Una Costituzione per l'Europa. Saint-Simon e la reorganisation de la societé europénne

AutorLuca Scuccimarra
Páginas1-20

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Lo spazio delle relazioni internazionali ha rappresentato un fondamentale ambito di riflessione per il pensiero utopistico sin dalla sua genesi, agli albori dell’epoca moderna. I grandi esponenti di questa tradizione intellettuale non hanno mai avuto dubbi, infatti, che i problemi e i conflitti prodotti da una cattiva forma di organizzazione sociale all’interno dei singoli Stati europei proseguissero «senza soluzione di continuità anche in ambito internazionale»1.

La critica del vigente sistema delle relazioni interstatuali – un sistema fondato sull’aggressione e l’espropriazione reciproca – ha finito così per imporsi come un vero e proprio topos della nascente letteratura utopistica, da More a Fénelon, a Mercier. Una direttrice di riflessione, questa, che presenta interessanti punti di intersezione con l’orizzonte teorico dell’economia politica classica, se è vero – come è stato variamente sostenuto – che di tale orizzonte è parte integrante e sostanziale una concezione “civilizzatoria” dello sviluppo economico centrata proprio sull’esplicita valorizzazione della potenza pacificatoria del commercio internazionale2.

In questa sede mi occuperò di un piccolo frammento dell’ampia e variegata costellazione pubblicistica prodotta nel corso degli ultimi secoli da questa radicata istanza di rifondazione del moderno sistema delle relazioni internazionali: il saggio De la réorganisation de la société européenne, pubblicato nell’ottobre del 1814 da Henry de Saint-Simon e da Augustin Thierry3. Si tratta di un breve testo di intervento politico, che, dopo un prolungato oblio, è tornato di recente al centro del dibattito come momento fondativo di una moderna filosofia dell’integrazione europea. L’itinerario di lettura che proporrò in queste pagine si discosta però dai più consolidati percorsi di una fiorente storiografia sulle radici storiche e filosofiche dell’Europa unita. ? mia convinzione, infatti, che a dispetto della sua ridotta estensione e dell’innegabile asistematicità del suo argomentare, l’Essai possegga una più generale dimensione teorica, che lo collega strettamente alla genesi e all’evoluzione della peculiare concezione della società e della politica caratteristica della riflessione di Saint-Simon. E’ a questo livello, dunque, più ancora che a quello di una storia dell’ideale europeista, che occorre cercare il più profondo significato di un testo che – nel bene e nel male – rappresenta un passaggio-chiave nella messa a punto di quella innovativa «tecno-utopia planetaria» destinata ad imporsi come l’autentico marchio caratterizzante della concezione saint-simoniana dei rapporti internazionali.

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I Alla ricerca dell’ordine europeo

Molto ci sarebbe da dire innanzitutto sulle peculiari circostanze di elaborazione del saggio, a cominciare dalle sue concrete modalità di redazione. A tutt’oggi poco chiaro risulta, infatti, il ruolo materialmente giocato da ciascuno dei due autori – «Monsieur le Comte de Saint-Simon» e «son éleve» Thierry – nella messa a punto del testo. Tutto nella sua costruzione – dalle modalità di attribuzione della paternità dell’opera all’uso della prima persona singolare nello sviluppo del percorso argomentativo – sembra, però, voler esprimere un’asimmetrica ripartizione dei compiti. Poiché il raffronto con precedenti scritti di Saint-Simon rivela una certa continuità di ispirazione4, gli interpreti sono perciò sufficientemente concordi nel ritenere che le idee esposte nel volumetto del 1814 siano essenzialmente le sue5.

Non è possibile, peraltro, comprendere il senso complessivo del saggio se non si tiene conto del periodo in cui esso vede la luce, i mesi immediatamente successivi alla caduta di Napoleone Bonaparte. Alla base della sua elaborazione si pone, infatti, l’esigenza di un approfondito confronto con le grandi questioni del momento: come uscire dalla generale crisi politica e sociale che ha investito l’Europa a partire dalle «convulsioni» rivoluzionarie di fine Settecento? E come ricostruire un solido tessuto di pacifiche relazioni interstatuali in un continente squassato da vent’anni di «guerra totale» pressoché ininterrotta? L’occasione per l’intervento è offerta dall’imminente apertura del Congresso di Vienna: i governanti di tutte le nazioni europee sono in procinto di riunirsi per creare le condizioni di una «tranquillità duratura» del continente, ma non è affatto chiaro «dove vogliano arrivare». Per affrontare i mali dell’Europa occorre invece avere un preciso piano di riorganizzazione, in grado di porre fine ad un disordine sociale che dura da troppo tempo. È proprio questa circostanza che spinge Saint-Simon, con l’aiuto del suo allievo Thierry, a mettere nero su bianco le sue personalissime idee sulla «riorganizzazione della società europea»6.

