della politica?, in Quaderni dell`Osservatorio elettoraleRegione Toscana, 2006, 55 p. 232.

[43] . Per alcune osservazioni critiche sul rapporto fra primarie e programma politico, S. CASSESE, La debolezza delle primarie, in Corriere della Sera, 5 settembre 2005; S. BOLGHERINI - F. MUSELLA, Le primarie in Italia, cit., p. 232.

[44] . Così G. PASQUINO, Democrazia, partiti, primarie, cit., p. 34. Lo studio è stato realizzato da D. GIAN-NETTI, Primarie 2005: chi ha veramente avuto successo?, in www.lavoce.online.it, 5 dicembre 2005.

[45] . Altre primarie si sono tenute a Como, Carrara, La Spezia, Reggio Calabria, Lucca, L’Aquila.

[46] . La letteratura costituzionalistica sul tema della democraticità interna dei partiti politici e dell’interpretazione dell’art. 49 della Costituzione è assai ampia. Si rinvia, per indicazioni bibliografiche, alla nota 63.

[47] . Reperibile sul sito http://www.partitodemocratico.it

[48] . Per una definizione di «primarie» C. FUSARO, Elezioni primarie: prime esperienze, cit., p. 43.

[49] . Come sostiene, C. FUSARO, Elezioni primarie: prime esperienze, cit., p. 55, per il quale «non è immaginabile istituire elezioni primarie pubbliche per cariche elettive nell’ordinamento inesistenti».

[50] . Si veda, però, la ricostruzione della sentenza n 496/2000 della Corte costituzionale che, inter- venendo su una legge regionale che prevedeva un referendum consultivo in merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per l’attribuzione alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia, sottolineava come «il dibattito relativo alla modificazione delle norme più importanti per la vita della comunità nazionale [non] debba restare confinato nei luoghi istituzionali della politica». Ma sul valore proprio del referendum, la Corte appariva nettissima: «sarebbe invero riduttivo esaminare la vicenda della legge regionale in questione soltanto nell’ottica dell’efficacia formale del referendum consultivo e limitarsi ad osservare che da esso non scaturirebbe alcun imperativo cogente o dovere giuridico inderogabile a carico del Consiglio regionale o degli organi della revisione costituzionale. (…) L’utilizzazione impropria di un istituto preordinato a rinsaldare i legami tra rappresentanti e rappresentati (…) fa sì che l’iniziativa revisionale della Regione, pur formalmente ascrivibile al Consiglio regionale, appaia nella sostanza poco più che un involucro nel quale la volontà del corpo elettorale viene raccolta e orientata contro la Costituzione vigente, ponendone in discussione le stesse basi di consenso. Ed é appunto ciò che non può essere permesso al corpo elettorale regionale».

[51] . Diversa può ovviamente essere la valutazione in termini di opportunità, cui sembrano riferite le posizioni critiche espresse da S. CECCANTI, Intervento, Convegno Società italiana studi elettorali, 2 dicembre 2005, allorché tale A. ritiene che esse mal si conciliano con l’esigenza di favorire liste di coalizione ovvero con liste che garantiscano un adeguato livello di «pubblica rappresentatività».

[52] . In tal senso, e per rilievi critici sul punto, cfr. G. TARLI BARBIERI, Le riforme elettorali della Regione Toscana (I), cit., p. 208 ss.

[53] . Cfr., tra gli altri, l’intervento del sen. Boco (in Resoconto stenografico della seduta del 24 novembre 2005, n. 906, in www.senato.it). Analogamente, in dottrina, S. PRISCO, La nuova legge elettorale per le Camere tra profili di incostituzionalità e prospettive di rimodellamento del sistema politico, in C. DE FIORES (a cura di), Rappresentanza politica, cit., p. 359, per il quale a seguito della soluzione introdotta dalla legge nazionale «si rende indispensabile l’introduzione di un sistema di individuazione primariale per le candidature, ad applicazione non già casuale ed eventuale, bensì obbligatoria e disciplinata ai diversi livelli rappresentativi da leggi dello Stato e delle Regioni. Sui lavori preparatori della legge del 2005 e per un’analisi critica della stessa cfr. M. CERMEL, Dalle primarie alle liste bloccate, cit., p. 99 ss., A. D’ALOIA, Una riforma da riformare: la legge elettorale 270/2005, in C. DE FIORES, (a cura di), Rappresentanza politica, cit., p. 61 ss.

