Libera circolazione dei servizi e rischi di dumping sociale: I problematici rimedi offerti dalla direttiva n. 96/71 Sul distacco dei lavoratori all’estero

AutorUmberto Carabelli
Páginas41 - 101

Page 43

I La direttiva n. 96/71 Sul distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale. Qualche considerazione generale

La Direttiva n. 96/71 ha come obiettivo la definizione di un quadro di regole alle quali gli Stati membri devono attenersi nella definizione delle ‘condizioni di lavoro e di occupazione’ dei lavoratori distaccati temporaneamente sul loro territorio da imprese stabilite in un altro Stato membro, nelle tre ipotesi individuate nell’art. 1, par. 3, lett. a, b e c.

Più precisamente, le imprese destinatarie della normativa comunitaria sono quelle stabilite in uno Stato membro, le quali, «nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale, distacchino lavoratori, a norma del par. 3, nel territorio di uno Stato membro» (art. 1, par. 1). Laddove le tre ipotesi rilevanti ai fini dell’applicazione della Direttiva sono rispettivamente: quella dell’impresa distacchi «per conto proprio e sotto la propria direzione, nel territorio di uno stato membro, nell’ambito di un contratto concluso tra l’impresa che lo invia e il destinatario della prestazione di servizi che opera in tale Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore ePage 44l’impresa che lo invia» (art. 1, par. 3, lett. a)1; quella di un’impresa che distacchi «un lavoratore nel territorio di uno Stato membro, in uno stabilimento o in un’impresa appartenente al gruppo, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia» (lett. b); quella, infine, dell’impresa di lavoro temporaneo o che svolga attività di cessione temporanea di lavoratori –nella versione inglese: «a temporary employment undertaking or placement agency»– la quale distacchi «un lavoratore presso un’impresa utilizzatrice avente la sede o un centro di attività nel territorio di uno Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro fra il lavoratore e l’impresa di lavoro temporaneo o l’impresa che lo cede temporaneamente» (lett. c)2.

La base giuridica della Direttiva è costituita dagli artt. 57, par. 2 (oggi art. 47, par. 2) e 66 (oggi 55)3: si è dunque in presenza di una Direttiva non di armonizzazione delle normative di tutela del lavoro, bensì di determinazione delle discipline del lavoro applicabili ai distacchi transnazionali di lavoratori, in funzione della rimozione delle restrizioni alla libera circolazione dei servizi4: laPage 44>normativa comunitaria, insomma, mira soprattutto a fornire un quadro ‘bilanciato’ di riferimento normativo per la circolazione dei prestatori di servizi negli Stati membri della Comunità, con specifico riferimento al trattamento economico e normativo dei lavoratori dipendenti da essi occupati.

Da questo punto di vista aveva perfettamente ragione chi, ancor prima della approvazione definitiva della Direttiva, nella ricerca di una definizione che esprimesse siffatta duplice anima, aveva affermato che «la Directive est plus, dan son esprit et dans son fondement, une directive économique qu’une directive sociale, même si l’un des ses objectifs est de protéger les travailleurs détachés, en les faisant bénéficier, à l’occasion de leur mobilité pour le compte de leur employeur, des dispositions essentielles du droit de travail du pays d’exécution de la prestation de services, lorsqu’elles lui sont favorables»5. Per contro, non pare da condividersi, quanto meno nella sua assolutezza, l’opinione secondo la quale la Direttiva ha la funzione di fondare un generale principio di parità tra lavora-Page 46tori locali e lavoratori distaccati6: ciò che si prefigge la normativa comunitaria è piuttosto –come chiaramente espresso in più parti di essa– assicurare una tendenziale parità di trattamento tra le imprese che svolgono una prestazione di servizi transnazionale e quelle del paese ospitante (quanto meno con riferimento alle due ipotesi previste dall’art. 1, par. 3, lett. a e c: quella di cui alla lett. b è, come si vedrà, dotata di una propria peculiarità)7; per quanto riguarda, invece, la parità tra lavoratori distaccati e lavoratori ‘autoctoni’, essa è formalmente strumentale alla prima e, soprattutto, è (come si dirà tra breve) solo eventuale, sia perché l’estensione ai primi delle tutele del lavoro dei secondi –oltre a non interessare i distacchi di breve durata o per lavori di ‘scarsa entità’8– riguarda solo un limitato numero di materie (per le altre è meramente opzionale, e soprattutto condizionata), sia perché ai lavoratori distaccati è comunque garantita la conservazione dei trattamenti di miglior favore9.