È appena il caso di sottolineare il tono apertamente polemico che, sin dalle primissime battute, pervade lo sviluppo argomentativo del saggio. A differenza

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dei monarchi europei e dei loro plenipotenziari, Saint-Simon e Thierry appaiono infatti decisamente convinti che il Congresso di Vienna sia destinato a concludersi con un totale fallimento, giacché nessuno dei convenuti sarà animato dalla minima considerazione per l’«interesse generale». Gli accordi conclusi in quella sede non faranno, dunque, che perpetuare quello stesso miope approccio nazional-statuale che nel corso dei secoli ha condotto l’Europa ad una condizione di guerra permanente: «da parte di tutti l’interesse generale tenderà ad essere misurato sull’interesse particolare»7. Nella prospettiva del saggio, l’ambizioso obiettivo di una durevole pacificazione dell’Europa può essere affrontato, invece, con ragionevoli probabilità di successo solo spezzando la ripetitiva «routine» della moderna politica di potenza, attraverso un radicale cambiamento di metodo. Occorre, cioè, prendere atto del reiterato fallimento degli strumenti della diplomazia internazionale8, per affrontare il problema della pacificazione europea al solo livello al quale esso può essere risolto: quello della costruzione di un unitario ordine politico-istituzionale in grado di dare vita ad una prospettiva comune sui destini del continente. Per raggiungere la pace in Europa c’è bisogno, dunque, di «istituzioni comuni» e di un’«organizzazione», «occorre una forza coattiva che unisca le volontà, concerti i movimenti, renda gli interessi comuni e gli impegni solidi»9. Senza questo passaggio, tutto continuerà ad essere deciso «attraverso la forza» e la storia europea resterà dominata – a dispetto di trattati e congressi – dalla tragica dinamica di un perenne conflitto tra opposte coalizioni di interessi.

Nonostante il tono adottato, non bisogna equivocare sulla sostanza degli obiettivi perseguiti nel saggio. Come emerge dallo sviluppo stesso del testo, qui la riflessione sulle «istituzioni» europee è, infatti, in primo luogo un discorso sui princìpi, che si pone in stretta continuità con la ricca e variegata tradizione di pacifismo filosofico prodotta dalla cultura europea tra XVII e XVIII secolo. Non è un caso, dunque, che nel suo percorso argomentativo esso muova proprio dal confronto con una delle pietre miliari di quella tradizione, il progetto di «confederazione europea» proposto dall’Abbé de Saint-Pierre nel suo celebre Projet pour rendre la paix perpetuelle en Europe. Saint-Simon e Thierry riconoscono, in particolare, al loro illustre predecessore il merito di aver intuito per primo i gravi pericoli derivanti dall’anarchico sistema dell’«equilibrio delle

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potenze» scaturito dalla pace di Westfalia, tentando di porvi rimedio attraverso l’istituzione di una Dieta europea, chiamata a dirimere arbitralmente i futuri conflitti tra gli Stati europei. A Saint-Pierre essi rimproverano però di non aver saputo portare sino alle estreme conseguenze la sua «lungimiranza», finendo per riprodurre all’interno del suo stesso modello i gravi difetti di una logica particolaristica dell’interesse nazionale. Nel Projet, al vertice del sistema continuano, infatti, a sedere i rappresentanti dei singoli monarchi, una circostanza, questa, che rende di fatto impossibile il funzionamento dell’organo arbitrale: il n’y a point d’accord sans des vues communes, et des souverains traitant ensemble, ou des plénipotentiaires nommés par les contractans et révocables par eux, peuvent-ils avoir d’autres vues que des vues particulières, d’autre intérêt que leur intérêt propre10

È appunto a partire da questo assunto, che nel saggio del 1814 comincia a prendere forma l’intelaiatura generale di un nuovo modello di relazioni interstatuali, fondato sulla programmatica subordinazione degli «interessi privati» dei singoli Stati all’«interesse comune» dell’intero sistema. Ma ciò che si delinea qui è anche un nuovo approccio metodologico al problema dei rapporti internazionali, centrato sull’essenziale contributo costruttivo offerto da una scienza politica interpretata eminentemente come scienza dell’organizzazione. Secondo tale prospettiva, «toute organisation politique, ainsi que toute organisation sociale, a ses principes fondamentaux qui sont son essence, et sans lesquels elle ne peut ni subsister, ni produire les effets qu’on attend d’elle»11. Per raggiungere l’obiettivo di una duratura pacificazione del continente europeo, occorre perciò applicare allo specifico contesto problematico in discussione i quattro principi organizzativi fondamentali sui quali un «sistema confederativo» di questo tipo deve essere necessariamente fondato:

  1. Toute organisation politique instituée pour lier ensemble plusieurs peuples, en conservant à chacun son indépendance nationale, doit être systématiquement homogène, c’est-à-dire que toutes les institutions doivent y être des conséquences d’une conception unique, et que par conséquent le gouvernement, à tous ses degrés, doit avoir une forme...

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