[54] . Così C. FUSARO, Elezioni primarie: prime esperienze, cit., p. 55.

[55] . Cfr. G. TARLI BARBIERI, Le riforme elettorali della Regione Toscana (II),, cit., p. 208. Contrario a previsioni di elezioni primarie «pubbliche» in ogni caso di formule elettorali basate su liste (con voto di preferenza o fisse) è C. FUSARO, Elezioni primarie, problemi di una disciplina pubblicistica,in Quad. cost., 2005, 1, p. 143.

[56] . Così C. FUSARO, Elezioni primarie, cit., p. 44.

[57] . M. CERMEL, Dalle primarie alle liste bloccate, cit., p. 117.

[58] . In tal senso A. FLORIDIA, Le primarie in Toscana, cit., p. 108, il quale osserva, in relazione alla legge della Regione Toscana, come mediante il ricorso alla garanzia offerta dalle liste elettorali ufficiali predisposte dai Comuni sia stato risolto alla radice, in Toscana, il problema dell’unicità del voto.

[59] . Qualora invece la legge si limitasse a prevedere la possibilità di svolgere le primarie, senza alcun intervento pubblico, essa non avrebbe alcun senso, alla luce di quanto si è detto, perché la possibilità per partiti di fare delle primarie se lo vogliono deve già essere riconosciuta, anche senza una legge.

[60] . Su questi problemi peraltro la letteratura è assai ampia. Tra i molti lavori possono segnalarsi: E. CHELI, Intorno alla regolazione dei partiti politici, in Studi senesi, 1958, p. 242 ss; P. RIDOLA,voce Partiti politici, cit.; C. PINELLI, Disciplina e controllo sulla democrazia interna dei partiti, Padova, 1984; E. BETTINELLI, Alla ricerca del diritto dei partiti politici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, p. 1002 ss.; G. BRUNELLI, Struttura e limiti del diritto di associazione politica, Milano, 1991; S. BARTOLE, Partiti politici, in Dig. Disc. pubbl., X, Torino, 1995, p. 705 ss.; ID., Partiti politici, in Dig. Disc. pubbl., Aggiornamento, V, Torino, 2000, p. 398 ss. e, da ultimo, G. RIZZONI, Commento, cit., pp. 981 ss.

[61] . Tanto è vero che, come noto, fin dai primi anni di esperienza repubblicana sono state avanzate teorie in grado di coniugare, ferma restando la forma giuridica assunta, la natura privatistica del partito alla sostanza della funzione «pubblica» assolta: si è così avanzata l’ipotesi di considerare i partiti quali organi o poteri dello Stato-apparato (Giuseppe Domenico Ferri, Pietro Virga), ovvero come organi predisposti alla creazione di altri organi dello Stato, ovvero ancora quali «enti ausiliari» di quest’ultimo (Santi Romano), in ragione delle funzioni da essi concretamente svolte; ovvero ancora come soggetti privati esercenti funzioni pubbliche (Costantino Mortati).

[62] . Sebbene infatti, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 79/2006, il fatto che ai partiti politici siano attribuite funzioni in materia elettorale (quali la «presentazione di alternative elettorali» e la «selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche») non consente «di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali», costituendo dette funzioni «il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale», tuttavia, come si dirà, l’esercizio di dette funzioni può essere assoggettato al rispetto di regole procedurali senza con questo far venir meno la libertà garantita ai partiti. Che l’individuazione delle candidature, coinvolgendo rilevanti interessi pubblici, possa giustificare un intervento di «ingerenza democratica» della legge nella vita interna dei partiti è sostenuto anche da A. MANZELLA, Delle primarie troppo… secondarie, in Micromega, 1999, III. Va peraltro ricordato come già C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1991, p. 443 rilevasse come «lo stato non può disinteressarsi del modo di esercizio di un potere che limita il diritto dei cittadini alla scelta dei propri rappresentanti».

[63] . Analogamente, da ultimo, A. BARBERA, La democrazia «dei» e «nei» partiti, tra rappresentanza e governabilità, in www.forumcostituzionale.it, per il quale «una corretta vita interna dei partiti non la richiedono solo il diritto costituzionale quello parlamentare, ma anche lo stesso diritto privato: non riguarda solo il buon funzionamento dei circuiti della democrazia ma anche i diritti degli iscritti».