Quanto alla disciplina dettata dalla Direttiva, va detto anzitutto che, ai sensi dell’art. 3, par. 1, co. 1, gli Stati membri devono provvedere affinché le imprese rientranti nel suo campo di applicazione garantiscano ai lavoratori distaccati nel loro territorio, qualunque sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro10, «le condizioni di lavoro e di occupazione» fissate «da disposizioni di legge, regolamentari o amministrative», ovvero, nel solo settore delle costruzioni (e in particolare in relazione ad una serie di attività di tale settore indicate in un allegato della Direttiva stessa), «da contratti collettivi o arbitrati dichiarati di applicazione generale, a norma del par. 8»11, con riferi-Page 47mento ad una lunga serie di materie, tra cui le tariffe minime salariali, i periodi massimi di lavoro e minimi di riposo, la durata minima delle ferie annuali etc. (quest’insieme di materie viene definito dal Considerandum n. 13 della stessa Direttiva come un «nucleo di norme vincolanti», e dal Considerandum 14 come un «‘nocciolo duro’ di norme protettive»).

In forza, inoltre, dell’art. 3, par. 10, gli Stati membri possono, nel rispetto del Trattato, imporre «alle imprese nazionali ed a quelle di altri Stati, in pari misura:

– condizioni di lavoro e di occupazione riguardanti materie diverse da quelle contemplate al par. 1, co. 1, del presente articolo, laddove si tratti di disposizioni di ordine pubblico;

– condizioni di lavoro e di occupazione stabilite in contratti collettivi o arbitrati a norma del par. 8 riguardanti attività diverse da quelle contemplate nell’allegato». invece, in forza dell’art. 3, par. 9, nello specifico caso di somministrazione transnazionale di lavoratori, lo Stato membro di accoglienza può prevedere che siano ad essi applicabili le stesse condizioni applicate ai lavoratori temporanei interni.

Ed infine, mentre ai sensi dell’art. 1, par. 4, «le imprese stabilite in uno Stato Membro non possono beneficiare di un trattamento più favorevole di quello riservato alle imprese stabilite in uno Stato Membro», reciprocamente, in base all’art. 3, par. 7, l’obbligo di estensione delle condizioni di lavoro e di occupazione da parte dello stato ospitante la prestazione di servizi non osta all’applicazione di condizioni «che siano più favorevoli ai lavoratori»12 (cfr. anche Considerandumn. 17) –evidentemente, quelle dello Stato membro di provenienza13– una previ-Page 48sione, questa, che secondo un autore esprimerebbe, in fin dei conti, il «criterio determinante de la ley aplicable al trabajador desplazado»14.

II Alcuni problemi interpretativi relativi al suo ambito di applicazione

In via preliminare conviene sgombrare il campo da alcuni dubbi sollevati dalla normativa comunitaria nella parte relativa alla delimitazione del suo campo di applicazione, con riferimento in particolare alla definizione delle fattispecie rilevanti.

  1. Tra questi dubbi, quello che balza subito in evidenza già ad una prima lettura è che il requisito della temporaneità è riferito al distacco del lavoratore e non alla prestazione di servizi nel cui ‘quadro’ avviene il distacco15. D’altro can-Page 49to, questo connotato della prestazione di servizi non deriva neppure in via, per così dire, diretta ed automatica, dalla natura della prestazione medesima, quale risultante dalle tre ipotesi legali.

    In realtà, è nel Trattato CE che si trova una precisa risposta al problema. Dopo aver sancito, all’art. 49, la libertà di prestazione dei servizi, il Trattato stesso, all’art. 50, ai co. 1 e 2, passa a definire cosa debba intendersi per ‘servizi’ in ambito comunitario, per poi sancire, al co. 3 che, «senza pregiudizio delle disposizioni del capo relativo al diritto di stabilimento, il prestatore può, per l’esecuzione delle sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nel paese ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini». La prestazione di servizi (transnazionale) per la quale il Trattato garantisce la piena libertà di circolazione, insomma, è quella esercitata «a titolo temporaneo», quale connotato determinante al fine di evitare sovrapposizioni con la libertà di stabilimento, parimenti sancita dal trattato, ma agli artt. 43 ss. La presenza di un vincolo...

Para continuar leyendo

Solicita tu prueba

VLEX utiliza cookies de inicio de sesión para aportarte una mejor experiencia de navegación. Si haces click en 'Aceptar' o continúas navegando por esta web consideramos que aceptas nuestra política de cookies. ACEPTAR