[64] . Come proponeva di fare il Progetto Mortati, da questi predisposto in vista delle elezioni per l’Assemblea costituente (e che può leggersi in Appendice a S. GAMBINO (a cura di), Elezioni primarie, cit., p. 183 ss.), il quale stabiliva che «l’inosservanza di qualcuna delle modalità prescritte fa decadere dal diritto di partecipare con proprie liste alla scelta dei candidati».

[65] . Si pensi ad esempio ai possibili ricorsi giurisdizionali che potrebbero essere intentati dai partiti esclusi, con possibili decisioni a ridosso delle elezioni e rischi sul loro corretto svolgimento.

[66] . Vale a dire l’art. 32, comma settimo, del testo unico per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali (D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570), secondo il quale «deve essere indicato di tutti i candidati cognome, nome, luogo e data di nascita e la relativa indicazione deve recare una numerazione progressiva secondo l’ordine di presentazione»: secondo il giudice a quo tale disposizione era da considerare lesiva del diritto di ciascun cittadino a concorrere alle cariche elettive ex art. 51 e della libera scelta dell’elettore, garantita dall’art. 48 Cost.

[67] . C. FUSARO, Elezioni primarie: prime esperienze, cit., p. 51.

[68] . «Le modalità e le procedure di formazione della volontà dei partiti o dei gruppi politici occasionali –che sovente sorgono per le elezioni amministrative in dipendenza di situazioni ambientali– e previste dalle leggi elettorali, non ledono affatto la libertà di voto del cittadino, il quale rimane pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza».

[69] . Ipotesi che sembra esclusa da C. FUSARO, Elezioni primarie, problemi di una disciplina pubblicistica, cit., p. 142.

[70] . Si ricordi che la Commissione bicamerale istituita dal Parlamento agli inizi degli anni Ottanta (nota come «Commissione Bozzi») aveva proposto una revisione dell’art. 49 Cost. con l’inserimento di un comma così formulato: «La legge detta altresì disposizioni dirette a garantire la partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione della volontà politica dei partiti, compresa la designazione dei candidati alle elezioni», in tal modo prevedendo l’obbligo per la legge di istituire primarie cui far partecipare (almeno) gli iscritti al partito. Il problema, peraltro, non è nuovo, se già veniva denunciato da P. VIRGA, Il partito nell’ordinamento giuridico, Milano, 1948, pp. 237-238. Con riferimento alle ultime elezioni politiche si è sostenuto che «mai i partiti italiani hanno avuto tanto potere nella scelta dei candidati», e che «la politica è stata sradicata dal territorio e ha costretto gli elettori a trovarsi solo nella condizione di spettatori delle prestazioni televisive dei propri leader»: così A. BARBERA, La democrazia, cit.

[71] . In fondo è interesse del partito stesso di selezionare le candidature che possono ottenere più voti alle elezioni: se essi scelgono soluzioni sbagliate ne pagheranno le conseguenze sul piano politico.

[72] . Ad esempio prevedendo il rilascio di una sorta di pre-certificato elettorale a tutti gli elettori, utilizzabile in una sola elezione primaria, come suggerito da G. MOSCHELLA, Elezioni primarie e redistribuzione delle funzioni di rappresentanza politica, in S. GAMBINO (a cura di), Elezioni primarie, cit., p. 43.

[73] . In Toscana si è optato, dopo i rilievi dell’Autorità Garante per la Privacy, per l’unicità della scheda elettorale. Sugli inconvenienti di questa soluzione, si rinvia al paragrafo 5.

[74] . Su cui v. A. GRATTERI, Elezioni primarie e segretezza del voto: elementi pubblicistici ed associazionismo privato, in Quaderni dell`Osservatorio elettorale - Regione Toscana, 2006, 55, p. 243 ss.

[75] . Per immaginare un’ipotesi di violazione della segretezza del voto occorrerebbe pensare alla previsione di un obbligo di partecipare alle primarie sancito per tutti dalla legge, ed in un caso in cui tali primarie non avvenissero contemporaneamente per tutti i partiti e con le garanzie sopra indicate: sinceramente, ci pare un’ipotesi da fantascienza…

[76] . Si ricordi che un problema di questo tipo si è posto per le «primarie» relative alla scelta del segretario del Partito democratico: la cifra inizialmente prevista come obbligatoria (pari a 5 euro) fu poi ridotta proprio in ragione del paventato pericolo di scarsa partecipazione dovuto all’entità della cifra originariamente prevista.

[77] . Si veda, per i criteri ritenuti «necessari» per delle primarie organizzate «bene», G. PASQUINO, Democrazia, partiti, primarie, cit., p. 32; per il caso delle primarie «di coalizione» vanno poi previste idonee garanzie atte a garantire tutte le componenti della coalizione, riducendo la possibile influenza dei gruppi più forti ed organizzati (aspetti sui quali insistono S. GAMBINO, Elezioni primarie, cit., p. 26; G. MOSCHELLA, Elezioni primarie, cit., pp. 45 ss.).

[78] . Cfr., per saggiare l’interpretazione del metodo delle primarie, all’indomani dei fatti pugliesi, fra i molti: G. SARTORI, La democrazia dei militanti, in Corriere della Sera, 19 gennaio 2005; G. SAB-BATUCCI, Costa caro copiare gli americani, in Il Messaggero, 18 gennaio 2005; F. LO SARDO, Intervista a Nando Pagnoncelli: «Temo più svantaggi che benefici. Soprattutto per i riformisti», in Europa, 19 gennaio 2005; molto critico il giudizio di E. BALBONI, Come le primarie si trasformano in una prova di democrazia «bulgara», in L’opinione; affronta il tema con precisione, I. DIAMANTI, Vademecum per le primarie, in La Repubblica, 20 gennaio 2005.

[79] . S. BOLGHERINI - F. MUSELLA, Le primarie in Italia, cit., p. 237.

[80] . Cfr., per una disamina del rapporto fra primarie e voto di preferenza, G. TARLI BARBIERI, Le riforme elettorali della Regione Toscana (I), cit., p. 208 che sottolinea come i due strumenti «almeno, in linea di principio, si rivolgono a soggetti diversi: indiscriminatamente a tutti gli aventi diritto al voto nelle elezioni regionali (il voto di preferenza) ovvero solo a coloro che intendono partecipare alle primarie per selezionare i candidati del proprio partito (o, ancora meno, a coloro che siano iscritti in particolari registri detenuti dai partiti)».

[81] . S. BOLGHERINI - F. MUSELLA, Le primarie in Italia, cit., pp. 232-333 e 236.

[82] . G. PASQUINO, Democrazia, partiti, primarie, cit., p. 32.

[83] . V. CUTURI - S. GOZZO - R. SAMPUGNARO - V. TOMASELLI, Partecipazione alle primarie, cit., p. 163.

[84] . Lo nota I. DIAMANTI, Vademecum per le primarie, cit., che ricorda come i partiti americani siano «pragmatici, poco strutturati, ideologicamente compatibili, si mobilitano e si affermano soprattutto nel voto presidenziale. Le primarie, per questo, ne costituiscono la principale «missione» ed il principale meccanismo di funzionamento (almeno in ambito federale)». Per una indagine comparata sulle primarie, cfr. M. VALBRUZZI, Primarie. Partecipazione e leadership, Bologna, 2005.

[85] . Tra le diverse finalità che le elezioni primarie tendono a soddisfare (e che sono ben sintetizzate, tra gli altri, da E. MARRA, Primarie: come si vota?, in S. GAMBINO (a cura di), Elezioni primarie, cit., p. 87 ss.), quelle che più sembrano avere mosso l’opinione pubblica in Italia, come si è visto, sono connesse alla capacità di mobilitazione del consenso degli elettori, a ridurre l’influenza degli apparati di partito e a stimolare la partecipazione di soggetti esterni al partito stesso (o ai partiti che formano la coalizione), mentre sembrano meno avvertite (o comunque realizzate) la finalità di eleggere il candidato migliore e di favorire l’eguaglianza dei punti di partenza dei candidati).

[86] . In tal senso G. TARLI BARBIERI, Le riforme elettorali della Regione Toscana (II), cit., 198-199; M. CERMEL, La democrazia nei partiti. II. Dal fallimento della «legge truffa» alla democrazia dell’alternanza (1995-2003), Padova, 2003, p. 270.

[87] . Cfr., a tale riguardo, l’analisi di G. D’IGNAZIO, Elezioni primarie e riforma dei partiti negli Stati uniti d’America, in S. GAMBINO (a cura di), Elezioni primarie, cit., p. 55 ss.

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